GIORDANIA, UN’APPARENTE STABILITÀ

di Massimo Iacopi -

La Giordania appare come un’isola di stabilità in un’area senza pace. Con una modesta superficie e senza risorse, gode di una rendita geopolitica che le conferisce un ruolo diplomatico fondamentale grazie alla firma di un accordo di pace con Israele. Ma i nuovi scenari daranno ancora al regno hashemita la possibilità di evitare il coinvolgimento nei drammi mediorientali?

La Giordania è uno stato cuscinetto di 89.342 km2 artificialmente creato dai Britannici nel 1921. Oggi il regno di Giordania rappresenta una destinazione turistica di prestigio, i cui paesaggi sono stati magnificati dal film di David Lean, Lawrence d’Arabia, del 1962. Nonostante la sua apertura sull’Occidente, la Giordania rimane comunque un Paese poco conosciuto. Indipendente dal 1946, il vecchio Regno di Transgiordania rappresenta una specie di dono di compenso assegnato, così come l’Iraq, agli Hashemiti in cambio della loro rinuncia al sogno di formare un regno arabo unito.
Isolato sulla scena regionale ma esperto nell’arte della sopravvivenza, il re Hussein bin Talal (1935-1999) è riuscito, per tutti i suoi 46 anni di regno, a portare il Paese al rango di piazza diplomatica e commerciale di primo piano in un Medio Oriente impigliato in interminabili crisi. Fino al 1967, il regno godeva della sovranità sul territorio della Cisgiordania, perduto poi a vantaggio d’Israele dopo l’umiliante sconfitta della Guerra dei Sei Giorni, evento che determinò un secondo esilio palestinese verso la riva orientale del fiume Giordano.
Conseguenza di questi due esodi,la proporzione di Giordani di origine palestinese oggi è stimata a più del 65% della popolazione. Ciò spiega l’ostilità dell’opinione pubblica alla conclusione del trattato di pace con Israele – il secondo dopo l’Egitto – nell’ottobre 1994, frutto delle pressioni americane e per farsi perdonare “dell’errore” di aver sostenuto Saddam Hussein in occasione del golfo del 1990-1991.
La diplomazia giordana si caratterizza per la ricerca di un consenso teso a innalzare il Paese al di sopra delle tensioni regionali. Il trattato di pace con Israele assicura il sostegno finanziario degli Stati Uniti. Dal 1951 al 1997, la totalità degli aiuti americani è stata stimata in 3,9 miliardi di dollari, a cui è seguito nel 2000 un accordo di libero scambio con il Paese a stelle e strisce. Ma se in fatto di sicurezza la cooperazione non è mai cessata, la pace rimane fredda. Mentre il governo di Benyamin Netanyahu rimetteva in discussione la gestione giordana dei Luoghi Santi, mussulmani e cristiani, di Gerusalemme, re Abdallah rifiutò nell’ottobre 2018 di rispettare due annessi del trattato di pace, che prevedeva che alcune terre agricole di frontiera (Baqura e Gumar) sotto sovranità giordana fossero messe nuovamente a disposizione dei contadini israeliani per un periodo di 25 anni.
Indubbiamente, la questione palestinese ha perduto la sua centralità. Salito al trono nel 1999, il re giordano innamorato della cultura occidentale (è britannico per parte di madre), sposato a una palestinese, propugna la “giordanità” come mezzo per superare la dicotomia fra Palestinesi e Giordani e Giordania di origine beduina. In questo senso rompe con la formula confederale giordano-palestinese proposta a più riprese da suo padre (piano di federazione del 1972, accordo giordano-palestinese di Amman del 1985). Lo slogan Al Urdun Awalan (“Prima la Giordania”) è diventato col passar del tempo il segno di un’identità nazionale che dissocia chiaramente la riva occidentale del Giordano, una volta parte integrante del regno.

Relazioni difficili con Israele e le petromonarchie arabe

Se re Abdallah può vantarsi di essere un ponte fra Israele e il mondo arabo, Amman appare sempre più abbandonata mano a mano che il riavvicinamento israelo-saudita, motivato dal comune rifiuto dell’Iran, conferisce alla Giordania un nuovo paradigma geostrategico. Questo raffreddamento si traduce da qualche anno nella crescita di tensioni in merito alla suddivisione delle risorse idriche, al gelo sul progetto del “canale della pace” per salvare il Mar Morto, o ancora al contratto di fornitura di gas, poco vantaggioso, concluso con Israele nel settembre 2019, che nascondeva le velleità annessionistiche di Benyamin Netanyahu della parte della valle del Giordano che costeggia la frontiera della Giordania. Più inquietante ancora per la monarchia hashemita è il “piano di pace” previsto dal genero di Donald Trump, Jared Kushner. La Giordania è stata l’unico paese arabo a essersi opposto alla “sfida del secolo” che affoga qualsiasi speranza di una soluzione a due Stati, con Gerusalemme capitale di un ipotetico Stato palestinese. Di fatto, Gerusalemme occupa un posto considerevole nell’immaginario politico nazionale. La monarchia trae la sua legittimità storica dal fatto che la dinastia hashemita assicura la protezione dei luoghi santi, fra cui Gerusalemme. In altre parole, cedendo su questa argomento, il re perde la sua legittimità e tradisce la memoria nazionale. Abdallah, dipendente dall’aiuto finanziario americano (secondo la televisione pro governativa Al Mamlaka, l’amministrazione Trump aveva allocato 1,3 miliardi di dollari di aiuti alla Giordania nel suo progetto di bilancio per il 2021). Egli paga anche lo scotto del suo approccio alla questione israelo-palestinese, considerata, sin dai tempi di suo padre, come un affare interno. Tutto questo non impedisce che Gerusalemme rimanga una linea rossa per Amman e per il regno hashemita, che non ci tiene a giocare il ruolo di “sparring partner” sul problema palestinese, favorendo così il disegno israeliano di farlo diventare una patria di sostituzione per i Palestinesi. L’incubo della dirigenza transgiordana è alimentato dalla sovrapposizione di un milione di rifugiati palestinesi, che praticamente riduce a meno del 20% la popolazione giordana di base.

Al centro delle crisi del Medio Oriente

Le frontiere della Giordano sono problematiche: 181 km con l’Iraq, 786 con l’Arabia saudita e 375 con la Siria. Dagli inizi del conflitto siriano, il nord del suo territorio ha ospitato i posti comandi operativi congiunti delle forze atlantiche e dei loro collegamenti con l’opposizione siriana per il fronte sud della Siria (Dera’a), mettendo a disposizione della Francia la base “Principe Hassan” per i raid aerei contro l’Isis nel nord dell’Iraq. Per questo motivo il regno è stato bersaglio dei colpi dell’Isis. Il supplizio del pilota giordano caduto nelle mani dei fondamentalisti islamici nel 2014, e non meno di cinque attentati registrati nel 2016, sono la prova evidente di questa onda d’urto. Lo scontro a nord ha assunto l’aspetto di una bomba demografica. Le guerre in Iraq hanno mosso quasi 450 mila rifugiati, ai quali vanno aggiunti circa 750 mila siriani. Amman, che ha riaperto la frontiera il 15 ottobre 2018, ha operato una scelta pragmatica, tenuto conto dell’importanza strategica del posto di frontiera di Jabeer, zona attraverso la quale transitava il 17% delle esportazioni giordane, prima del 2011. Posta di fronte al problema di un ritorno sempre più improbabile dei Siriani, i Giordani moltiplicano i gruppi di contatto con i Paesi di accoglienza nel contesto di un team di lavoro ad Amman e cooperante con i Russi, nella speranza di captare una parte dei dividendi della ricostruzione in Siria.

Relazioni con il Golfo: dall’indifferenza al rapporto di forza

Nel dicembre 2004 re Abdallah spiegò alla stampa internazionale il suo timore per la crescita delle tendenze sciite, suscettibili di destabilizzare il Medio Oriente. Testa di ponte sunnita nella regione, il regno hashemita intrattiene, nondimeno, relazioni complesse con le petromonarchie arabe. A cominciare dai Sauditi che avevano cacciato gli Hashemiti dalla Mecca e dall’Hegiaz nel 1924, prima di firmare, con l’emirato di Transgiordania, il Trattato di Gedda del 1927. Privato di continuità territoriale con la Siria a causa del tracciato della frontiera, il sovrano Abd al-Aziz dell’Arabia Saudita manterrà un forte rancore con Amman, che tenderà ad attenuarsi nelle generazioni successive fino allo scambio di territori nel 1965 che consentirà alla Giordania di estendere il suo litorale nel golfo di Aqaba per circa 18 km. Tuttavia, i motivi di attrito permangono. A cominciare da rifiuto giordano di prendere parte alla coalizione saudita nello Yemen o ancora di dissolvere la branca locale dei Fratelli Mussulmani. Le cose si sono complicate nell’autunno del 2017 con l’arresto, per ordine del principe ereditario Mohamed bin Salman, del miliardario saudo-giordano Mari Sabih. Decisione che provocò l’assenza del re Abdallah al vertice dell’Organizzazione della Cooperazione Islamica del dicembre dello stesso anno. Importante investitore e Paese d’accoglienza per circa 450 mila immigrati giordani, il regno saudita utilizza a piene mani il ricatto dell’espulsione, incoraggiando, nello stesso tempo, movimenti di opposizione nel sud della Giordania. E tuttavia, Riyad si disinteressa sempre di più del suo vicino, al quale intende sostituirsi nella tutela dei luoghi santi a Gerusalemme. Il sostegno saudita alla decisione di trasferire l’ambasciata degli Stati Uniti a Gerusalemme, annunciata nel dicembre del 2017, ha rafforzato l’isolamento di Abdallah, che ormai non viene più considerato l’interlocutore regionale privilegiato dell’amministrazione americana.
Di fronte alle petromonarchie, di cui ha bisogno, la Giordania ha tentato di giocare su una concorrenza di influenze in seno al Consiglio di Cooperazione del Golfo (CCG), avvicinandosi soprattutto al Qatar. In occasione del vertice della Mecca, nel giugno 2018, la CCG ha concesso un aiuto di 2,5 miliardi di dollari per sostenere la lira giordana e investimenti. Comunque sia, la Giordania vede allontanarsi l’ingresso in un CCG allargato. Tutto ciò non impedisce che il regno possa ancora disporre di mezzi adeguati per rilanciare l’integrazione regionale, a cominciare dall’alto livello della sua diplomazia e delle sue forze armate, tra le più efficienti del mondo arabo.

Fragilità strutturali

Amman è la vetrina di un Paese tollerante e aperto al flusso di capitali. Avendo superato la prova delle primavere arabe, il regime giordano può vantare una base di legittimità politica sul credito della famiglia hashemita, nota per il governo tradizionalmente moderato e le scelte pragmatiche. Questa situazione, tuttavia, trova molte difficoltà a dissimulare la gravità delle sfide cui deve fare fronte un regno sempre più vulnerabile. La Giordania è uno dei Paesi più poveri d’acqua al mondo. Il suo consumo raggiunge appena i 145 m3 per persona (contro i 1000 m3 a livello mondiale). Ricava più del 60% dell’apporto idrico da falde acquifere sotterranee non rinnovabili. Il resto proviene da fiumi e da ruscelli, lo Yarmuk a nord e il Giordano a ovest, controllati da Israele. Lo stress idrico, la forte pressione esercitata da Israele e una significativa crescita demografica, effetto delle crisi regionali, costituiscono ulteriori sfide. Per ridurre la dipendenza energetica, il re cerca di accrescere la parte di energia prodotta localmente. Egli si augura di portare dal 4 al 39% la produzione di energia grazie all’eolico, alle biomasse, all’energia solare e all’estrazione dagli scisti bituminosi. Nell’attesa, il sovrano è riuscito a negoziare vantaggiosamente un contratto per il gas con il Qatar. Tale accordo consente di far fronte all’arresto dei rifornimenti decisi dall’Egitto nel 2012 e che aveva costretto i Giordani a rivolgersi a una società israeliana.

Combattere la corruzione e ridurre la dipendenza energetica

In un discorso pronunciato il 15 ottobre 2016 all’indomani delle elezioni legislative, re Abdallah ha precisato la rotta del nuovo governo. Il suo progetto di modernizzazione dell’amministrazione – in preda ad una corruzione endemica – è stato vissuto come una rivoluzione “soft” dei principali meccanismi dello Stato e dei servizi di sicurezza. Tutto ciò in un momento in cui la richiesta di giustizia sociale era diventata sempre più pressante. Tuttavia, al di là delle apparenze, in seno all’apparato dello Stato esiste un braccio di ferro fra una corrente riformatrice liberale e una corrente conservatrice che blocca il processo di riforme. Sul piano economico, la situazione rimane preoccupante, la crescita è passata dall’8% del 2007, al’1,8% del 2019. A tutto questo va aggiunto l’indebitamento esterno, nel quale l’importazione di energia (97%) costituisce la voce principale. Al fine di ridurre questa dipendenza, la Giordania ha cominciato a sviluppare le infrastrutture necessarie per la costruzione della sua prima centrale nucleare. Nel 2017 il parlamento giordano ha introdotto una legge che consente l’impiego di energia nucleare per produrre elettricità e per dissalare l’acqua marina. La società francese Areva ha firmato un contratto di sfruttamento congiunto per l’estrazione dell’uranio nel centro della Giordania nel quadro di una concessione di 25 anni. Amman ipotizza di estrarre circa 130 mila tonnellate di uranio dalle riserve di fosfato e costruire un reattore nucleare con l’aiuto di un partner internazionale che pone i Francesi nelle condizioni di favoriti.
Nel novembre 2012, per far fronte ai debiti, lo Stato ha abbassato le sovvenzioni destinate a calmierare i prezzi di mercato dell’energia. Come conseguenza, i prezzi sono saliti del 10% per la benzina, dell’11% per i trasporti pubblici e del 53% per il gas, suscitando così il rancore di una popolazione che per un quarto vive sotto la soglia della povertà. Una situazione che favorisce il ritorno in forza del Fronte islamico d’azione, braccio politico dei Fratelli Mussulmani giordani. Questa opposizione approfitta della decentralizzazione dello Stato, con possibilità di influenzare gli eletti locali.
Nel giugno 2018 si sono registrati scioperi e movimenti di protesta a seguito dell’annuncio di riforme fiscali, poi rientrati e conclusi con la sostituzione del primo ministro. Le difficoltà a gestire le contraddizione fra domanda di giustizia sociale e spinte liberali, è stata enfatizzata dalla pandemia di coronavirus, che ha provocato una generale recessione e il crollo del turismo, settore che da solo rappresenta il 17% del PIL. Re Abdallah II è seduto sulla bocca di un vulcano.