GEORGIA, UNA NAZIONE DAGLI ANTICHI TRASCORSI

di Max Trimurti –

La crisi georgiana dell’agosto 2008 ha messo in evidenza la forza del nazionalismo in un paese che da oltre duecento anni si difende dall’appetito russo.

 

La crisi scoppiata nell’agosto 2008 nel cuore del Caucaso ha fatto ricordare al mondo le rivalità etniche che potrebbero far implodere la Georgia e con essa la regione caucasica. Rivalità attizzate dalle rivendicazioni degli Osseti da una parte, dagli Abkhazi dall’altra, di fronte a uno stato georgiano che coltiva nella sua tradizione una vera leggenda nazionalista. Come spiegare queste forti rivendicazioni identitarie?
La Georgia è il solo paese a poter annoverare almeno due millenni di storia statale. Essa ha conosciuto, nondimeno, dei lunghi periodi di egemonia da parte degli imperi persiano, bizantino, arabo, selgiuchide, mongolo, ottomano e safavide, della cui cultura è rimasta impregnata.
Il regno georgiano raggiunge il suo apogeo fra il XII e il XIII secolo: mai il suo territorio è stato più esteso, inglobando, fra l’altro una parte della provincia attuale d’Ardahan, di Rize e d’Erzurum e raggiungendo a ovest, sul litorale del mar Nero, l’attuale Tuapsé, nel Lazistan, il paese dei Lazi. In nessun altro momento, le lettere e le arti vi hanno conosciuto un tale sviluppo, dovuto in particolar modo al poeta Shota Rustaveli (1160-1216), il cui capolavoro, “Il cavaliere dalla pelle di pantera” è diventato l’epopea nazionale. Ma il regno si smembra alla fine del XV secolo. Tre regni e quattro principati, sebbene guidati da membri dalla stessa casata dinastica – i Bragation o Bagratidi – vengono a trovarsi suddivisi fra le aree di influenza ottomana a ovest e persiana a est.

A partire dal XVIII secolo una nuova potenza regionale, la Russia, tenta di introdursi nel Caucaso a spese d’Istanbul e di Isfahan. L’azione russa consegue un primo successo nel 1873, allorché il re di Kartlia e di Kakhezia (Georgia orientale), Irakli (Eraclio) II Bragation (1720-1798), indebolito dalle guerre incessanti condotte contro gli imperi mussulmani e contro le tribù del Daghestan, che devastavano il paese, conclude un trattato con la Caterina II (1729-1796), per garantirsi la protezione contro l’Iran e gli Ottomani. Il trattato doveva anche preservare l’autonomia interna della Georgia. Fatto che, peraltro, non impedirà alla corona russa, attraverso una “interpretazione libera” del testo, di sopprimere la monarchia georgiana e di annettere i diversi stati georgiani.
La prima metà del XIX secolo è caratterizzata dalle frequenti rivolte contro l’occupante russo (una ventina fra il 1801 e il 1820), dirette principalmente dall’aristocrazia georgiana o dallo stesso clero. Queste rivolte avevano per obiettivo la restaurazione della monarchia bagratide e del sistema tradizionale di governo. Ciò nondimeno la Russia, lanciando delle guerre contro i peggiori nemici dei Georgiani – i Persiani, gli Ottomani e i Daghestani – riesce a mettere dalla sua parte una parte non trascurabile dei nobili georgiani, ai quali offre anche la possibilità di carriera militare nell’ambito dell’esercito imperiale: in tal modo ecco farsi strada nell’esercito russo il celebre principe Petr Ivanovic Bagration, uno dei più temibili avversari di Napoleone, dalla campagna d’Italia fino alla battaglia di Borodino, dove viene mortalmente ferito. Pur tuttavia, l’atteggiamento dell’aristocrazia verso l’impero russo rimane spesso ambiguo e ambivalente.

La situazione cambia nella seconda metà del XIX secolo: con l’espandersi dell’idea europea di nazione, la dissidenza georgiana assume una nuova dimensione. Ne è testimonianza il colpo di stato abortito del 1832: il manifesto dei suoi organizzatori – per la maggior parte aristocratici apparentemente ben integrati nella burocrazia civile e militare dell’impero – redatto dall’insegnante Solomon Dodashvili, parla per la prima volta dell’indipendenza nazionale e dissocia la nazione dal corpo del monarca. In tal modo il nazionalismo moderno, sospinto da una nuova aristocrazia intellettuale, diventa la forza sociale e politica dominante. Questa ideologia nazionale, valorizzando una rilettura della storia del popolo georgiano, si incentra basicamente sulle pagine più gloriose del suo passato, della sua cultura e della sua lingua millenarie. Un messaggio destinato a dare nuova fiducia alla nazione e a denunciare la situazione di schiavitù del momento.
Una delle prime preoccupazioni dei circoli intellettuali nazionalisti, in special modo del più celebre di tutti (Associazione per la diffusione dell’alfabetizzazione fra i Georgiani), è stata quella di stabilire, a partire dagli anni ’70 del XIX secolo, una rete di scuole private su tutto il territorio georgiano. Contrariamente all’insegnamento somministrato nelle scuole ufficiali, nelle quali non si parla che il russo, l’insegnamento dispensato in queste scuole, in georgiano, era accessibile a larghi strati della popolazione, compreso anche l’ambiente rurale. La Georgia diviene in tal modo, non solo una delle regioni più alfabetizzate del’Impero russo, ma anche un paese in cui il popolo viene rapidamente guadagnato alla causa nazionale.

Altra conseguenza di questa alfabetizzazione, specie nell’ambito della popolazione bisognosa, la diffusione rapida del marxismo. All’inizio del XX secolo, la Georgia, soprattutto la sua parte occidentale, risulta, nell’ambito dell’Impero russo, uno dei bastioni del socialismo. Numerosi leader del marxismo russo sono originari della Georgia – ben prima di Josip Stalin – e nei primi decenni del XX secolo il partito socialdemocratico georgiano rappresenta una organizzazione particolarmente forte.
Dopo la conquista del potere da parte dei Bolscevichi in Russia, la Georgia, così come tutto il resto del Caucaso, proclama la sua indipendenza. La Georgia, l’Armenia e l’Azerbaigian formano in tale contesto la Federazione Transcaucasica, i cui motivi di disaccordo sono stati numerosi e tali che la Federazione finirà per disintegrarsi nel maggio 1918. La Georgia diventa, a quel punto, una nazione indipendente il cui governo risulta diretto dal partito socialdemocratico. La repubblica democratica georgiana dura tre anni. Il suo socialismo moderato e il suo attaccamento alla democrazia parlamentare gli hanno fatto acquisire una forte considerazione nella comunità internazionale. Anche la stessa Russia bolscevica stabilisce relazioni diplomatiche con la Georgia, un trattamento di cui non hanno beneficiato i vicini armeni e azeri. Tutto questo peraltro non impedirà ai Russi, nel 1921, di invadere la Georgia, con il pretesto che il paese era diventato un covo dell’antibolscevismo e che era necessario proteggere i lavoratori georgiani e le minoranze abkhaze e ossete.

I primi anni del potere bolscevico sono marcati da rivolte (nel 1922 e nel 1924), ma anche da conflitti interni ai comunisti georgiani: un certo numero di essi militavano per l’indipendenza. Tacciati di “nazional-deviazionismo” questi vengono spazzati con le prime purghe fra il 1922 e il 1928 e sarà la fazione diretta da Stalin, la più ferocemente contraria al nazionalismo e all’autonomia, che avrà il sopravvento. Negli anni ‘30, tocca all’intellighentia, portatrice dell’ideologia nazionalista classica (scrittori, filosofi, storici), il turno di essere decimata. Nello stesso tempo, sotto la guida di Laurenti Beria, a quel tempo capo della CEKA in Georgia, viene forgiata un’identità nazionale sulla base del folklore e della “cultura popolare”. Ed è proprio da questa cultura – o invenzione – sovietica delle nazionalità che sono sorti il nazionalismo abkhazio e osseta. Mosca, facendo già dell’Abkhazia (nel 1921) e dell’Ossezia del Sud (nel 1922) delle regioni autonome, aveva largamente contribuito a rinforzare la coscienze nazionali abkhazie e ossete. Grazie a questo etnofederalismo territoriale, i Sovietici hanno creato delle aristocrazie comuniste “indigene”, favorendo delle culture locali. Questo processo si rivelerà pagante allorché le tendenze indipendentiste della Georgia verranno a trovarsi condizionate dai movimenti, abkhazi e osseti, in favore del mantenimento del potere dell’URSS.
La “grande guerra patriottica contro il nazismo” ha considerevolmente rinforzato la legittimità dell’URSS in Georgia. In più, la maggioranza della nuova generazione dei Georgiani aveva dimenticato che era già esistita a suo tempo una Georgia democratica. Particolarmente fieri della nazionalità georgiana del capo supremo, Stalin, nonostante i rapporti ambivalenti che quest’ultimo intratteneva con la sua patria d’origine, i Georgiani sono costretti a “ricredersi”, allorché la destalinizzazione, iniziata nel 1956 in Russia, assume, in certi casi, l’aspetto di una “degeorgianizzazione” del partito comunista sovietico. Questa piega degli avvenimenti provoca, il 9 marzo 1956, delle manifestazioni a Tbilisi che saranno represse nel sangue. A seguito di questo fatto la società georgiana si impegna in un processo di “ripiegamento su sé stessa”.

Nel corso degli anni della stagnazione brezneviana, i Georgiani hanno mostrato la loro fedeltà verso Mosca, pur continuando a organizzare il loro spazio interno. L’intellighentia georgiana, sebbene cittadina di una repubblica federata sovietica, contribuisce alla rinascita della leggenda nazionale. E’ proprio in questo momento che nasce nell’ambito delle élite nazionali una forte attrazione per l’Europa. La seconda indipendenza della Georgia, realizzata nel 1991, non mette peraltro fine al gioco della Russia che, dall’arrivo al potere di Vladimir Putin, sostiene apertamente le rivendicazioni autonomistiche della Abkhazia e dell’Ossezia del Sud. L’intervento dell’8 agosto 2008, oltre a ragioni di controllo sul flusso d’idrocarburi della zona, ha rivelato agli occhi del mondo la rinascita di una politica imperiale russa, vecchia più di due cento anni, che oggi mostra evidenti i suoi frutti “avvelenati”.
Nel 2022 la Georgia ha presentato domanda per l’adesione all’Unione europea. È inoltre compresa nel piano d’azione per l’adesione alla NATO.