FRANCIA 1814-1815: Il BALLETTO DELLE BANDERUOLE

di Massimo Iacopi -

Tra la prima e la seconda abdicazione di Napoleone Bonaparte, uno strano “balletto” ritma la vita politica francese con una nutrita serie di defezioni e di adesioni all’Imperatore o al re Borbone. Ogni riferimento a cose e persone dell’attualità è… puramente casuale.

Tra l’aprile 1814 e il giugno 1815 tre cambiamenti di regime pongono ministri, generali, consiglieri di Stato, prefetti e sindaci di fronte a un grave problema: non sbagliare la scelta di campo. L’onore, il diritto e gli interessi del Paese guidano quasi certamente i pensieri di tutti questi personaggi in questo delicato momento, ma fare la scelta sbagliata potrebbe significare la morte, la prigione, l’esilio o, nel caso più favorevole, la miseria. Ecco dunque perché è preferibile ritrovarsi dal lato del vincitore, salvo negare il tutto se si rivelasse necessario. Insomma, una commedia. Che per certuni si trasformerà in tragedia.
In effetti, per riprendere le parole di Emmanuel Joseph Seyes (1748-1836), la stragrande maggioranza dei francesi ha cercato di “sopravvivere”, mentre le classi dirigenti hanno imparato rapidamente ad adattarsi alla situazione.
Di fatto, non è un caso raro trovare personaggi “riciclati” sotto le insegne del servizio dello Stato, uomini che hanno prestato servizio presso la monarchia assoluta prima del 1789, quindi sotto la monarchia costituzionale, la Convenzione del Termidoro, la Repubblica montagnarda, il Direttorio, il Consolato, l’Impero, la prima Restaurazione del 1814, il Napoleone dei 100 giorni, la seconda Restaurazione e, per i più coriacei, anche la monarchia liberale del 1830.

L’Ordine della Banderuola

Napoleone in partenza per l'isola d'Elba, caricatura d'epoca

Napoleone in partenza per l’isola d’Elba, caricatura d’epoca

Alcuni hanno seguito queste pericolose traiettorie senza alcuna preoccupazione, altri con cinismo, qualcuno con una punta di rimorso. Di fatto, vere e proprie banderuole che, in ogni caso, hanno retto il timone dello Stato, sono rimaste al timone per salvare la Francia, si sono “sacrificate” per il bene pubblico. La cosiddetta “banderuola” è sempre – ovviamente – l’altro: cattolico, monarchico, montagnardo ateo, babuvista, vandeano che sia.
Il 20 febbraio 1815, quindici giorni prima della fuga di Napoleone dall’Elba e del suo attracco nella baia di Cannes, un giornalista satirico del periodico Le Nain jaune affila la sua penna per proclamare, con grande enfasi, la nascita dell’Ordine della Banderuola. Egli propone di istituire quattro classi in cui inquadrare i francesi dalla «schiena di caucciù».
«Grande Banderuola per tutti i venti, destinata ai responsabili di apostasia, condotta tortuosa, ambizione concentrata, astuzia e furberia, violazioni dei giuramenti, insolenza e falsità ben caratterizzate, palinodia perpetua, tradimento e bassezze; si richiede inoltre una diversa opinione nel 1789, 1792, 1796, 1814 e 1815».
«Doppia banderuola: ventre a terra delle anticamere e giornalisti (più o meno con qualche eccezione) ammessi di diritto; vengono quindi i piedi piatti, gli adulatori di bassa lega, i poeti adulatori, i parassiti, i vigliacchi compiacenti e diverse centinaia di indignitari».
«Banderuola di prima classe: si richiedono almeno dieci giuramenti di fedeltà per o contro le idee liberali in dieci epoche ben distinte; una versatilità, una incostanza, una cupidigia a tutta prova. Sarà opportuno e necessario aver composto almeno un acrostico in onore dei nemici del suo Paese: il numero delle banderuole non è fissato».
«Banderuola di seconda classe: si compone di diverse migliaia di acchiappamosche, di oziosi, di novellisti, di politici da caffè, di imbecilli di tutte le razze e di tutte le sette. Non si esigono prove particolari se non dei “bravo”, degli “evviva” ed entusiasmo per il primo venuto».
«La decorazione consiste in un nastro di colore falso e cangiante, al quale è sospesa una medaglia rappresentante da un lato un camaleonte con questo motto: “Chi sono?”; al rovescio una banderuola con tre parole: “Per tutti i venti”. I grandi dignitari portano il nastro al collo, con un nodo scorsoio. Il costume dell’ordine è un abito di arlecchino».
Occorre ancora precisare che a quella data i 100 giorni non hanno ancora prodotto i loro effetti devastanti sull’insieme della classe dirigente. Il ritorno dell’imperatore e la sua partenza provocheranno palinodie multiple e rotatorie, non senza tragedia per qualcuno, ove si pensi alla fucilazione del maresciallo Michel Ney (1769-1815); non senza psicodrammi per altri, ove si pensi a Benjamin Constant (1767-1830), oppositore dell’Imperatore che alla fine redige per lo stesso una Costituzione liberale.

Napoleone abdica senza condizioni

L'addio di Napoleone alla Guardia imperiale a Fontainebleau, di Montfort

L’addio di Napoleone alla Guardia imperiale nel cortile di Fontainebleau, di Alphonse Montfort

Il 6 aprile 1814, prendendo atto della defezione del maresciallo Auguste Frederic Louis Viesse de Marmont (1774-1852) – che non difende più Fontainebleau contro l’attacco degli Alleati – e soprattutto della scarsa volontà degli altri marescialli, Napoleone si rassegna ad abdicare senza condizioni.
Da Parigi il Senato, custode della Costituzione, quattro giorni prima aveva proclamato la decadenza dell’Imperatore e riconosciuto un governo provvisorio guidato da Charles Maurice de Talleyrand Perigord (1854-1838). Soldati e funzionari erano stati sciolti dal Senato dal loro giuramento di fedeltà a Napoleone e lo sarebbero stati da parte dello stesso Napoleone dopo la firma, l’11 aprile, del Trattato di Fontainebleau, che gli attribuiva la sovranità dell’isola d’Elba. «Signori – aveva dichiarato al suo seguito – dal momento che non sarò più con voi e che avrete un altro governo, occorrerà che voi vi aderiate con lealtà e che lo serviate con lo stesso zelo ed efficacia con i quali mi avete servito. Io ve lo sollecito e ve l’ordino. In tale contesto, quelle che desiderano recarsi a Parigi prima della mia partenza, sono liberi di recarvisi; quelli che vogliono restare faranno bene di significarmi la loro adesione».
Ben presto il palazzo di Fontainebleau si svuota della maggior parte dei generali e degli impiegati della casa imperiale che lo occupano. Qualche partenza fa sensazione. Raza Rustam (1782- 1845), il fedele mamelucco che dormiva in grande uniforme davanti alla porta del suo signore, lascia precipitosamente il palazzo il 13 aprile, con tutti i suoi effetti e, sembra, anche 25 mila franchi che l’Imperatore gli aveva affidato. Rustam dichiarerà, in seguito, di aver tentato di raggiungere l’Imperatore prima del suo imbarco per l’Elba, senza però trovare il proprio cavallo.
La stessa cosa per Louis Constant, il primo fedele valletto di camera dell’Imperatore, scomparso anch’egli nella giornata del 13 aprile o del 14, con denaro e gioielli; una condotta che lo stesso Napoleone giudicherà “infamante”.
La terza defezione viene da un uomo che era appartenuto all’ambiente dell’imperatore: il maresciallo Louis Alexandre Berthier (1753-1815), capo di stato maggiore. Nel momento in cui Napoleone, dopo la firma del Trattato di Fontainebleau, gli rimette il comando di quel che resta dell’esercito, Berthier si affretta ad aderire al governo provvisorio. Il 13 aprile lascia Fontainebleau. L’Imperatore non nasconde la sua delusione, era sicuro che Berthier lo avrebbe seguito all’Elba.
Nel seguito di Charles Philippe di Borbone, conte d’Artois (1757-1836) e poi di Luigi XVIII di Borbone (1755-1824), saranno presenti i marescialli François Joseph Lefebvre (1755-1820), François Etienne Kellermann (1770-1835), Bon-Adrien Jeannot de Moncey (1754-1842), Marmont e soprattutto Berthier.
Parlare di semplice tradimento sarebbe ingiusto, ma l’opinione pubblica giudicherà severamente il comportamento del soldato pronto a dimenticarsi del passato. E come non rimanere sorpresi dalla dichiarazione del maresciallo Charles Pierre Augereau (1757-1816), duca di Castiglione il 16 aprile 1814, all’indomani dell’abdicazione dell’Imperatore: l’alto ufficiale, che ha fatto una brillante carriera nelle campagne d’Italia, spiega ai suoi uomini: «Una nuova Costituzione monarchica, forte e liberale, e un discendente dei nostri antichi re rimpiazzano Bonaparte e il suo dispotismo. I vostri gradi, i vostri onori e le vostre distinzioni vi sono garantiti… Soldati voi siete sciolti dal vostro giuramento… per l’abdicazione di un uomo che, dopo aver immolato milioni di vittime alla sua crudele ambizione non ha saputo morire da soldato… La nazione chiama Luigi XVIII sul trono… Figlio di Enrico IV, egli ne avrà il cuore».
Il comportamento dei prefetti non può che esporsi al sorriso. Certuni, troppo esposti con il regime napoleonico – come nel caso di Louis Texier-Olivier (1764-1849), a Limoges – vengono cacciati dai loro amministrati. Altri vengono allontanati, perché nell’elenco dei regicidi, come nel caso di Antoine Claire Thibaudeau (1765-1854) a Marsiglia. Ma ben 36 su 87 riescono a restare al loro posto. Essi non esitano a mostrare opinioni monarchiche, dopo aver proclamato solo qualche giorno prima la loro fedeltà a Napoleone. E così vengono rapidamente tolte dai saloni delle prefetture le aquile imperiali, sostituendole con i gigli borbonici. I ritratti di Luigi XVIII di Borbone prendono il posto di quelli di Napoleone e i proclami pubblici si concludono ora con “Viva il re” al posto di “Viva l’Imperatore”.
La maggior parte dei senatori siede ormai, senza la minima preoccupazione, nella Camera dei Pari del Regno.
In effetti, queste troppo rapide adesioni alla monarchia da parte di uomini che dovevano tutto alla rivoluzione e all’Impero suscitano prese in giro, trasformate in indignazione quando appare chiara la prospettiva di un possibile ritorno all’Ancien Regime: minacce contro gli acquirenti di beni nazionali, voci di ristabilimento di diritti feudali, riduzione a mezza paga degli ufficiali della Grande Armée, a vantaggio degli emigrati della prima ora.

Tempesta nell’aria

Augereau a Ponte d'Arcole, di Charles Thévenin

Augereau a Ponte d’Arcole, di Charles Thévenin

Il 1° marzo 1815 Napoleone, dopo aver lasciato l’Elba, sbarca nel Golfe Juan. Il Trattato di Fontainebleau non era stato rispettato da Luigi XVIII che aveva rifiutato di versare a Napoleone i due milioni di franchi annuali previsti per alimentare il bilancio dell’isola d’Elba. L’accordo risulta ormai caduco agli occhi di Napoleone, e con esso l’abdicazione. In tale contesto egli rientra in Francia per riprendersi il trono che sente appartenergli.
A questo punto vengono ad affrontarsi due legittimità: quella di Luigi XVIII, riconosciuta da tutti i sovrani d’Europa riuniti al Congresso di Vienna, e quella di Napoleone, risuscitata dalla violazione del trattato di Fontainebleau.
Chi è, a questo punto, il sovrano legittimo? Difficile saperlo. Basti pensare alle multiple crisi di coscienza dello prefetto del Dipartimento del Var, nel cui territorio avviene lo sbarco, al momento di redigere il dispaccio che doveva annunciare a Parigi lo sbarco del Corso: alla fine, per non compromettersi, l’alto funzionario lascia la redazione del documento a un suo dipendente. In effetti, sulla strada che lo porta a Parigi Napoleone incontra quasi solo dei sottoprefetti: quello di Castellane il 3 marzo, quello di Sisteron il 5, e infine un prefetto, Charles Guillaume Gamot (1766-1820) ad Auxerre il giorno 17 marzo, quando è ormai nei pressi di Parigi.
Le adesioni al rinato imperatore si moltiplicano mano a mano che egli si avvicina alla capitale, persino fra vecchi monarchici convinti come Vincent Marie de Vaublanc (1756-1845), che verrà sostituito nella Mosella a vantaggio di Charles François de Ladoucette (1772-1848). La stessa cosa avviene per Prosper Brugiere, barone de Barante (1782-1845) nella Loira. Altri ancora, come Diderot, cambiano solamente di prefettura.
I marescialli non sembrano essere particolarmente preoccupati dalla notizia. Jean de Dieu Soult (1769-1851), ministro della Guerra di Luigi XVIII, si ritrova capo di stato maggiore di Napoleone sul campo di battaglia di Waterloo. Il maresciallo Luois Nicolas Davout (1770-1823) lo rimpiazza al ministero e lo stesso Augereau, che aveva ingiuriato Napoleone l’anno prima, lancia un nuovo proclama: «L’Imperatore è nella capitale. Questo nome, per tanto tempo pegno di vittoria, è stato sufficiente a dissipare davanti a lui tutti i suoi nemici. … I diritti [dell’Imperatore] sono imprescrittibili». Il maresciallo Nicolas Charles Oudinot (1767-1847), duca di Reggio, ancora monarchico agli inizi di marzo, assiste durante i Cento Giorni alla cerimonia del Campo di Maggio a Parigi, nel corso della quale viene promulgata la nuova costituzione liberale dell’Impero. Il maresciallo Edouard Mortier (1768-1835), duca di Treviso, che a Lille proclamava la sua fedeltà a Luigi XVIII, poco prima dell’arrivo di Napoleone a Parigi accetta di comandare la Guardia durante la campagna del Belgio. Successivamente però, presentendo la catastrofe, molto opportunamente si ammala nel momento in cui iniziano i combattimenti.
Il Consiglio di Stato dà l’esempio: Alexandre Maurice Blanc de Lanautte, conte de Hauterive (1754-1830), che riconcilia Joseph Fouché (1759-1820) e Talleyrand Perigord nel 1808, passa da Napoleone al re, dal re a Napoleone e nuovamente da Napoleone al re. Charles François Dulauloy (1761-1832), nominato dall’Imperatore nel Consiglio di Stato nel 1813, presta giuramento a Luigi XVIII e si schiera ancora con Napoleone nel 1815 per diventare governatore di Lione.

Nuovi balletti intorno al re

Joseph Fouché

Joseph Fouché

Fouché, sempre lucido Ministro della Polizia, il 20 marzo aveva predetto la rapida caduta di Napoleone. Il 3 maggio comunica a Etienne Denis Pasquier (1767-1862): «Napoleone sarà obbligato a partire dall’esercito prima della fine del mese… Io desidero che guadagni due o tre battaglie; egli perderà la terza e a quel punto comincerà nuovamente il nostro ruolo. Credetemi, noi conseguiremo una buona soluzione». Fouché si esprime in tal senso anche con Antoine Claire Thibaudeau: «Prendete dei pegni per l’avvenire, assicuratevi alle vostre spalle. Nulla è stabilito».
«Questa perfidia del signor Fouché, ministro di Napoleone, è una delle caratteristiche più singolari di questa epoca», annota Pasquier che aveva servito, anch’egli senza problemi di coscienza, diversi regimi a partire dalla caduta della monarchia nel 1792.
Napoleone, vinto a Waterloo, è costretto ad abdicare una seconda volta il 22 giugno. Ormai a Fouché, in collegamento con Talleyrand, non resta che preparare la restaurazione di Luigi XVIII e contemporaneamente riprende il balletto intorno al monarca, ristabilito sul trono.
Nel 1814 c’era stata appena una epurazione di convenienza che aveva toccato solo qualche regicida. Il re poteva, in effetti, mantenere al suo servizio uomini che avevano votato la morte di suo fratello? Napoleone aveva avuto la preoccupazione, al suo ritorno, di circondarsi di uomini che sembravano essergli fedeli.
L’epurazione che apre la seconda Restaurazione sarà una epurazione con il significato del castigo. Alcuni pagheranno caro quello che apparirà come un tradimento: Michel Ney e il colonnello Charles Angélique François Huchet, conte de La Bedoyere (1786-1815), saranno condannati a morte. Questa volta i regicidi vengono proscritti. Ma, nell’insieme, una gran parte dei marescialli, i grandi corpi dello Stato, i prefetti riescono a sfuggire alle sanzioni e si ritroveranno, nel 1830, al servizio di Luigi Filippo di Borbone Orleans (1773-1850).
Effettuati alla luce del sole, questi cambiamenti di campo mirano esclusivamente alla conservazione dell’impiego, degli onori e delle dotazioni annesse. Nessuno di questi ha a cuore l’interesse del paese. La rivoluzione aveva messo in luce la corruzione di generali e uomini politici come Honoré Gabriel Riqueti de Mirabeau (1749-1791), un Georges Jacques Danton (1759-1794), un Jean Charles Pichegru (1761-1804). Nella crisi del 1814-1815, alla venalità si aggiungono l’opportunismo e la vigliaccheria.

Il Dizionario delle Banderuole

Illustrazione tratta dal Dizionario delle Banderuole, 1815

Illustrazione tratta dal Dizionario delle Banderuole, 1815

Un’immagine riassume questo comportamento di carattere generale: la banderuola che segue la direzione del vento. Nel mese di agosto del 1815 ad Alexis Eymery (1774-1854), libraio residente al 30 di Rue Mazarino, viene l’idea di pubblicare il Dizionario della Banderuole (Dictionnaire des Girouettes) di Cesar de Proisy d’Eppe (1788-1816) e Leon Thiessé (1793-1854), «un’opera nella quale vengono riportati i discorsi, proclami, estratti d’opera ,scritti sotto i governi che si sono succeduti in Francia da 25 anni; e i posti, i favori e titoli che hanno ottenuto nelle diverse circostanze uomini di Stato, gente di lettere, generali, artisti, senatori, musicisti, vescovi, prefetti, giornalisti, ministri, ecc». Ogni personaggio si vede attribuire una banderuola in funzione del servizio prestato. Il ministro Talleyrand Perigord ne ottiene complessivamente 12 e siamo appena nel 1815. Il successo di questo grosso volume di circa 500 pagine è enorme: esaurito nel giro di qualche giorno, viene rieditato immediatamente tanto da avere, nel corso dello stesso anno, ben tre edizioni.
Il Dizionario verrà letto dallo stesso Napoleone a Sant’Elena, «non senza disgusto» dirà il suo biografo, Emmanuel Augustin Dieudonné, conte di Las Cases (1766-1842).
La lista dei personaggi citati nella prima edizione comporta 780 nomi, ai quali si aggiungono 15 istituzioni o corpi costituiti, che vanno dall’Accademia dei giochi floreali di Tolosa,agli uffici dell’Università di Parigi.
Ma è soprattutto fra i membri del Corpo Legislativo che si trova il maggior numero di uomini rimasti al potere a dispetto dei cambiamenti di regime. Nel 1815, circa 214 degli eletti risulta nominato con uno scrutinio anteriore al 1799 o per volontà di Napoleone. Secondo altre fonti il numero di questi eletti dovrebbe essere superiore e inoltre bisognerebbe tener conto dei differenti mandati per una sola persona: 36 costituenti, 20 membri della Legislativa, 39 convenzionali, almeno 36 eletti al Direttorio (20 anziani e 16 dei cinquecento), 25 tribuni e 129 deputati del Corpo Legislativo consolare e imperiale.
Alla fine dell’impero, 121 deputati passano senza problemi – con discorso e giuramento di vassallaggio – dal Corpo Legislativo di Napoleone alla Camera dei Deputati di Luigi XVIII Borbone. A tutti questi eletti occorre associare 106 senatori, la cui stragrande maggioranza è stata nominata indifferentemente dall’imperatore o dal re, prima di accedere alla condizione di Pari di Francia. «Qualsiasi cosa si faccia – riconoscevano gli autori del Dizionario – si potrà ritrovare su tutte le liste delle Assemblee Legislative o dei deputati i nomi dei suddetti signori, che, come si può constatare, sanno meglio di chiunque altro cosa è una Costituzione e come si presta giuramento».
Fra i grandi commessi (commis) dello Stato, il primo Corpo a essere fustigato per il suo cambio di casacca è l’Esercito. Nel 1815, 151 ufficiali superiori, marescialli, generali, ammiragli o funzionari dell’Esercito (ovvero il 18,5%) provengono dal servizio all’imperatore. Nonostante la loro fama, i redattori del Dizionario non esitano a lanciare contro di essi tutto il mordente della loro satira aggressiva. Evocando il generale Pierre François Augereau, duca di Castiglione, essi mostrano un sottile piacere nel riprodurre i suoi discorsi confusi. Dopo la sconcertante dichiarazione del 16 aprile 1814, il 22 marzo 1815 – qualche giorno dopo il ritorno di Napoleone – il duca di Castiglione davanti alle sue truppe aveva presentato Napoleone così: «[uomo] sedotto dalla nobile illusione (il bene della Patria), egli ha creduto di dover sacrificare la sua gloria e la sua corona. Smarriti, malgrado tanta magnanimità, noi abbiamo fatto allora giuramento di difendere altri diritti che i suoi; i suoi diritti sono imprescrittibili ed oggi egli li reclama; mai essi sono stati così sacri per noi… Innalziamo dunque i colori della Nazione». Avendo però Napoleone rifiutato questa meschina adesione, Luigi XVIII lo re insedia nelle sue funzioni alla Camera dei Pari, per la sua mancata defezione durante i Cento Giorni! La morte nel corso del 1816 gli eviterà ulteriori sconfessioni.
Il terzo gruppo indicato dal Dizionario delle Banderuole è composto da alti funzionari che «hanno prestato giuramento di fedeltà, all’Imperatore e al re». Essi costituiscono i grandi Corpi dello Stato e della funzione pubblica: scuole di diritto e di medicina, ufficiali giudiziari, ufficiali del Corpo Legislativo o del Senato, direzione generale dei ponti e delle strade, delle miniere, Corte di Cassazione e, infine, Uffici dell’Università.
Un altro editore pubblicherà un Dizionario degli immobili, «attraverso gli uomini che fino al momento non hanno prestato alcun giuramento e non hanno osato giurare nulla». Si tratta di quelli che avevano prestato un solo giuramento e al quale erano rimasti fedeli. L’autore ne trova appena 17 e il suo libro non supererà le 38 pagine.
Più tardi, il drammaturgo Jean Anouilh (1910-1987) scriverà su questo periodo, ma pensando agli anni 1940-45, uno fra i suoi lavori migliori, La Foire d’empoigne (La fiera dell’accatto).

Anche la storia passata e recente del nostro Paese offre una ricca casistica di personaggi disposti a salvare quel che resta delle loro fortune invocando il “bene della Patria”. Saltare sul carro dei vincitori al momento opportuno, al grido di “tengo famiglia” è un vizio diffuso, un segno di “furbizia” e di “equilibrismo” latino. Del resto, il trasformismo politico è un’arte tipicamente italiana, entrata ormai di diritto nel nostro DNA. Ma a questo punto parlare di “banderuole” o di voltagabbana nostrani costituirebbe un inutile esercizio intellettuale. Lo abbiamo già indicato in premessa, ogni riferimento a cose e persone dell’attualità è… puramente casuale.

 

Per saperne di più

Jean Tulard, Les Vingt Jours, Louis XVIII ou Napoleon? – Editions Fayard, 2001.
Cesar de Proisy d’Eppe e Leon Thiessé, Dictionnaire des girouettes: ou Nos contemporains peints d’après euxmêmes – Parigi, Eymery, 1815.
Pierre Serna, La république des girouettes. 1789-1815 et au-delà. Une anomalie politique: la France de l’extrême centre – Parigi, Champ Vallon, 2005.
Orion (Jean Maze), Nouveau dictionnaire des girouettes – Editions Le Régent. 1948.