FRANCESCO DE SARLO E L’ISTERIA DELLA REGINA DI SVEZIA

di Michele Strazza -

Medico, psicologo e filosofo, De Sarlo diede un contributo fondamentale agli sviluppi scientifici e al dibattito filosofico tra Ottocento e Novecento, arrivando persino ad anticipare alcune intuizioni freudiane nel campo dell’inconscio. Tra i suoi studi fondamentali, quello sull’“isteria” della regina di Svezia Cristina.

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Francesco De Sarlo nel 1924

De Sarlo nel 1924

Fervido sostenitore della psicologia sperimentale, Francesco De Sarlo (1864-1937) fu il fondatore della Scuola di psicologia fiorentina. Vastissima la sua produzione scientifica. Originalissimo il suo studio sull’isteria della regina di Svezia Cristina (1626-1689), pubblicato nel 1892, nel quale concentrava il suo interesse su un classico caso di patologia derivante dal conflitto tra intelligenza e ambiente, cui non rimanevano estranei i fattori genetici.
Per scandagliare l’animo, alquanto contraddittorio, della regina De Sarlo finiva con l’utilizzare un metodo di studio interdisciplinare, tra storia e psicologia, che gli avrebbe consentito di risolvere «molti enigmi».
Di fronte ad una personalità complessa, definita «poliedro a molte facce», egli si chiedeva, innanzitutto, se tale personalità dovesse essere inserita «nel numero dei normali o degli anormali». La risposta era di considerarla un esempio di isteria, causato dalla lotta interna tra le doti di intelligenza e le pressioni dell’ambiente. Una influenza non indifferente la ebbero anche i fattori genetici ereditati dal padre, il re Gustavo Adolfo, e dalla madre, la regima Maria Eleonora. A una prima educazione mascolina si aggiunsero, poi, la ribellione, la rinuncia al trono, il trasferimento in Italia, la vita lussuosa e l’abbandono del luteranesimo.

Ma seguiamo il percorso di studio di De Sarlo. Innanzitutto, egli poneva l’accento sull’influenza del padre. Da lui, «uno dei più grandi geni del suo tempo: spirito altero ma non superbo, fiero e generoso verso i nemici, equanime e sincero verso gli alleati», Cristina «non poté che ereditare le migliori qualità, quali l’ingegno, il coraggio, l’energia». Dalla madre, «bella, ma di carattere balzano», «vanitosa all’eccesso, debole di volontà e, pare, anche poco istruita, o almeno di un livello intellettuale di molto inferiore al marito», ereditò, appunto, tali caratteri.
Prima di determinare in che modo in Cristina di Svezia «si fondessero i caratteri tanto diversi fra loro dei suoi genitori», De Sarlo si proponeva di parlare dell’educazione da lei ricevuta, specie nei primi anni, «giacché le due influenze, l’ereditaria e l’educativa si compenetrarono a vicenda».
La nascita della futura regina non venne accolta «con molto entusiasmo, perché i genitori avrebbero desiderato un maschio». Mentre la madre «ne rimase addoloratissima e ne diè prova fin che ella visse», il padre finì con l’affezionarsi alla bambina, tanto che, «sebbene essa fosse bambina, la conduceva con sé alla caccia e ai campi di esercitazione militare facendole indossare, forse per comodità, abito maschile e facendola anche cavalcare al suo fianco».

La Guerra dei Trent’anni purtroppo interruppe questo rapporto e, quando il re morì, la madre la costrinse a un rigido lutto. Ma ella si ribellò a tale tenore di vita, dedicandosi a uno studio «assolutamente frenetico»: a 10 anni dedicava 12 ore al giorno alle matematiche e alle lingue; a 16 anni conosceva già 6 lingue e si intendeva di letteratura, di musica e di archeologia; a 18 anni presiedeva il senato.
Lo studio sfrenato, il preferire la compagnia degli adulti, soprattutto maschili, a quella dei suoi coetanei, tutto questo «non era cosa da trascorrere senza lasciare alcun effetto», diventando «una causa esauriente».
E non v’è stato chi non abbia voluto vedere in tutto questo l’affacciarsi, in De Sarlo, dell’anticipazione di «un tema divenuto poi classico nell’indagine psicoanalitica: il modello edipico», con «la conseguente incapacità di identificarsi con ruoli femminili e con la figura materna, sino alla manifestazione di una accentuata ‘incertezza’ sessuale presente in un carattere bizzarro e scisso».
A 22 anni, ormai del tutto stufa della sua permanenza a corte e delle difficoltà finanziarie del regno, cui aveva contribuito essa stessa, abdicava e si recava in Italia dove viveva nel lusso, esprimendo una personalità simile a quella materna con la sua vanità e le sue frivolezze, nonché diverse manie come l’astrologia e la chiromanzia, condite con esasperazioni magiche. Aveva, peraltro, anche abbandonata la religione luterana. Volubilità e contraddittorietà caratterizzarono la sua permanenza a Roma, a stretto contatto con gli ambienti papali che, a giorni alterni, criticava ed elogiava, non disdegnando di proteggere delinquenti e di ordinare addirittura l’omicidio di chi aveva osato parlar male di lei.

Dopo aver analizzato, dunque, le profonde contraddizioni della personalità di Cristina, «donna di genio», ma anche tendente all’intrigo e ad altre bassezze, De Sarlo ne individuava «il carattere fondamentale della psiche» nella «mancanza di unità nei suoi pensieri e nelle sue azioni», espressione di «un grado notevole di debolezza di volontà e di energia». Tutte le altre caratteristiche ne costituivano corollari, dalla mancanza di freni inibitori, l’irrequietezza, la voglia di apparire, il fantasticare, l’egoismo, l’immoralità.
La risposta, dunque, alla domanda iniziale se il carattere di Cristina di Svezia dovesse essere classificato come normale o anormale, andava fornita innanzitutto dalla psicologia patologica, la quale non poteva concludere per una diagnosi di isteria: «La patologia nervosa ammette, infatti, una forma morbosa a sé, caratterizzata da un complesso di fenomeni svariatissimi, dei quali si possono fissare taluni capaci di guidarci alla diagnosi sicuramente. Tali sono: l’egoismo, la vanità, la contraddittorietà, l’insensibilità morale, la tendenza a fantasticare e ad andare vagando, la leggerezza e la svegliatezza dell’intelligenza, fatti che per la più parte possono essere riguardati come conseguenze della debolezza di volontà».

De Sarlo, però, non si accontentava di tale responso della psicopatologia, non bastando «una semplice definizione dello stato mentale di un personaggio storico», diventando, invece, importante inquadrare lo svolgimento di una data forma morbosa all’interno dell’ambiente storico in cui il soggetto era vissuto e, nello stesso tempo, analizzare quale parte avesse avuto la malattia «nello svolgersi degli avvenimenti dal medesimo individuo compiuti». Solo in tal modo la psicopatologia avrebbe interpretato in maniera compiuta una figura storica: «Se noi ci fossimo arrestati alla semplice definizione dello stato mentale di Cristina, caratterizzandola come isterica, che cosa avremmo fatto? Avremmo espresso complessivamente con una sola parola l’insieme dei caratteri psicologici da lei presentati, ma la scienza e la storia nulla ci avrebbero guadagnato. L’isterismo infatti esprime un aggruppamento di fenomeni svariatissimi, i quali possono essere determinati da numerose cause; e finché non si sarà giunti a precisare queste ultime, colla parola isterismo non si sarà significato che una quantità di sintomi privi di un valore positivo. Nel caso di Cristina, per esempio, quel complesso di fatti (egoismo, vanità, leggerezza, debolezza di volontà ecc.) che noi abbiamo con una parola battezzato isterismo, riconosce ben altre cause ed un meccanismo di produzione ben diverso da quello di un’altra forma qualunque d’isterismo: e il compito della psicologia storica sta appunto nel mettere in evidenza le cause e l’evoluzione di una data forma morbosa in rapporto all’ambiente storico. Bisogna tenere a mente che gli stati morbosi dell’animo non sono come le malattie comuni di cui ciascuna ha causa, processo, sostrato anatomico, decorso ed esito stabile e fisso; in ogni caso di quelli per contrario si può dire che si trovi qualchecosa di proprio e di speciale, perché ogni individuo ha una costituzione mentale differente, e vive in condizioni storiche e sociali diverse».

Cristina di Svezia a cavallo, di Sébastien Bourdon, 1653

Cristina di Svezia a cavallo, di Sébastien Bourdon, 1653

Se, infatti, si rifletteva sul corso degli avvenimenti della vita di Cristina – affermava De Sarlo – si arrivava alla conclusione che, se fosse stata educata diversamente e avesse potuto applicare il suo ingegno e l’esuberanza della sua attività mentale in imprese grandi e gloriose, non sarebbe apparsa come un’isterica: «L’isterismo, insomma, in lei non è qualche cosa di fatale che essa ebbe in retaggio dai suoi antenati, ovvero che le sopravvenne in seguito ad una o più cause determinate, ma sta a rappresentare l’epilogo di una grande lotta di elementi ed il risultato finale della grande opposizione, che la sua intelligenza incontrò nell’ambiente in cui visse. L’isterismo così esprime l’esito, la conseguenza, i cui antecedenti possono essere diversissimi, e finché non si saranno determinati questi ultimi non si potrà dire di aver interpretato psicologicamente una determinata pagina di storia, ma si sarà solamente espresso con una sola parola quello che prima si diceva con più. Che differenza fondamentale esiste tra l’affermare che Cristina fosse isterica e il dire che essa avesse un carattere balzano, egoistico, capriccioso, leggero, fiacco ecc. ecc.? Nessuna a noi pare: ma se per contrario si mostra in che modo la sua mente, di fronte a date condizioni si sia andata a grado a grado svolgendo, se si cerca di mettere in chiaro come la sua intelligenza in parte per le influenze ereditarie sia stata costretta a modellarsi in una data guisa, e se infine si segue l’azione che lo spirito del suo secolo e i vari avvenimenti del tempo hanno dovuto esercitare sulla sua volontà, allora si che si sarà ricostruita in modo scientifico la figura storica».

In questo caso – precisava De Sarlo – la diagnosi d’isterismo diventava soltanto «un fatto accessorio», figurando come l’esito di una lunga serie di fatti veramente importanti e degni di essere conosciuti. Non era, dunque, l’isterismo «il fatto fondamentale», quello che aveva determinato per primo il corso degli avvenimenti della vita di Cristina, dandole una propria fisionomia psicologica, ma costituiva solo «l’espressione esterna o l’effetto di fattori interni profondi». Di qui la conferma, per De Sarlo, di «uno dei compiti della psicologia storica intesa in modo giusto», cioè quello di indagare fino a che punto la forma morbosa avesse avuto parte nella produzione dei fatti, gloriosi o no, compiuti dal personaggio in esame.
De Sarlo non accettava, quindi, un modello onnicomprensivo della personalità di Cristina ma, utilizzando un approccio multidisciplinare, tra lo storico e il psicologico, si preoccupava di sondarne l’animo, nel suo divenire, e spiegando cause e ragioni dei suoi tratti. Il tutto inquadrato nel vissuto storico della regina e nelle dinamiche affettive e relazionali, per meglio comprenderne permanenze e variabilità psichiche. Era, in definitiva, la vittoria di una impostazione dinamica, psico-storica, su una più convenzionale, limitatamente descrittiva.
Il filosofo lucano concludeva, perciò, l’ampia dissertazione affermando che «le forme morbose mentali» andavano considerate come «complessi di fenomeni» presupponenti «fattori genetici variabili e da determinarsi in ogni singolo caso». Ciò portava a fare «scemare di molto l’importanza della psichiatria nella storia», per cui appariva come «un’illusione» quella di credere che una delle basi della storia fosse «la patologia della mente». Per De Sarlo, dunque, «il metodo positivo» non doveva limitarsi «a battezzare con un nome tolto dalla patologia» un insieme di fenomeni storici, ma doveva indagare sulla genesi e sul modo di svolgimento degli stessi fenomeni i quali, «morbosi o no», andavano accuratamente studiati «nelle loro cause e nella loro natura».

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Per saperne di più
De Sarlo F., Sulla psicologia di Cristina Regina di Svezia del Dott. F. De Sarlo, Reggio Emilia, Tip. S. Calderini e F., 1892, estratto da “Rivista sperimentale di Freniatria e Medicina legale”, XVIII (1892), n. 3-4, pp. 1-20.
Libutti A., Il linguaggio dell’inconscio in Francesco De Sarlo (1887-1907), in AA.VV., “Storia di folli e di follie. Psichiatria e poteri in una regione a rischio”, Rionero (PZ), Calice ed., 1990.
Libutti A., Cristina di Svezia. Una fuga dalla femminilità, Rionero (PZ), Calice Ed., 2003.
Strazza M., Tra psicologia e filosofia: Francesco De Sarlo, in “Storia e Futuro”, n. 41, giugno 2016.