FILIPPO IV IL BELLO

di Massimo Iacopi -

Governando attraverso i suoi giuristi, il re francese incarna la nuova potenza dello Stato nazionale di fronte al papato e alla potenza dell’oro.

La figura di questo re è tragica ed ambigua allo stesso tempo. Simbolo della sovranità nazionale di fronte al potere del denaro e dei papi, Filippo è anche il simbolo dell’assolutismo nascente e dello strangolamento delle libertà feudali. Nessuna vittoria di grido illumina il prestigio delle armi di questo monarca, che compare raramente sui campi di battaglia (“Non è concepibile che un principe debba sopportare l’aleatorietà e i pericoli della fortuna”) e avanza sempre circondato dal suo seguito.
Nessuna cronaca ci riporta nel dettaglio il carattere di questo personaggio enigmatico che alcuni dicevano essere pio come suo nonno Luigi IX (1214-1270). Molto meno gradito nell’immaginario collettivo rispetto al suo glorioso antenato, egli resta il sovrano dei giuristi imbevuti dell’incrollabile fiducia del loro padrone, che difendono la sua autorità con asprezza, arrivando persino ad attaccare fisicamente la stessa persona del pontefice. Filippo è il monarca che per riempire il suo tesoro non smette mai di manipolare la moneta e di imporre tasse ai suoi sudditi, anche a rischio di intaccare la prosperità del regno. Ostile ai Templari, il sovrano li fa condannare al rogo. Filippo è il re maledetto attraverso il quale la disgrazia arriva sulla dinastia capetingia, che la sua politica porta quasi all’estinzione.
Il suo personaggio ha fatto la felicità degli appassionati del Medioevo, ricco di tante ombre e poche luci, legato a cospirazioni, tradimenti, segreti d’alcova, anatemi e roghi di tesori nascosti. Tuttavia, dietro questo alone misterioso e romanzesco che troppo spesso snatura la realtà del suo regno, la figura di Filippo è quella di un re di “marmo e di ferro”, moderno, che si accanisce contro tutti per assicurare l’indipendenza e la grandezza del regno, allora al culmine della sua potenza.

philippe_iv_le_belFilippo IV (1268-1314) sale al trono nel 1285, alla morte di Filippo III l’Ardito. Dotato di una forza, che stupisce chi l’avvicina, questo bel giovane di diciassette anni, esperto di caccia, è già sposato con Giovanna di Navarra, e subito viene messo di fronte agli imperativi politici. Suo padre si era lanciato con un certo azzardo nella conquista dell’Aragona, dominio del quale intendeva dotare suo figlio Carlo conte di Valois. È in effetti a danno di questi che Pietro III d’Aragona, nel 1280, si era impadronito della Sicilia: un’azione che gli era valsa la scomunica e la perdita dei suoi possedimenti ad opera del papa. Il giovane principe riesce a sbrogliare questa delicata matassa mediterranea, imponendo nel 1291 la pace a suo zio Alfonso III d’Aragona.
Quanto a Carlo di Valois, egli rinuncia alla sue pretese in cambio (1290) del Maine e dell’Angiò, antico appannaggio dei re di Napoli. Filippo IV il Bello ha così le mani libere per condurre una politica pragmatica, orientata all’acquisizione di due prospere e strategiche regioni poste ai confini del regno: la Guyenna e la Fiandra. A dispetto delle relazioni molto cordiali fra Filippo ed Edoardo I Plantageneto d’Inghilterra, che gli presta omaggio vassallatico per i possedimenti aquitani, la degradazione delle relazioni fra i marinai normanni e guasconi, spesso allo scontro in vere e proprie battaglie navali, porta il re a convocare il suo vassallo. Questi però si rifiuta di aderire all’invito.
A partire dal 1294 la Guyenna viene occupata ed Eduardo non vi rimetterà più piede. Il sovrano inglese, già impegnato in Scozia contro la ribellione di William Wallace, preferisce aprire un altro fronte contro Filippo, allontanando il conte di Fiandra dall’obbedienza francese. In effetti, il conte Guy de Dampierre rimproverava al suo sovrano francese il fatto di avergli impedito un’alleanza matrimoniale con i Plantageneti e di appoggiarsi su una grande parte della nobiltà e del patriziato urbano fiammingo, i Leliaerts (partigiani dei fiordalisi), per accrescere il suo potere sul feudo e per impedire l’importazione di lana inglese, indispensabile alla fiorente produzione tessile dei suoi artigiani.
L’operazione anglo fiamminga condotta nel nord, però, è destinata al fallimento. Roberto d’Artois, cugino ed inviato di Filippo, vince la battaglia di Furnes e la città di Lilla passa sotto la diretta dominazione francese. L’arbitrato del papa consente di siglare la riconciliazione fra la Francia e l’Inghilterra, in occasione della Convenzione di Montreuil nel 1299, attraverso un doppio matrimonio: Edoardo I deve sposare Margherita di Francia, la sorella di Filippo il Bello, ed il figlio Edoardo II deve impalmare Isabella (soprannominata la Lupa di Francia), figlia del re di Francia. La Guyenna ritorna nella mani inglesi ad eccezione di Bordeaux, mentre Guy de Dampierre viene a ritrovarsi completamente isolato davanti alla vendetta del sovrano.

Allorché questi viene in Francia a fare ammenda onorevole dei suoi atti, il re, implacabile non gli perdona il tradimento e lo imprigiona e la Francia viene direttamente governata dai suoi inviati. Il 18 maggio 1302, però, la popolazione di Bruges si solleva e massacra la guarnigione francese (Mattinata di Bruges). Il contingente di agguerriti cavalieri, inviato per vendicare questi morti, viene letteralmente fatto a pezzi dalla fanteria fiamminga a Courtrai (Kortrejk) l’11 luglio seguente (Battaglia degli Speroni d’Oro, cioè quelli dei francesi uccisi in battaglia). Filippo potrà riprendere la sua rivincita solo due anni dopo a Mons en Pevele. Il Trattato di Athis, siglato successivamente per appianare le profonde divergenze fra il re ed il suo vassallo, non sarà mai veramente applicato, ma consente tuttavia a Filippo di conservare Lilla, Douai e Bethune a titolo definitivo.
Altri territori vengono ad aggiungersi in modo più pacifico ai domini della corona (la Champagne, portata in dote dalla regina, il Bar, Valenciennes, Tournai, Lione, Chartres, l’Angouleme, la Bigorre, ecc.). Ma nel suo complesso la politica estera di Filippo viene a costare cara. I negoziati hanno un prezzo e la mobilitazione dell’esercito anche. Orbene poiché le entrate di Filippo, tratte dai domini reali e dalle imposte straordinarie consentite dalla popolazione, non sono più sufficienti a coprire le sue spese, il sovrano si vede costretto a ricorrere a metodi violenti. Gli ebrei, che dispongono di crediti rilevanti, vengono perseguitati e minacciati d’espulsione se non lasciano al re i proventi derivanti dall’usura, poi requisiti nel 1306 al momento dell’espulsione dal regno. I Lombardi, ad eccezione di Biche e Mouche de’ Franzesi (Albizzo detto Biccio e Musciatto di Guido de’ Franzesi, fiorentino), i due banchieri italiani del re, subiscono la stessa sorte. Nel 1294 e nel 1296 Filippo arriva ad imporre una specie di tassa sulle entrate (centesimi e cinquantesimi). L’alterazione della moneta (1295-96, 1303, 1306) gli consente inoltre di imporre nuovi balzelli sulla monetazione, a vantaggio del debito reale. I parigini, toccati sensibilmente da queste misure di deflazione finiscono per sollevarsi nel 1306. I francesi falliscono e finiranno a loro volta in disgrazia e saranno soppiantati dai Peruzzi, fiorentini anche loro, ma i loro precedenti e lungimiranti investimenti in Toscana consentiranno ai discendenti del loro fratello Nicolò di condurre una vita agiata.

La pressione finanziaria porta il re ad imporre tasse anche al clero, che, secondo le consuetudini, accordava fino ad allora dei doni alla Corona, fatto che avrà conseguenze anche drammatiche. Papa Bonifacio VIII reagisce violentemente a questo comportamento denunciato come un tentativo di mettere il clero sotto tutela. Ma a dispetto del suo orgoglio leggendario, questo papa, peraltro molto contestato, deve cedere sulla difesa dell’immunità ecclesiastica. Filippo IV vieta in effetti qualsiasi uscita di oro, argento ed armi dal regno, paralizzando la politica temporale del pontefice, incastrato nelle lotte italiane. Il conflitto assume una nuova dimensione all’inizio del XIV secolo: Bonifacio VIII, sulla scia del successo del Giubileo celebrato a Roma, prende spunto dall’arresto del Vescovo di Pamiers (Bernardo Saisset), per svelare le sue pretese teocratiche. Attraverso la bolla “Unam Sanctam”, egli afferma la superiorità del potere spirituale sul potere temporale e si erge a giudice supremo della politica reale. Filippo il Bello convoca a sua volta un certo numero di assemblee (talvolta presentate come i primi Stati Generali del regno), per convincere i propri sudditi della necessità di riunire un Concilio al fine di giudicare un papa accusato, tra l’altro, di simonia, eresia e magia. Per prevenire la scomunica del re, il cancelliere Guglielmo de Nogaret viene inviato in Italia con il compito di arrestare Bonifacio. Aiutato dai Colonna, essi stessi ridotti a mal partito dal pontefice, egli pone l’assedio alla città di Anagni, dove Bonifacio si era rifugiato. Brutalizzato dal cancelliere, il pontefice, scosso dal corso degli avvenimenti, muore un mese più tardi lasciando così l’ultima parola al sovrano francese. Il nuovo eletto, papa Benedetto XI, si vede costretto ad assolvere il re e i suoi baroni (ad eccezione del Nogaret) dalle violenze perpetrate contro il suo predecessore, prima di lasciare il posto libero ad un papa francese, Clemente V (Bertrando de Got), arcivescovo di Bordeaux, eletto al soglio pontificio proprio a seguito delle macchinazioni del re di Francia. Filippo obbliga il nuovo pontefice a consacrarlo in una cerimonia pubblica a Lione ed a prendere sede ad Avignone, alla diretta portata delle influenze francesi, nonché a sostenere la sua lotta contro i Templari.

Filippo il Bello aveva progettato insieme all’imperatore di condurre una nuova crociata. A tal fine auspicava la fusione fra gli Ospedalieri ed i Templari, cosa che quest’ultimi rifiutavano categoricamente. Ma è soprattutto l’incommensurabile ricchezza dell’Ordine che spinge Filippo IV a perseguitare i Templari, interessati ormai più alle banche che alla fede. Nel 1307, mentre negoziava da lungo tempo con Clemente V la dissoluzione dell’Ordine, il re francese fa arrestare tutti i monaci cavalieri presenti nel regno e ne fa sequestrare i beni, dei quali l’essenziale verrà passato agli Ospedalieri. La maggioranza dei cavalieri arrestati confessano, sotto tortura, crimini esecrabili e poco verosimili. L’Ordine alla fine viene non solo condannato, ma finanche soppresso nel 1312. Due anni più tardi, il 18 marzo 1314, il Gran Maestro Jacques de Molay e quattro dignitari vengono condotti al rogo per avere ritrattato le confessioni estorte con la tortura.
La leggenda a questo punto diventa storia. Che i suoi familiari siano stati o meno maledetti e condannati fino alla tredicesima generazione, Filippo, vedovo inconsolabile dalla esemplare pietà, vede la fine del suo regno macchiata dagli errori delle sue nuore Margherita di Borgogna e Bianca di Borgogna, che tradiscono i rispettivi mariti, Luigi e Carlo, con due cavalieri della casa reale. Le giovani donne vengono imprigionate in terribili condizioni (Bianca viene imprigionata per sette anni prima di essere autorizzata ad entrare in un ordine. gli amanti vengono fatti a pezzi sulla pubblica piazza). Il castigo, volutamente esemplare, è all’altezza dell’affronto portato alla famiglia reale e al rischio corso dalla dinastia, la cui legittimità avrebbe potuto essere compromessa dalla indegnità della condotta delle due principesse francesi.

“Non è un uomo, né una bestia. È una statua” scrive il Vescovo di Pamiers nei riguardi di Filippo il Bello. L’impassibilità, i silenzi di un re dotato di un perfetto self control, che presiedeva ma non profferiva alcuna parola, hanno fatto nascere dei dubbi sulla sua effettiva implicazione negli affari del regno. Era forse manipolato dai famosi giuristi che lo circondavano? “La politica del re è stata… la politica dei suoi consiglieri; quello che viene ascritto direttamente al sovrano è stato il discernimento con il quale li ha scelti, lo spirito innovatore con il quale li ha imposti e la costanza con la quale li ha sostenuti” (Jean Favier). Confortato dalle competenze riunite all’interno di questa specie di Curia regis, egli sembra aver beneficiato dei talenti e della perfetta conoscenza del diritto romano di questi uomini di estrazione borghese o provenienti dalla piccola nobiltà, spesso ufficiali di giustizia o di finanza, per condurre in porto una politica di cui è stato comunque l’iniziatore. I suoi consiglieri hanno contribuito a sviluppare in sua vece l’idea dello Stato come potenza indipendente ed inalienabile. Vassalli del re, fiduciosi nel suo indefettibile supporto, essi segnano paradossalmente la nascita di una funzione pubblica distinta dal servizio privato del sovrano, tanto più efficace per il fatto che non cessa di specializzarsi.
Infine, Guglielmo de Nogaret, Enguerrand de Marigny e gli altri, parlando a suo nome e fortemente criticati per questo nuovo modo di governare, hanno contribuito al rafforzamento della maestà di un sovrano, da molti giudicato come “un devoto della religione monarchica”. Re parsimonioso per se stesso, ma che non ha badato a spese per lo splendore della sua corte, egli ha ampiamente contribuito alla sacralità della figura del monarca. “I re che sono unti nell’incoronazione, non hanno più, a quello che sembra, il puro ruolo dei laici: lo oltrepassano”, scrive il cardinale Jean Le Moine sotto il suo regno.
Se l’ambizione teocratica dei papi è stata definitivamente spianata dopo il tragico episodio di Bonifacio VIII, il regno di Filippo il Bello è stato segnato delle prime avvisaglie di un assolutismo reale destinato alle derive che tutti conosciamo.
Alla sua morte numerosi problemi restano in sospeso: le divergenze con la Fiandra non sono state appianate, mentre i matrimoni di Edoardo I e di Edoardo II saranno il punto di partenza delle rivendicazioni inglesi al trono di Francia, a partire dal 1328, quando i suoi tre figli sono già morti senza discendenza maschile.
Cosciente del pesante fardello che incombe su colui che si è mutato da signore in un vero sovrano, il re avrà le seguenti parole per suo figlio Luigi X, l’Attaccabrighe “Pesate, Luigi, valutate bene quello che significa essere re di Francia”. Un peso eccessivo, come si vedrà più tardi.

Per saperne di più
Bordonove, Georges, Philip le Bel, Pygmalion, 1997
Druon, Maurice, Les Rois maudits, vol. 7, 1955-1977
Favier, Jean, Philip le Bel, Fayard, 1998
Favier, Jean, Un conseiller de Philippe le Bel: Enguerran de Marigny, Paris, Presses universitaires de France, 1963
Gobry, Ivan, Le Procès des Templiers, Perrin, 1995