FILIPPO II, RE DI MACEDONIA

di Massimo Iacopi -

Divenuto re in un momento il cui il regno di Macedonia lottava senza successo su diversi fronti, Filippo fu considerato dai posteri alla stregua di un despota. La radicale riforma dell’esercito da lui voluta, attraverso la creazione di nuove unità e l’adozione di nuove tattiche e armamenti, trasformò il regno macedone nella più grande potenza militare del tempo. In soli ventitré anni, tutta la Grecia avrebbe subito il dominio di Filippo. E su quel potere il figlio Alessandro avrebbe edificato un impero.

Filippo il Macedone, discendente dalla famiglia reale degli Argeadi, che affermava di derivare da Ercole (figlio valoroso e invincibile di Giove), nasce a Pella, la capitale dello stato, nel 382 a.C., terzo figlio del re Amyntas III. Egli accede al potere in qualità di reggente e tutore durante la minore età di Amyntas IV (giustiziato da Alessandro nel 336 a.C.), figlio di suo fratello Perdicca III. Filippo assume la guida del regno in un momento estremamente critico, dopo la morte di Perdicca, perito insieme a quattromila uomini nella sfortunata battaglia contro gli Illiri di Argeo II (pretendente al trono di Macedonia e re per due anni) del 359. a.C. A quel tempo la Macedonia era minacciata, oltre che dai suoi vicini, anche dalle dispute intestine nell’ambito della famiglia regnante. Il giovane Filippo, ventiseienne, riuscirà non solo a mantenersi sul trono, ma anche a consolidare la monarchia ridando vigore all’unità dei Macedoni, estendendone le frontiere e accrescendone la prosperità e la potenza. Nel giro di pochi anni, il nuovo sovrano, per mezzo delle sue conquiste e dei suoi abili interventi nei conflitti interni alla Grecia, riuscirà a trasformare il regno in una potenza egemone. Affidandosi all’esercito e sul suo talento diplomatico, egli diventerà l’arbitro politico incontestato dall’Ellesponto al Peloponneso.

Filippo, monarca ambizioso

La sua prima iniziativa sarà quella di costituire un esercito di mestiere, ben equipaggiato e disciplinato; in effetti, durante i tre anni in cui era stato ostaggio a Tebe, nella Beozia, egli aveva appreso le tattiche di guerra di Pelopida e di Epaminonda, i due grandi comandanti che avevano sconfitto a Leuttra gli opliti di Sparta, fino ad allora considerati invincibili.
Filippo provvede a migliorare l’organizzazione e l’equipaggiamento delle truppe macedoni, creando nuove falangi, composte da soldati disposti in ranghi compatti e armati di sarisse (lunghe lance o picche di circa 5 metri). Sui fianchi delle falangi Filippo aggiunge una temibile cavalleria e truppe di fanteria leggera (i Peltasti, armati di spada e giavellotto e di un piccolo scudo di legno) e gli Hypaspisti (fanteria pesante oplitica, armata di lancia e di grandi scudi) ed equipaggia il suo esercito con nuove e possenti macchine da guerra, che si riveleranno di importanza capitale nell’assedio di città fortificate.
L’esercito macedone era composto basicamente da ventimila fanti e circa 8 mila soldati, impegnati nella cavalleria e nelle truppe ausiliarie. Alla loro guida, Filippo potrà intraprendere ambiziose campagne di conquista allo scopo di estendere il suo regno. Egli attacca i Traci e gli Illiri, quindi si impadronisce delle ricche miniere d’oro e d’argento del Monte Pangeo (nell’attuale Tracia greca, non lontano dal confine con la Macedonia), che costituiranno una fonte importante per pagare le truppe, corrompere i suoi avversari e sostenere le riforme introdotte nel regno macedone. Secondo alcune stime, queste miniere fornivano circa mille talenti all’anno, una somma equivalente a quella che Atene aveva tratto dal suo impero marittimo al suo apogeo.
Filippo provvede anche a rafforzare i legami fra la monarchia e le famiglie aristocratiche, nel passato spesso insubordinate. Si assicura del loro sostegno conferendo ai loro rappresentati il titolo di consiglieri o Hetaroi (compagni d’arme) nella cavalleria. Egli invita i giovani figli dell’aristocrazia a diventare paggi del re a corte, al fine di educarli e di mantenerli sotto controllo. Inoltre, il re macedone saprà, allo stesso tempo, eliminare i suoi rivali potenziali e federare e ricompensare i suoi amici.
Sotto il suo regno, la Macedonia va incontro a un’espansione territoriale e a una stabilità sociale mai conosciute in precedenza. Nella vita del re macedone l’anno 360 è marcato dalla nascita del suo primo erede maschio, Carano (eliminato da Alessandro Magno), avuto dalla prima moglie Fila di Elimea. Anche l’anno 356 risulterà particolarmente glorioso: Filippo ha la gioia della nascita di Alessandro Magno; cessa di essere il reggente del giovane Amyntas, autoproclamandosi re; rifonda la città di Krenides (Crenide), sull’isola di Thasos, alla quale dà il suo nome, Filippi; consegue una vittoria equestre nei giochi olimpici greci.
Quanto alla vita privata, Filippo, secondo la tradizione in auge nella corte macedone, praticava una specie di poligamia e avrà almeno sei o sette mogli ufficiali oltre a una lunga serie di amanti. Queste plurime unioni rispondevano innanzitutto a necessità di tipo politico: consolidare la pace con le potenze vicine, garantendo buone relazioni con i suoi bellicosi vicini e dare eredi al trono. In particolare, il matrimonio con Olimpiade, la quarta moglie ufficiale e la madre di Alessandro Magno, rientrava in questa logica. La donna era una principessa del regno dei Molossi e figlia di Neottolemo I, re dell’Epiro. Anche questa dinastia vantava ascendenze mitiche, che la legavano, attraverso Neottolemo e Andromaca, al più grande guerriero dell’epoca omerica, Achille. Il matrimonio di Filippo con Olimpiade non durerà a lungo e il re macedone si sposerà altre volte: saranno sue spose, tra le altre, Meda di Odessa, figlia di Kothelàs, re dei Geti, e Cleopatra Euridice.

Le città e la Lega di Corinto

Filippo di Macedonia frena l'ira di Alessandro, di Donato Creti

Filippo di Macedonia frena l’ira di Alessandro, di Donato Creti

Filippo è stato capace di trarre profitto dalle rivalità fra le città greche, inizialmente durante il suo intervento nella Calcidica e nella Tracia. In queste regioni costiere, dove Atene aveva fondato colonie e possedeva interessi commerciali, i conflitti duravano sin dalle guerre del Peloponneso. In tale scenario, Filippo sostiene la città di Olinto contro Atene e i suoi alleati. Nella Calcidica egli riesce a conquistare Potidea nell’anno 356, impadronendosi in seguito di Methone, ma soprattutto di Anfipoli (sottomessa nel 357), importante colonia ateniese, che gli apriva l’accesso alla Tracia.
Più tardi il re macedone combatterà anche Olinto, la sua vecchia alleata, conquistando la città e distruggendola nel 348, espellendo e riducendo in schiavitù tutti i suoi abitanti. Successivamente Filippo marcia sulla Tessaglia, che cede alle sue minacce e si sottomette alla sua volontà. Egli partecipa quindi a quella che è stata denominata “terza guerra sacra”. Sotto la minaccia dell’esercito macedone, i Focesi, che si erano resi padroni del santuario di Delfi, vengono costretti ad abbandonare il sito e a Filippo verrà attribuito il titolo di Protettore di Delfi.
Le incursioni delle truppe macedoni nella Grecia centrale e l’insaziabile ambizione del sovrano macedone, inquietano fortemente gli Ateniesi – pungolati dal grande oratore Demostene (autore delle celebri Filippiche) – e i Tebani, che finiranno per dichiarargli guerra nel 339. I loro eserciti riuniti affronteranno nel 338 le truppe macedoni, condotte da Filippo, nella piana di Cheronea, in Beozia, dove verranno duramente sconfitti.
Gli Ateniesi e i Tebani consideravano questa battaglia come decisiva per la libertà delle città greche, minacciate dal despota “barbaro”. I due campi, composti ciascuno di circa trentamila effettivi, si combattono accanitamente e lo scontro fra le fanterie risulterà terribile. Lo scontro raggiunge il suo epilogo quando la cavalleria macedone attacca il fianco destro delle linee nemiche e si infila in una breccia della linea di fronte. Gli Hetaroi macedoni, guidati dal giovane e intrepido Alessandro, caricheranno il famoso battaglione Sacro dei Tebani. I trecento guerrieri che lo componevano (centocinquanta coppie di amanti maschili) lotteranno con esemplare coraggio e periranno senza cedere terreno. Questa offensiva macedone determina l’esito della battaglia, nel corso della quale numerosi Ateniesi e Tebani verranno fatti prigionieri, e contribuisce alla gloria del valoroso Alessandro, all’epoca diciottenne. Filippo si mostrerà magnanimo nei confronti dei vinti ed effettuerà rappresaglie non troppo dure contro le città di Atene e di Tebe. Le due città, in ogni caso, dovranno accogliere gli esiliati, pagare elevati tributi e accettare al loro interno una guarnigione macedone.
La vittoria militare aveva dimostrato ampiamente la superiorità della Macedonia rispetto alle due città più potenti della Grecia. Sparta, ben più lontana, poco popolata ed orgogliosamente isolata, non si era ancora rimessa dalla pesante sconfitta di Leuttra (371 a.C.) e non prenderà parte né alla battaglia né al trattato di pace che ne seguirà.
I Greci, su richiesta di Filippo, si riuniranno a Corinto per negoziare un accordo di pace comune a tutte le città-stato greche. Il mantenimento di questa “pace comune” (koiné eirene) viene affidato alla sorveglianza di un Consiglio federale (synedrion). In caso di guerra contro una potenza straniera, il comando delle truppe spettava al monarca macedone in quanto hégemon, vale a dire generale in capo. L’istituzione della Lega di Corinto conferma la supremazia della Macedonia, che gioca ormai un ruolo di arbitro nell’ambito dell’alleanza e ne controlla il buon funzionamento. Sparta, rimane esclusa dal trattato.

Preparativi di vendetta

La proposta diplomatica di Filippo per una “pace comune”, riprendeva un ideale propugnato in passato, dall’oratore Isocrate. Essa mirava a mettere un termine alle lotte intestine fra le città della Grecia. Ormai uniti, tutti gli eserciti greci potevano fare fronte comune contro il nemico di sempre: i Persiani.
Questa unione aveva da molto tempo molti fautori, che la propugnavano al grido di “Vendetta” e “Libertà”. Vendetta contro i Persiani, che avevano invaso la Grecia e distrutto i suoi templi. Libertà per le isole e le popolazioni elleniche sottomesse e asservite dalla Pace del Re (il riferimento è al sovrano persiano vittorioso, Artaserse II), altrimenti denominata come Pace di Antalcidas (dal nome del generale spartano sconfitto), conclusa nel 386.
Filippo, beneficiando di un sostegno politico forte, aveva ormai le mani libere per attraversare l’Ellesponto ed estendere il suo potere in Asia. Egli poteva marciare alla testa delle truppe macedoni e greche riunite, allo scopo di vendicare l’antica invasione persiana e porsi come capo panellenico invincibile. Tuttavia, alcuni greci, come il tenace Demostene e altri Ateniesi, temevano la tirannia macedone. Essi non potevano dimenticare così facilmente il fatto che avevano sempre considerato i Macedoni come un popolo di pastori barbari e incolti (anche se i loro governati si erano sforzati di ellenizzarsi) e che gli stessi Macedoni erano stati alleati dei Persiani nella seconda guerra contro i Medi.
Il re macedone non si era comportato come un fautore della pace, ma come un conquistatore senza scrupoli che aveva imposto, progressivamente, il suo giogo. Grazie alla sua forza militare ed alle sue manovre diplomatiche, Filippo aveva saputo approfittare delle dispute interne dei Greci per porsi come arbitro e come capo provvidenziale, riducendo l’autonomia delle città greche. All’inizio dell’anno 337 a.C. la Lega di Corinto decide, su richiesta di Filippo, di accordargli i pieni poteri e di autorizzarlo a dichiarare guerra ai Persiani. Vestendo l’uniforme di Hégemon e di capo incontestato dei Greci, il re macedone era ormai pronto a realizzare il suo più grande progetto.
Agli inizi dell’anno seguente ordina l’invio in Asia minore di un contingente di truppe di circa diecimila uomini, a scopo ricognitivo, al comando di due uomini di fiducia, Parmenione e Attalo. Parallelamente esorta i suoi alleati ad armare una flotta congiunta per sostenere l’offensiva. Ma Filippo non attraverserà mai l’Ellesponto, perché nell’autunno del 336 verrà eliminato da una congiura di palazzo.

La morte di Filippo

Busto di Filippo Il, copia romana

Busto di Filippo II, copia romana

Per comprendere l’inattesa morte di Filippo, preceduta dal raffreddamento delle sue relazioni con Alessandro, occorre tornare indietro nel tempo. Tutto risale alla metà dell’anno 337, nel corso del quale il re macedone aveva sposato la sua settima moglie. L’eletta era una giovane e bella esponente dell’aristocrazia locale, Cleopatra Euridice, nipote del generale Attalo. La donna era la sola delle sue spose a essere discendente da un nobile lignaggio macedone. Quest’unione spingerà lo zio della sposa, impulsivo e orgoglioso, a esclamare, durante il banchetto nuziale, che Filippo poteva ormai generare un erede legittimo di sangue macedone. Alessandro, offeso, lascia i festeggiamenti e la corte, rifugiandosi in Epiro presso la madre Olimpiade. Qualche mese più tardi, il padre e il figlio si riconcilieranno pubblicamente durante un altro importante evento: Cleopatra, la figlia di Filippo e sorella di Alessandro, sposava suo zio Alessandro Molosso, erede dell’Epiro e fratello di sua madre. Il matrimonio viene celebrato nella città di Agai (oggi Vergina), capitale della Macedonia. Nel corso della parata, mentre entrava trionfante e fiducioso nel teatro, dove era stata eretta una statua in suo onore, accanto ai 12 dei dell’Olimpo, Filippo viene pugnalato da una guardia del corpo. L’assassino, Pausania, aveva voluto vendicarsi di una vecchia offesa perpetrata dallo stesso Filippo. L’attentatore verrà eliminato a sua volta dai membri della guardia di Filippo. Molti hanno sospettato che il mandante dell’assassinio fossero i Persiani, in quanto essi avevano numerosi motivi per eliminare un nemico così pericoloso. In ogni caso, approfittando dell’occasione e senza prove concrete della loro implicazione nell’attentato, Alessandro Magno farà eliminare quasi tutti i suoi possibili rivali.
I funerali hanno luogo ad Agai, alla presenza di Olimpiade, venuta dall’Epiro e Filippo verrà inumato in una sontuosa tomba. Naturalmente l’omicidio avvantaggerà Alessandro e Olimpiade.
Alessandro che, nonostante i problemi creati da Attalo, era rimasto sempre il principe ereditario presunto e aveva costituito molto spesso un motivo di fierezza per suo padre, poteva ormai essere considerato il legittimo pretendente al trono. Il fedele Antipatros si affretta a proclamarlo re davanti all’esercito, in modo che l’erede possa essere acclamato secondo la tradizione.
Gli oppositori o gli eventuali pretendenti al trono verranno rapidamente eliminati con la scusa, non provata, di aver partecipato al regicidio. In tale contesto, due principi della famiglia reale macedone della provincia di Lyncestide, il giovane Amyntas IV, figlio di Perdicca III e cugino di Alessandro, e il potente generale Attalo, subiranno la stessa sorte. Una volta stabilizzata la situazione Alessandro si reca in Grecia per esservi riconosciuto come Arconte dei Tessali ed Hégemon delle città della Lega di Corinto, titoli a suo tempo portati dal padre.
Filippo era stato un grande re per la Macedonia. In soli ventitrè anni di regno aveva trasformato il suo paese, allargato e consolidato le sue frontiere, rinforzato una monarchia molto indebolita, unificato lo Stato, organizzato un potente esercito di mestiere e conquistato territori che si estendevano da Danubio fino alla Grecia. Per i Greci, il bilancio del regno di Filippo risultava molto contrastato. Secondo i più critici, egli incarnava l’hubris, la dismisura. Re barbaro di un popolo di pastori, egli aveva agito da uomo senza scrupoli e secondo i suoi capricci, allo stesso modo di un tiranno, distruggendo intere città (Anfipoli, Methone, Stagira e Olinto) o privandole della loro autonomia e della loro libertà.

L’eredità di Filippo il Macedone

Non sappiamo se Filippo avesse previsto un’espansione in Asia, così estesa come quella realizzata da suo figlio. Ma se il giovane Alessandro non avesse ereditato una Macedonia unificata e dominatrice, così come il possente esercito che aveva sottomesso l’intera Grecia, le sue future conquiste sarebbero state impossibili.
Alessandro assume il potere con la determinazione decisa e rapida che lo caratterizzava. Egli era stato educato per diventare re; aveva vissuto a fianco di suo padre, in quanto erede al trono. Nel corso degli anni precedenti aveva partecipato al governo dirigendo la Macedonia per un breve periodo, durante l’assenza di Filippo, e soffocato una ribellione in Tracia. Egli aveva dimostrato, inoltre, a 18 anni, la sua tempra eroica nel corso della battaglia di Cheronea e in occasione di altre campagne militari.
Nei suoi riguardi, i presagi divini che annunciavano la sua futura grandezza si erano ben presto moltiplicati. Olimpiade, sua madre, raccontava di aver sognato, quando era incinta, che una saetta aveva attraversato il suo ventre. Si raccontava, inoltre, che il giorno della nascita di Alessandro, il tempio di Artemide (Diana) a Efeso era stato incendiato e distrutto da un fulmine (segno evidente per molti che la dea lo avesse trascurato per vegliare sulla nascita del principe macedone). Gli aneddoti come quello dell’addomesticamento del cavallo Bucefalo, sua montura preferita nelle campagne militari, o il rinvio degli ambasciatori persiani venuti a esigere il tradizionale tributo annuo, evidenziano la sua intelligenza e la sua nobiltà d’animo.
Filippo aveva vigilato affinché suo figlio ricevesse la migliore educazione dai migliori precettori. Uno di questi sarà Aristotele. Filippo l’aveva espressamente invitato per insegnare la cultura greca a suo figlio per circa tre anni. Aristotele non ha educato Alessandro come un filosofo, ma ha contribuito a rendere acuta la sua intelligenza, instillandogli, forse, il desiderio di esplorare il mondo e le sue meraviglie. L’insegnamento gli verrà dispensato nella città di Mieza, dove era stata organizzata una scuola per il principe ed i suoi compagni di studio. Entusiasmato dall’epopea omerica e la letteratura greca, Alessandro era determinato a imitare le imprese dei grandi eroi mitologici, esattamente come i suoi gloriosi antenati Ercole e Achille.
Anche se nella carica di reggente aveva già saputo dimostrare le sue qualità di audace stratega, sarà alla morte di suo padre che saprà mostrare la piena misura dei suoi talenti. Alla scomparsa di Filippo, monarca abile ed intraprendente, i barbari, che alle frontiere minacciavano la Macedonia e alcune città della Grecia, avevano pensato di cogliere l’occasione per sollevarsi. Alessandro reagisce con immediatezza; nel 335 affronta i Triballi della Tracia che avevano invaso le frontiere del regno, sconfiggendoli e sottomettendoli con una folgorante campagna.
Subito dopo Alessandro conduce una campagna contro gli Illiri e i Celti a nord del regno, raggiungendo le rive del Danubio. La fase finale delle operazioni in Grecia riguarda le città che, sotto la guida di Atene e Tebe, erano entrate a far parte della fronda, massacrando le guarnigioni macedoni ivi distaccate. Alessandro, percorrendo con le sue truppe una distanza di 400 km in meno di sette giorni reprimerà con durezza la sollevazione, distruggendo Tebe (tranne la casa del poeta Tindaro) e mettendo in schiavitù tutti i suoi abitanti. Il durissimo esempio di Tebe farà rientrare la rivolta. A quel punto, il nuovo monarca macedone sarà finalmente pronto per riprendere alla mano il progetto del padre in Asia.

Per saperne di più
F. Landucci Gattinoni, Filippo re dei Macedoni – il Mulino, 2012
A. Momigliano, Filippo il Macedone – Guerini e Associati, 1987
G. Squillace, Filippo il Macedone – Laterza, 2009