FILIPPO BUONARROTI: IL PRIMO “COMUNISTA” ITALIANO
di Giancarlo Ferraris -
Spirito rivoluzionario, aveva ben chiaro che la diffusione dei principi di libertà, eguaglianza e fraternità non sarebbero mai divenuti realtà senza un profondo rinnovamento delle istituzioni e dei costumi. Da qui il suo concepire i problemi sociali essenzialmente in termini di lotta di classe.
Un rivoluzionario italiano nella Rivoluzione francese
Discendente dalla famiglia di Michelangelo Buonarroti, cavaliere, librario, filosofo, giornalista, massone, rivoluzionario in Corsica, in Francia e in Italia, Filippo Buonarroti, uno dei più importanti agitatori del primo Ottocento, fu questo e, forse, anche di più. Ma procediamo per gradi. Filippo Giuseppe Maria Ludovico Buonarroti nacque a Pisa l’11 novembre 1761. Fu educato nella sua infanzia dai benedettini presso la Badia Fiorentina, la scuola maggiormente frequentata dai nobili toscani, e diciassettenne divenne membro dell’Ordine dei Cavalieri di Santo Stefano. Successivamente studiò giurisprudenza presso l’Università della sua città natale, interessandosi nello stesso tempo di filosofia anche grazie ad alcuni docenti che gli fecero conoscere i pensatori illuministi. I suoi autori preferiti furono Jean-Jacques Rousseau, Claude Adrien Helvétius, Gabriel Bonnot de Mably ed Etienne-Gabriel Morelly. Nel 1782 conseguì la laurea in legge e si sposò con una giovane nobile, ma il matrimonio durò poco. Nello stesso periodo si stabilì a Firenze ed iniziò ad occuparsi del commercio di libri, attività che gli permise di importare e far circolare nel territorio del Granducato di Toscana le opere dell’illuminismo francese che erano formalmente proibite dall’autorità locale perché considerate infami e scurrili. Scoperto in seguito ad una perquisizione effettuata dalla gendarmeria nei locali dove teneva i libri degli illuministi, fu costretto ad abbandonare il lavoro di librario. Intraprese allora l’attività di giornalista, ma il suo tentativo di fondare un giornale di politica in lingua francese, il Journal Politique, non ebbe fortuna. A tal proposito scrisse al granduca Pietro Leopoldo I d’Asburgo-Lorena: «La filosofia e non il capriccio ci decide a far apparire un foglio periodico in francese.
Anche la successiva collaborazione con la Gazzetta Universale non ebbe successo e gli valse anzi la denuncia del console olandese a Firenze per aver offeso Guglielmo V di Orange-Nassau statolder d’Olanda. Verso il 1787 Filippo Buonarroti divenne membro della Massoneria, la cui appartenenza in quegli anni nel Granducato di Toscana non significava affatto avere atteggiamenti sovversivi o porsi in contrasto con le istituzioni locali. All’inizio del 1789, infatti, il futuro rivoluzionario chiese a Pietro Leopoldo di poter partecipare alla stesura del nuovo codice di leggi del Granducato, inviandogli a tale proposito un memoriale impregnato di spirito riformistico dove esprimeva chiaramente l’esigenza di procedere ad un frazionamento della grande proprietà fondiaria.
Nell’ottobre dello stesso anno, scoppiata in Francia la rivoluzione, si trasferì in Corsica, a Bastia, primo di quel gruppo di rivoluzionari italiani che svolsero la loro attività in territorio francese. L’isola, verso la fine del XVIII secolo, aveva un’economia precapitalistica caratterizzata dall’esistenza di proprietà terriere molto frazionate e ripartite in modo abbastanza equo. Fu proprio in questo contesto che Buonarroti vide realizzato quell’ideale di libertà e di eguaglianza a cui era pervenuto durante gli anni universitari e della sua attività di librario. In Corsica, dopo aver aderito al Movimento dei Rivoluzionari Còrsi, ricoprì incarichi pubblici presso il Consiglio Generale di Corte e divenne membro della Società degli Amici della Costituzione e della Società degli Amici del Popolo. Nel 1790 fondò il Giornale Patriottico di Corsica, il quale può essere ritenuto il primo giornale rivoluzionario scritto in lingua italiana. In esso Filippo Buonarroti espose le tesi centrali della sua dottrina politica “comunista”: l’affermazione di una società agricola ed egualitaria; l’importanza della religione naturale; l’educazione impartita dall’autorità statale; la messa al bando delle attività industriali e commerciali; la volontà generale come base della società e della comunità politica. Il Buonarroti aveva ben chiaro nella sua mente che la diffusione dei principi di libertà, eguaglianza e fraternità, insomma gli ideali della Rivoluzione francese, non sarebbero mai divenuti una realtà effettiva se non ci fosse stato un profondo rinnovamento delle istituzioni e dei costumi fondato essenzialmente su una forte tensione etica tale da generare un uomo nuovo: non solo, dunque, abolizione della proprietà privata, ma anche e soprattutto nascita di una coscienza morale collettiva superiore a quella individuale. Nel Giornale Patriottico di Corsica Buonarroti sostenne anche il diritto alla libertà e all’autonomia delle popolazioni còrse, ipotizzando al tempo stesso l’integrazione dell’isola nella Francia rigenerata dalla Rivoluzione, senza peraltro perdere di vista la situazione europea ed anzi prospettando una possibile svolta rigeneratrice dell’Italia proveniente proprio dalla Corsica. Al periodo del soggiorno in Corsica risale anche la sua partecipazione, nel gennaio 1793, ad una spedizione nell’Isola di San Pietro, i cui abitanti gli avevano richiesto di redigere appositamente per loro una costituzione sul modello di quella francese. A questa sua prima realizzazione il cospiratore pisano rimase intimamente legato, tanto che anche dopo la sua partenza dalla Corsica sollecitò ripetutamente la Convenzione Nazionale, l’organo legislativo della Francia rivoluzionaria, affinché assicurasse la difesa degli abitanti dell’isola.
Trasferitosi a Parigi nel maggio 1793 Buonarroti ottenne la cittadinanza francese, cambiando così il suo nome in Philippe Buonarrotì, ed iniziò a frequentare il Club dei Giacobini dove conobbe Maximilien Robespierre insieme al quale vide nei forti contrasti sociali della Rivoluzione i primi segnali delle future lotte di classe dell’Ottocento. Nell’aprile 1794 venne nominato commissario rivoluzionario ad Oneglia, cittadina del Ducato di Savoia circondata però dal territorio della Repubblica di Genova, che era stata conquistata dalle armate rivoluzionarie francesi. Qui Buonarroti, oltre a risposarsi, non solo mise in atto il programma politico, economico e sociale dei giacobini, ma dimostrò un’adesione convinta all’ideologia robespierrista come appare palesemente nel discorso che tenne a giugno in occasione della festa dell’Essere Supremo nel quale, tra l’altro, disse: «La volontà dell’Essere Supremo è scolpita nei nostri cuori: la nostra ragione è il codice dei suoi decreti; il suo tempio è l’universo; gli uomini onesti sono i suoi evangelisti e i suoi profeti […]. Per sviluppare le leggi della Divinità basta presentarvi la Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo riconosciuti dal popolo francese: tutto vi respira: la beneficenza e l’amore della patria, il rispetto per la volontà del popolo e per le sue opinioni».
Ad Oneglia Filippo Buonarroti venne a contatto con numerosi esuli italiani, profughi dalle loro regioni governate da regimi dispotici, instaurando con essi un rapporto intenso e proficuo e creando insieme a loro un’Italia unita sia pure in miniatura. Ad Oneglia si compì, forse, il primo atto del nostro Risorgimento nel senso che in questa cittadina, per la prima volta, caddero le barriere e i pregiudizi regionali e l’unità italiana cessò di essere un’idea culturale per diventare una realtà sentimentale. Tempo dopo il Buonarroti scrisse ad un giacobino piemontese a proposito di quanto era accaduto ad Oneglia: «Noi siamo sul punto di giungere al momento felice di vedere la nostra patria libera! E soprattutto che le frivole distinzioni di essere nati a Napoli, a Milano, a Genova o a Torino scompaiano per sempre tra i patrioti. Siamo tutti di un medesimo paese, di una stessa patria. Gli Italiani sono tutti fratelli».
In questo contesto Filippo Buonarroti, che sperava anche di rendere la Rivoluzione francese, in particolare la Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino, in qualcosa di europeo se non addirittura mondiale, ebbe modo di realizzare i suoi ideali “comunisti”, dando vita ad un ordinamento politico-amministrativo ed economico fondato sull’abolizione dei privilegi feudali, l’imposizione di oneri fiscali alle classi sociali agiate, il censimento dei benestanti insieme alle loro rendite e degli indigenti da soccorrere, la distribuzione a prezzo contenuto del grano, la vendita dei beni di coloro i quali avevano osteggiato la Rivoluzione, l’applicazione del calmiere sui prezzi dei beni di prima necessità, la creazione di un sistema scolastico gratuito, laico e democratico. Dopo la caduta di Robespierre nel luglio 1794 Buonarroti riuscì ad evitare per diversi mesi la repressione messa in atto dai termidoriani contro i giacobini, ma nel marzo 1795 venne arrestato e incarcerato a Parigi con l’accusa, appunto, di essere stato un seguace di Robespierre ed anche sospettato di aver costituito, quand’era commissario rivoluzionario ad Oneglia, una minaccia per persone e beni. In prigione Buonarroti meditò sull’operato di Maximilien Robespierre, che continuò a considerare fulcro della Rivoluzione francese e vittima di una congiura infamante e conobbe François-Noël Babeuf, il quale era stato rinchiuso un mese prima e con cui organizzò la Congiura degli Eguali, favorito in ciò anche dal fatto che le carceri erano piene di rivoluzionari solidali tra di loro e pronti a battersi per dare il via ad una nuova fase della Rivoluzione francese.
Il ruolo nella Congiura degli Eguali
La Congiura degli Eguali fu, sostanzialmente, una cospirazione contro i termidoriani che avevano mandato alla ghigliottina Maximilien Robespierre e quindi contro il Direttorio, il quale era subentrato al governo giacobino nella guida della Francia rivoluzionaria. Il programma politico, economico e sociale della Congiura, elaborato da Babeuf ed al quale contribuì anche Buonarroti in veste di “ideologo”, aveva sei obiettivi: il diritto alla vita; l’uguaglianza non solo politica, ma anche e soprattutto sociale con il ripristino della Costituzione giacobina del 1793; l’abolizione della proprietà privata; la comunione dei beni e dei frutti del lavoro dell’uomo; la creazione, in linea con il pensiero di Rousseau, di un potere politico che doveva occuparsi per intero delle attività lavorative e di ridistribuire in modo equo i prodotti tra i lavoratori; la prosecuzione della politica militare già condotta dal governo giacobino nella prospettiva di una Francia repubblicana, geograficamente circondata da repubbliche sorelle libere, non vassalle e rette da ordinamenti democratici. Si trattava, quindi, di un programma “comunista” da realizzare attraverso una congiura “comunista”. Probabilmente Filippo Buonarroti fu autore anche di un manifesto che veniva clandestinamente affisso sui muri nei sobborghi parigini e con cui i cospiratori intendevano dimostrare che il loro pensiero non rappresentava affatto un pericolo per la Francia, ma anzi era il coronamento dei principi illuministici e la realizzazione totale degli ideali proclamati dalla Rivoluzione. Nell’ottobre 1795, in una Parigi tormentata dall’inflazione, dalla miseria e dalla fame, attorno a Babeuf e Buonarroti, che erano stati nel frattempo scarcerati, si andò raccogliendo una forte opposizione giacobina e popolare contro i termidoriani e il governo del Direttorio, opposizione che aveva il suo luogo di incontro nel Club del Panthéon di cui Buonarroti fu presidente diverse volte.
Il 30 marzo 1796, dinanzi all’aggravarsi della situazione economica e sociale della Francia che aveva spinto il Direttorio a porre un calmiere sui prezzi di alcuni generi di prima necessità suscitando così il malcontento non solo del popolo ma anche della borghesia, l’opposizione popolare e giacobina raccoltasi attorno a Babeuf e Buonarroti si dette una vera e propria organizzazione, la Société des Ėgaux (Società degli Eguali) la cui attività era coordinata da un Comitato Insurrezionale composto principalmente dallo stesso Babeuf e dal Buonarroti. La propaganda della Società degli Eguali si rivolgeva in particolare ai lavoratori delle manifatture industriali, agli agenti di polizia e all’esercito creando un notevole fermento. Dopo aver tergiversato per alcune settimane il Direttorio, venuto a conoscenza del fatto che molti agenti di polizia erano passati dalla parte di Babeuf e di Buonarroti, procedette all’arresto di tutti i componenti del Comitato Insurrezionale della Società degli Eguali. Tentativi di liberare Babeuf e Buonarroti e di dare corso con le armi alla Congiura degli Eguali vennero soffocati nel sangue. Il 20 febbraio 1797 ebbe inizio il processo a Babeuf, Buonarroti e più di quaranta altri imputati. Fu un processo lungo e movimentato durante il quale i giudici vennero ripetutamente ed abbondantemente insultati e ricusati dagli imputati; Filippo Buonarroti si distinse per la dignità con cui condusse la sua autodifesa. Il 25 maggio venne letta la sentenza: pena di morte per Babeuf, deportazione per Buonarroti ed altri cinque imputati, assoluzione per i restanti cospiratori.
La Società dei Sublimi Maestri Perfetti
Buonarroti, rinchiuso nella fortezza di Cherbourg, attese ben tre anni prima di essere deportato, cosa che non avvenne poiché nel 1800 Napoleone Bonaparte, dopo essere diventato primo console di Francia, mitigò le pene e ordinò il trasferimento dei cospiratori al confino nell’isola di Oléron. Nel 1803 Buonarroti venne relegato a Sospel, un piccolo centro sulle Alpi Marittime, e nel 1806 a Ginevra, dove per vivere si dedicò all’insegnamento svolgendo però contemporaneamente un’intensa attività massonica tanto che il prefetto della città scriveva in una nota inviata a Parigi: «Buonarroti è tuttora quello che fu quando cospirò insieme a Babeuf. Dando lezioni di musica e d’italiano, vive a Ginevra agiatamente; ma da sei anni che egli è qui, sotto la vigilanza della polizia, non ha mai cessato di fomentare l’odio contro il governo, cerca di ispirare questo odio ai suoi discepoli e vi riesce tanto più facilmente, perché il repubblicanesimo è la malattia del paese».
A Sospel Filippo Buonarroti entrò in contatto con i Filadelfi, una società segreta di carattere democratico sorta nella regione della Franca Contea per iniziativa di alcuni ufficiali francesi che intendevano opporsi al cesarismo napoleonico e al tempo stesso riorganizzare il vecchio partito giacobino della Rivoluzione francese. I Filadelfi si fusero poi con un’altra società segreta, gli Adelfi, fondata, tra gli altri, anche dallo stesso Buonarroti. Intorno al 1818, dopo la caduta di Napoleone, Filadelfi e Adelfi assunsero, per iniziativa del Buonarroti che ne fu il fondatore ufficiale, il nome comune di Società dei Sublimi Maestri Perfetti. La nuova società segreta, il cui programma era conosciuto solo ad alto livello, non aveva una struttura orizzontale come le altre organizzazioni affini bensì verticale con una gerarchia di gradi e non di funzioni; essa, inoltre, se da un lato continuava ad essere una forza d’urto contro quegli aspetti del mondo che i suoi appartenenti intendevano abbattere, dall’altro lato divenne una palestra per lo sviluppo di quella filosofia a cui essi dovevano ispirarsi per attuare il rinnovamento della società. Sostanzialmente Buonarroti attraverso la creazione della Società dei Sublimi Maestri Perfetti attuò un processo di massonizzazione delle tendenze antinapoleoniche e giacobine che, come abbiamo detto poco prima, animavano la società dei Filadelfi: processo non solo organizzativo, ma anche e soprattutto ideologico, poiché il rivoluzionario pisano introdusse nella società da lui stesso fondata un’ansia di ricerca della verità che era stata all’origine della nascita del fenomeno massonico.
Nella Società dei Sublimi Maestri Perfetti vi erano fondamentalmente tre gradi: il Primo Grado o dei Sublimi Maestri Perfetti; il Secondo Grado o dei Sublimi Eletti; il Terzo Grado o dei Perfetti Architetti. Gli appartenenti al Primo Grado professavano la religione naturale, i principi della carità universale, dell’uguaglianza tra tutti gli uomini, del patto sociale, della volontà generale come fonte della legge e della libertà e della legittimità del governo purché fondato su alti principi morali e sociali; gli appartenenti al Secondo Grado proclamavano la sanzione popolare della legge, la funzione pubblica derivata dalla elezione a tempo determinato, la dottrina del tirannicidio, la libertà fondata su principi etici e su una modesta agiatezza economica; gli appartenenti al Terzo Grado erano tenuti, i soli all’interno dell’organizzazione, alla conoscenza completa del programma della Società, che era quello di abolire la proprietà privata origine delle disuguaglianze sociali nonché causa della corruzione dell’animo e del corpo degli uomini, della società, dell’economia e della politica. Buonarroti, oltre a dirigere in maniera pressoché dittatoriale il nucleo centrale della Società dei Sublimi Maestri Perfetti, dette vita ad una serie di numerose altre piccole società che, pur dipendendo dal nucleo centrale, senza peraltro conoscerne il programma specifico, operavano autonomamente in diversi paesi europei e che, tra le altre cose, presero parte ai primi moti organizzati dalla Carboneria in Italia, a Napoli nel 1820 e a Torino nel 1821. La stessa Carboneria, anche abbastanza rapidamente, conobbe una forte penetrazione della Società dei Sublimi Maestri Perfetti diventandone quasi una sorta di braccio armato; ai suoi due originari gradi di apprendista e di maestro se ne aggiunse ben presto un altro, tipicamente massonico, quello di gran maestro preposto in modo peculiare all’abolizione della proprietà privata, che era l’obiettivo principale del Buonarroti. Le varie società segrete buonarrotiane in virtù della loro capillare presenza costituirono per i governi assoluti europei e per le loro polizie un pericolo costante anche se dal punto di vista organizzativo ed operativo esse furono delle realtà assai fragili a causa della fitta segmentazione che le rendeva difficilmente governabili e della mancata conoscenza da parte dei loro membri del programma politico e sociale. Alcuni anni dopo Buonarroti, espulso da Ginevra dalle autorità elvetiche per la pressione esercitata dal governo austriaco che lo riteneva un cospiratore pericoloso, si rifugiò a Bruxelles, dove ebbe rapporti turbolenti e al tempo stesso costruttivi con numerosi esuli rivoluzionari francesi sviluppando discussioni veementi sulla parte di responsabilità che ciascuno di essi aveva avuto durante la caduta di Robespierre, ma mantenendo altresì vivo lo spirito originario e le speranze messianiche della Rivoluzione francese.
Nell’agosto 1830, un mese dopo lo scoppio della rivoluzione di luglio che aveva portato sul trono di Francia Luigi Filippo di Borbone-Orléans, Buonarroti fece ritorno nella sua patria adottiva dove iniziò subito a svolgere un’intensa attività rivoluzionaria attraverso la creazione di società popolari e di club tra cui la Società degli Amici del Popolo e la Società dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino: da un lato egli ricorse all’azione legale tesa ad agire sui poteri costituiti e sull’opinione pubblica per la conquista del suffragio universale e per l’attivazione di un programma generale a sfondo sociale; dall’altro lato non trascurò l’azione cospiratoria finalizzata all’attuazione di un programma politico, economico e sociale repubblicano ed in parte anche “comunista”. Parigi venne invasa da migliaia di opuscoli con cui Buonarroti e gli altri membri delle società popolari chiedevano l’emancipazione delle classi lavoratrici, l’abolizione delle imposte indirette per migliorare le condizioni di vita del popolo, l’introduzione dell’imposta progressiva.
Gli avvenimenti francesi del luglio 1830 misero in fermento anche i rivoluzionari italiani esuli a Parigi, a Londra e a Ginevra, i quali dettero vita a comitati e associazioni di vario tipo, con indirizzi politici differenti. Ad essi fu conferita una certa unità di programma con la creazione della Giunta Liberatrice Italiana, di cui fece parte anche Filippo Buonarroti, che preparò un’azione di forza verso l’Italia volta all’unificazione politica della penisola: «Cadano i troni, si infrangano le corone, e sulle loro ruine sorga la repubblica unica e indivisibile dalle Alpi al mare».
Si trattò, tuttavia, di un programma che non incontrò il favore di molti italiani – gli aristocratici contrari alla creazione di una repubblica da un lato, i borghesi moderati sostenitori del federalismo dall’altro lato – e che si limitò ad una piccola, sterile scaramuccia al confine con la Savoia tra il febbraio ed il marzo 1831. Il Buonarroti dopo questa esperienza tornò a cospirare attraverso organismi segreti quali la Carboneria Riformata e la Carboneria Democratica, che gli permisero di entrare in contatto con Giuseppe Mazzini. Il rapporto che il rivoluzionario pisano ebbe con il fondatore della Giovine Italia fu molto difficile principalmente per due motivi: Buonarroti viveva nel ricordo della Rivoluzione francese e concepiva i problemi sociali essenzialmente in termini di lotta di classe; Mazzini non teneva in nessun conto la Rivoluzione francese e professava un’idea mistico-religiosa del popolo come aggregazione e non come conflitto di classi sociali. Il Mazzini, in diverse occasioni, ebbe poi a dire del Buonarroti: «Era un uomo profondo, ma assai gretto; conformava la sua vita alle sue credenze; ma era intollerante, e mi tacciava di traditore, se per caso affiliavo un banchiere o un ricco borghese. Era inoltre comunista».
Filippo Buonarroti morì a Parigi il 16 settembre 1837, dopo essere entrato in contrasto con i vecchi colleghi repubblicani, la maggior parte dei quali era intenzionata a battersi per la realizzazione di riforme istituzionali e non sociali. Lasciò diversi scritti politici in italiano (La Riforma dell’Alcorano, 1786; Riflessi sul governo federativo applicato all’Italia, 1831; Del governo d’un popolo in rivolta per conseguire la libertà, 1833) e in francese (Histoire de sociétés secrètes de l’Armée, 1815; Conspiration des Ėgaux, 1828; Histoire de la Conspiration pour l’Ėgalité dite de Babeuf, 1828; Observations sur Maximilien Robespierre, 1836).
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Per saperne di più
L. Federici, L’egualitarismo di Filippo Buonarroti, Padova, 2007
F. Furet – D. Richet, La Rivoluzione francese, trad. it., Bari, 1974
A. Galante Garrone, Filippo Buonarroti e i rivoluzionari dell’Ottocento (1828-1837), Torino, 1972
G. Romano Catania, Filippo Buonarroti, Palermo, 1902
A. Saitta, Filippo Buonarroti. Contributi alla storia della sua vita e del suo pensiero, Roma, 1952