ESTATE 1969: LA GUERRA DEL CALCIO TRA EL SALVADOR E HONDURAS

di Giuliano Da Frè -

La “Soccer War” vide opporsi El Salvador e Honduras, alleate contro il comunismo ma rivali di confine e sul campo di calcio. All’origine del conflitto l’esodo in Honduras di trecentomila campesinos salvadoregni, seguito dai disordini durante una partita di calcio tra le nazionali. E poi fu la guerra.

Calcio di inizio

Poco più di mezzo secolo fa, nel luglio del 1969, gli occhi di tutto il mondo erano puntati sulla più avveniristica impresa del secolo: la conquista della Luna.
In quegli stessi giorni estivi di cinquantun anni fa, tra due piccoli e poveri stati centroamericani si combatté un conflitto che riportava indietro l’orologio di decenni, anzi di secoli; ossia alle interminabili dispute di frontiera sorte sin dai giorni successivi all’indipendenza ottenuta manu militari dalle colonie spagnole e lusitane in America Latina. Gli ultimi presidi militari dei regni iberici avevano lasciato il Nuovo Mondo (con poche eccezioni, come Cuba) nel 1825-1826: e già tra 1825 e 1828 scoppiavano guerre tra i neonati governi di Argentina e Brasile, e Perù e Colombia; per non parlare di guerre civili e sommosse.
Anche nel XX secolo non erano mancati – pur in numero decrescente – i conflitti tra stati sudamericani, come Colombia e Perù (nel 1911 e 1932-1933), Perù ed Ecuador (1941, e poi ancora 1981 e 1995), e soprattutto la “guerra de Chaco” tra Paraguay e Bolivia, che tra 1932 e 1935 provocò quasi 150.000 vittime.
Dopo il 1945, il primo conflitto aperto tra due stati sudamericani fu invece innescato, curiosamente, da una partita di calcio. Da qui il nome di “Soccer War” (La guerra del fútbol, o anche “Guerra delle 100 ore”) dato allo scontro che oppose, nel luglio 1969, le piccole repubbliche centroamericane di El Salvador e Honduras, che già si erano spesso affrontate nel XIX secolo. E per gli storici militari questa fu – tecnicamente parlando – una “guerra fratricida”, poiché sui due fronti operarono i sistemi d’arma statunitensi, veterani del secondo conflitto mondiale, ceduti ai paesi latino-americani per supportarne la lotta contro i sovversivi “comunisti”.
1-la-guerra-del-1969Negli anni precedenti c’erano già stati in America Centrale scontri di frontiera, che avevano più volte coinvolto – tra il 1948 ed il 1959 – Costa Rica, Honduras e Nicaragua. Durante gli anni ‘60 le relazioni tra gli Stati centro-americani erano andate migliorando, anche attraverso la creazione di organismi di cooperazione politica, militare ed economica, come l’Organizzazione degli Stati Centroamericani (ODECA) e la CAFTA (Central American Free Trade Association), mentre le rispettive Forze Armate – coordinate da un organismo multinazionale, guidato a rotazione dagli Stati Maggiori locali – venivano equipaggiate e addestrate dagli Stati Uniti attraverso la U.S. Army School of Americas, situata a Panama.
Il riversarsi di circa 300.000 lavoratori illegali provenienti dal piccolo ed economicamente fragile Salvador, nelle confinanti terre incolte dell’Honduras, mise tuttavia a dura prova i rapporti tra i due governi, pur alleati contro il comunismo. Presidente-dittatore dell’Honduras dal 1963 al 1971 era il generale Oswaldo Lòpez Arellano (1921-2010), che non esitò ad avviare una campagna di odio verso “l’invasione” dei campesinos salvadoregni, mentre – vero prototipo di certe politiche “sovraniste” odierne -, alle parole d’ordine anti-immigrazione si affiancavano vecchie dispute di confine, rinfocolate ad arte, surriscaldando gli animi dei non meno nazionalisti leader salvadoregni. Nel maggio-giugno 1967 si registrarono alcuni incidenti di frontiera, mentre la guerra verbale e diplomatica iniziava a superare i limiti di guardia: e proprio in questo momento delicato, si disputarono le partite eliminatorie per i Mondiali di calcio del 1970.
L’incontro del 15 giugno 1969 tra le due nazionali, giocato a San Salvador, capitale dell’omonimo stato, fu costellato da gravi incidenti, e non solo sugli spalti; a Tegucigalpa, capitale honduregna, la folla inferocita assalì le sedi diplomatiche ed economiche del paese confinante, provocando vittime e danni, mentre decine di migliaia di lavoratori immigrati venivano espulsi con la forza. Il 27 giugno il Salvador (che tre giorni prima aveva mobilitato la Guardia Nazionale e proclamato lo stato di emergenza) ruppe le relazioni diplomatiche con l’Honduras: e il 14 luglio 1969, mentre il mondo intero aveva gli occhi fissati sull’imponente astronave della missione “Apollo 11” ormai pronta ad alzarsi in volo da Cape Kennedy, dopo alcune scaramucce le truppe salvadoregne oltrepassavano il confine, dando inizio ad una guerra tanto breve quanto irragionevole, ma costata oltre 4.000 morti e 100mila profughi. Sul terreno, le truppe del Salvador presero rapidamente il sopravvento, tanto che le colonne mobili formate da autoblindo e cavalleria raggiunsero quasi subito Nueva Ocotepeque, capoluogo provinciale ad otto chilometri dalla frontiera, e attraversavano il passo di Amatillo, mentre reparti anfibi occupavano due isole nel Golfo di Fonseca, e l’aviazione colpiva le piste d’atterraggio honduregne.
Nonostante l’economia disastrata, il Salvador schierava infatti un apparato militare meglio addestrato, organizzato ed equipaggiato, sebbene l’armamento pesante fosse quasi tutto incentrato su residuati bellici provenienti dagli Stati Uniti, anche se la fanteria era armata con moderni fucili d’assalto automatici di fabbricazione tedesca. Ma, mentre in quegli stessi anni conflitti regionali come quelli indo-pakistani del 1965 e 1971, o quelli arabo-israeliani tra 1967 e 1973, venivano combattuti con quanto di meglio l’industria aeronautica poteva fornire, le operazioni aeree della “Soccer War” furono le ultime condotte da soli apparecchi con motore a pistoni.
Dopo gli incidenti del 1967, le forze armate del Salvador, e in particolare la Fuerza Aerea Salvadoreña (FAS), erano state rafforzate dal neopresidente Fidel Sanchez Hernandez (1917-2003), un generale in carica dal 1967 al 1972, pur nei limiti imposti dalle scarse risorse economiche disponibili. Per le forze di terra (20.000 effettivi disponibili, tra Esercito e Guardia Nazionale, organizzati in tre brigate di fanteria), erano stati appena acquistati i fucili d’assalto Heckler & Koch G3, decisamente superiori ai vecchi Mauser ed M1 honduregni, o impiegati ancora anche delle riserve salvadoregne; un battaglione di cavalleria blindata (ma erano operativi anche squadroni tuttora montati su cavalli) impiegava una mezza dozzina di vecchi carri leggeri Stuart M3A1 in servizio dal 1944, mentre erano stati blindati localmente applicando piastre corazzate, una ventina di camion M-35 (Rayos), e alcune jeep, mentre l’artiglieria più pesante e moderna, con 30 obici da 105 mm tipo M-101 acquistati nel 1968, era inquadrata in una brigata. Per l’invasione, 12.000 uomini erano stati organizzati in tre colonne d’attacco (da Chalatenago, e i raggruppamenti Nord e Orientale), incentrate sui 3 comandi di brigata esistenti, rafforzati da 2 compagnie di guardie nazionali, gli squadroni di cavalleria, una compagnia di paracadutisti, e 2 battaglioni di artiglieria. Le forze navali avrebbero dovuto appoggiare le operazioni nel Golfo di Fonseca, unico sbocco honduregno sul Pacifico, impiegando una moderna vedetta da 36 tonnellate acquistata nel 1967 (e poi perduta nel 1990 durante la lunga guerra civile), 4 unità più datate, e un paio di mezzi logistici: tutte imbarcazioni armate con mitragliere Oerlikon da 20 mm e Browning da 12,7 mm.
La FAS, al comando del maggiore Salvador Henriquez, stava invece attraversando una fase di rapida espansione; e se all’inizio del 1969 poteva contare solamente su 34 piloti da combattimento, per un terzo riservisti impiegati nelle linee commerciali, stavano iniziando però ad affluire, nel quadro degli accordi di sostegno militare siglati con gli Stati Uniti, 7 caccia Mustang P-51 (in varie versioni, ma tutti con oltre venti anni di vita, e uno dei quali subito andato perduto per incidente), oltre ad aerei da trasporto e pezzi di ricambio per far volare gli FG-1D Corsair della 2a Squadriglia di San Miguel, di quelli sopravvissuti dei 20 giunti nel 1957. Corsair e Mustang erano stati tra i migliori e più avanzati aerei della Seconda guerra mondiale, e veri “cavalli da tiro” per le aviazioni latino-americane: Haiti, Guatemala, Salvador e Bolivia impiegarono i P-51 fino alla seconda metà degli anni ‘70; la Repubblica Dominicana sino al 1984.
Con l’aumentare della tensione, il comandante Henriquez inviò negli Stati Uniti una missione, con l’incarico di reperire, senza badare ai costi, altri P-51 e Corsair, e bombardieri Martin B-26: ma solo nell’estate 1969 iniziarono ad arrivare alla FAS altri 11 Mustang, quattro B-26 e i primi due, fiammanti elicotteri Fairchild-Hiller FH-1100, mentre venivano richiamati in servizio tutti i piloti disponibili.

Corasir dell'Honduras

Corsair dell’Honduras

Anche gli aeroclub furono mobilitati, e fornirono una ventina di apparecchi, alcuni equipaggiati, grazie ad un meccanismo rudimentale ma efficace, con razzi da 60 e 81 mm. Inoltre, fu riarmato un P-51 di proprietà di un giovane appassionato, Archie Baldocchi, “assunto” in qualità di consigliere straordinario dello Stato Maggiore della FAS. Questo imprenditore appena 21enne (poi tra i dirigenti del partito Arena al potere dal 1989, e scomparso nel 2003 dopo essersi candidato alla Presidenza) rese preziosi servigi facendo anche modificare i Mustang in linea, dotandoli di radio e serbatoi ausiliari. Nel luglio 1969 l’aviazione salvadoregna poteva così contare su 18 Mustang (in quattro versioni, e non tutti ancora resi operativi), schierati nella principale base di Ilopango e su diversi campi minori, affiancati da 5 cacciabombardieri FG-1D Corsair, un bombardiere medio Douglas B-26 Invader, 12 aerei da trasporto (un DC-4M, cinque U-17A e sei C-47 Skytrain, alcuni modificati per il bombardamento) e altrettanti aerei da addestramento e ricognizione T-41, T-34, T-6 e Cessna. Una flotta che alimentava 2 squadriglie di aerei da combattimento, due da trasporto, e 2 da ricognizione, oltre ai reparti logistici e alla citata compagnia di paracadutisti.
L’Honduras invece fu sorpreso dal conflitto con un apparato militare in larga parte inadeguato a compiti che non fossero il mantenimento dell’ordine interno; con l’unica eccezione rappresentata dalla Fuerza Aerea Hondureña (FAH), che si era mobilitata concentrandosi sin dal 12 luglio presso la base aerea di La Mesa, a San Pedro Sula, sede del Comando Militare Nord. La FAH, nata nel 1933, appariva più organizzata dell’aviazione avversaria, e i suoi piloti erano meglio addestrati, in parte veterani di un breve conflitto frontaliero combattuto col Nicaragua del 1957.
Era schierato uno squadrone con 11 F4U-4 e -5N Corsair (versioni realizzate dalla Vought rispettivamente nel 1944 e 1952, e acquistati dalla FAH in 19 esemplari tra il 1956 ed il 1961), e due squadroni incentrati su relativamente recenti T-28A Trojan (in linea dal 1967 in una decina di esemplari), monomotori utilizzabili come ricognitori armati e addestratori, al pari dei più anziani AT-6 Texan, mentre i reparti logistici contavano su una ventina di C-47 e C-54 da trasporto e una quindicina tra C-45 Expeditor e U-17A Skywagon da collegamento, e 6 addestratori bimotori AT-11 Bombardier del 1946. La FAH disponeva anche di 5 elicotteri multiruolo Sikorsky S-55, acquistati nel 1965.
L’Esercito però disponeva di soli 12.000 effettivi, e dei quali si stima che al momento dell’attacco solo 4.400 fossero dislocati alla frontiera col Salvador, inquadrati nella Terza Zona Militare, col 3° Battaglione di fanteria quale unica unità relativamente addestrata ed equipaggiata, cui si aggiungevano reparti territoriali, volontari, e anche forze paramilitari. Come accennato, i fucili in dotazione erano vecchi Mauser ed M1 residuati di guerra, i mezzi blindati ridotti a pochissimi, vetusti APC tipo M-3A1 Scout Car, e autoblindo 4×4 esploranti T-17E1 Staghound armate con cannoncino da 37 mm; l’artiglieria comprendeva mortai da 60 mm e vecchi pezzi campali da 75. La “flotta” poi schierava solo 4 guardacoste degli anni ’40, peraltro suddivisi tra Atlantico e Pacifico.

Cento ore di guerra

Il 14 luglio 1969 circa 12.000 soldati salvadoregni, inquadrati come accennato in tre brigate miste con mezzi blindati e artiglieria (ma anche alcuni reparti a cavallo) passarono la frontiera, puntando sui nodi-chiave avversari di Nueva Ocotepeque, Gracias a Dios e Santa Rosa de Copan, attuando di fatto una tenaglia, con la branca settentrionale rafforzata. La FAS mandò in aria una trentina di apparecchi: i cacciabombardieri fornirono subito un prezioso supporto tattico, anche se la mancanza di radio non consentì un adeguato coordinamento. Contemporaneamente, alcuni C-47 da trasporto riarmati come bombardieri (gli ordigni erano stivati nel vano di carico, e quindi gettati dal portellone) attaccavano Tegucigalpa senza essere intercettati dalla FAH; scarsi i danni inferti, anche se l’effetto psicologico fu notevole, con non pochi episodi di panico.
Il 15 luglio, mentre i combattimenti nel settore settentrionale di Ocotepeque si intensificavano, la colonna meridionale salvadoregna frantumava le più deboli difese nemiche, grazie al supporto dei cannoni da 105 mm. Anche la guerra aerea si intensificò, registrando i primi abbattimenti: un Corsair della FAS distrusse infatti un similare apparecchio tipo F4U-5 honduregno, mentre gli apparecchi della FAH (rispettivamente un T-28D e un Corsair) abbattevano un FG-1D e un C-47.
La FAH inoltre lanciò una serie di missioni aria-terra, con risultati contraddittori, nel tentativo disperato di diminuire la pressione sulle postazioni del suo Esercito. Uno Skytrain riconvertito in bombardiere gettò (senza grande successo) 18 ordigni sull’aeroporto di Ilopango, poi colpito con un raid a bassa quota da quattro Corsair comandati dal maggiore Óscar Colindres Corrales (scomparso pochi anni fa), che ricorse ad un’astuta ruse de guerre, avvicinandosi alla base nemica come se guidasse un gruppo di Corsair della FAS di ritorno dall’azione, per poi virare all’ultimo istante sganciando le bombe da 500 libbre. La sorpresa riuscì in pieno, e le difese antiaeree non ebbero il tempo di reagire; ma solo la bomba sganciata dal Corsair di Colindres centrò in pieno un hangar.
Più duro l’attacco di altri tre Corsair honduregni contro Porto Acajutla, dove furono gravemente danneggiate la raffineria della Standard Oil, distruggendo il 20% delle riserve di carburante del Salvador, e danneggiando due navi da guerra ormeggiate a Cutuco: due apparecchi furono però colpiti dal fuoco antiaereo, e uno costretto ad un atterraggio di emergenza in Guatemala, dove fu internato. L’indubbio impegno delle forze aeree dell’Honduras non poteva però riequilibrare le sorti dei combattimenti sul terreno, dove alla fine del secondo giorno di guerra le truppe del Salvador avevano sfondato le difese avversarie in più punti, realizzando avanzate sino a 8 km ma su un ampio fronte, catturando diversi centri soprattutto nel Dipartimento di Ocotepeque, e circa 1.600 kmq di terreno.
Nel frattempo, la FAS proseguiva le azioni di appoggio tattico mitragliando i concentramenti di truppe honduregne e aiutando l’8° Battaglione a circondare Nueva Ocotepeque; nel corso dell’azione un C-47 fu gravemente danneggiato da un Corsair. Inoltre, sei tra Mustang e Corsair con serbatoi supplementari si spinsero sino a Tegucigalpa, colpendone l’aeroporto, distruggendovi una mezza dozzina di vecchi velivoli addestrativi e alcune infrastrutture, mentre una bomba lasciata cadere sul Palazzo presidenziale non esplodeva.
Il 16 luglio, mentre proseguiva l’avanzata salvadoregna lungo l’asse settentrionale in direzione di Santa Rosa de Copán, lo Stato Maggiore dell’Honduras architettò alcune controffensive: una a sud, per alleggerire la pressione sul fronte nord, l’altra via aerea, trasportando un battaglione di rinforzo, mentre alcune avarie – gli aerei coinvolti avevano in media un quarto di secolo di vita – portavano alla sospensione di una ambiziosa operazione aerotrasportata salvadoregna, mirata alla presa di una città sul lago Yojoa.
Il 17 luglio, fu la giornata clou per la guerra aerea: grazie al supporto di due P-51, l’11° Battaglione della 3a Brigata (rinforzata da unità della Guardia Nazionale salvadoregna) sconfisse gli Honduregni a El Amatillo, occupando quindi Nueva Ocotepeque; ma la caccia della FAH contrattaccò, e il Corsair del maggiore Fernando Soto Henríquez (1939-2006), asso della “Soccer War”, ottenne la sua prima vittoria, abbattendo il P-51 del capitano Humberto Varela. Quello stesso giorno, anche un Corsair della FAS abbatté un F4U-4 honduregno.

Il maggiore Fernando Soto Henríquez

Il maggiore Fernando Soto Henríquez

L’aviazione salvadoregna era però a corto di carburante, pezzi di ricambio e piloti esperti, e gli effetti si facevano sentire: un Mustang fu costretto ad atterrare in Guatemala (dove fu internato) per mancanza di benzina, mentre il comando della FAS era costretto ad assumere cinque mercenari, tra i quali gli americani Red Gray e Jerry De Larm: quest’ultimo, al soldo del Nicaragua, aveva abbattuto col suo P-47 un Mustang costaricano, durante un conflitto di frontiera scoppiato nel gennaio 1955. Inoltre, gli attacchi aerei honduregni rallentarono l’avanzata terrestre nemica in più punti, con raid effettuati anche con devastanti bombe al napalm, il 17 e il 18 luglio.
Il 18 luglio fu però il giorno di gloria per il maggiore Soto. Mentre l’Organizzazione degli Stati Americani (OAS) ordinava un “cessate il fuoco” che veniva respinto dal Salvador (le cui truppe erano penetrate in territorio honduregno per 65 km e addirittura minacciavano la via per Tegucigalpa), in un rapido duello aereo nei cieli dell’Honduras il caccia del comandante Soto abbatté un Corsair e un Mustang della FAS. Inoltre, il 18 iniziava a farsi sentire l’effetto dei contrattacchi honduregni, soprattutto a sud, dove veniva ripresa Amatillo.
Nei giorni seguenti, la scarsità di benzina avio e pezzi di rispetto rallentò ancora di più le operazioni aeree (soprattutto nella FAS), anche perché i combattimenti a terra erano cessati per i negoziati in corso. Il 27 luglio, nel tentativo di aumentare la pressione sul governo salvadoregno, l’Esercito dell’Honduras lanciò un’offensiva contro cinque città di frontiera; due giorni dopo l’OAS reiterava l’ordine al Salvador di ritirare le truppe. Il rifiuto salvadoregno portò ad una condanna per aggressione e all’imposizione di sanzioni economiche, che tagliarono i preziosissimi rifornimenti alla FAS. Era la svolta decisiva: il 5 agosto 1969 il Salvador accettava la tregua e ritirava le sue truppe da buona parte del territorio conquistato, anche se scaramucce ed incidenti proseguiranno sino al giugno 1970, quando l’OAS stabilì una “zona smilitarizzata” lungo le frontiere contestate, controllata da una cinquantina di osservatori, poi ritirati dopo il raggiungimento di un primo accordo tra le parti nel 1971. Nel 1976 si registrarono nuovi incidenti, ma l’aumentare dell’attività insurrezionale interna (soprattutto in Salvador, dove nel 1977 iniziava la guerra civile) e le pressioni internazionali portarono alla firma, nel 1980, di un accordo definitivo e all’attivazione di un arbitraggio della Corte Internazionale dell’Aja, che nel 1992 ha riconosciuto la sovranità dell’Honduras sul 75 per cento dei territori contestati e sull’accesso al golfo di Fonseca. Nel 2002 il Salvador ha però fatto ricorso, rivendicando l’isola dei Conigli. Per la cronaca… calcistica, ai Mondiali disputati in Messico nel 1970, approdò la nazionale salvadoregna, che fu però sconfitta in tutte e tre le partite del primo girone.

Per saperne di più
Ryszard Kapuściński, La prima guerra del football e altre guerre di poveri, Feltrinelli 2002