Editoriale: La Costituzione è talea in attesa di trapianto a giugno, forse

di Paolo Maria di Stefano -

 

Marco Pannella il 19 maggio ha conquistato la possibilità di ricordarci con assoluta pienezza e chiarezza quel misticismo della Politica che lo ha guidato nei lunghi anni di una militanza a favore della affermazione del diritto e della giustizia nell’interesse di ogni italiano, e non solo. Tutto senza curarsi più che tanto della popolarità, del potere e neppure della ricchezza, anche sopportando non lievi sacrifici personali.
E questo ha fatto di lui un Politico al di sopra della Politica, ed un uomo di potere al di sopra del Potere.
Perché Marco Pannella è stato l’uomo che più di ogni altro nel corso di tutto il secolo passato ha combattuto – riuscendovi – per innovare l’Italia, e lo ha fatto in modo profondo, forse irreversibile anche perché resistente a quel ritorno all’inciviltà e all’ignoranza al quale stiamo assistendo, probabilmente senza sapere o potere reagire più che tanto.
Ora è nella storia, e non solo in quella italiana.
Ed è nella cultura, chiamato a difenderla dai Politici, dagli Economisti, dai potenti.
Ovviamente, così come è sempre accaduto e sempre accadrà, sono quasi completamente spariti tutti coloro che gli sono stati contrari quando non lo hanno addirittura deriso. E chi obtorto collo ammette di non essere stato d’accordo giustifica la propria posizione in forza di un preteso idealismo astratto dell’uomo, contrario al realismo della Politica.
Certo sembra che la stragrande maggioranza degli italiani si sia data da fare e non poco per guadagnarsi un posto sul carro dei sogni di Marco Pannella, e questo ha fatto dimenticare che quei sogni sono stati vere e proprie battaglie di una guerra che non è finita ancora.

La nuova Costituzione è cosa fatta, si dice. E sul risultato del referendum che si terrà a giugno pare che il Presidente del Consiglio si “giochi la faccia”.
Espressione, questa, alla quale almeno dalle nostre parti occorre fare attenzione.
In sé, giocarsi la faccia da noi non significa in alcun modo lasciare gli incarichi e la Politica. Secondo un costume italiano radicato più che mai, nessuno si scandalizza per un politico dalla faccia discutibile che resta seduto al suo posto.
Scherzi a parte, il Presidente del Consiglio almeno a parole sembra aver personalizzato il risultato del referendum, cosa che da più parti ha fatto gridare allo scandalo o, quanto meno, alla inopportunità.
Io credo che Egli sia fermamente convinto di essere insostituibile, e dunque che sia possibile usare l’abbandono come valida argomentazione di vendita: gli italiani, pur di non rischiare, approverebbero la nuova Costituzione. In questo, non è il solo politico italiano ad esser certo della propria insostituibilità.
Il brutto è che nel caso dell’attuale Presidente del Consiglio si tratta probabilmente di una realtà: non esiste risposta alla domanda “chi al suo posto?”.
A sensazione, a giudicare da ciò che appare, i sedicenti leader della nuova Politica in due cose sembra si diversifichino dai vecchi, superati e (creduti) rottamati Politici: il livello di ignoranza, molto maggiore, e il senso della responsabilità – soprattutto sociale – molto minore.
La cosa veramente importante, però, a me pare sia il convincimento piuttosto diffuso che sia sufficiente fare qualcosa – quale che sia – per diventare credibili, dimenticando che il “fare” non è assolutamente sufficiente per garantire la qualità necessaria al miglioramento.
E neppure, il fare, coincide necessariamente con l’innovare e meno che mai con il migliorare.
E la “materia del rinnovare” appare più che chiara: il legiferare, il “produrre” quelle leggi che sono destinate ad incidere sui comportamenti di tutti e di ciascuno e dunque sulla vita dello Stato. Che è, poi, il compito, la competenza, di coloro ai quali è assegnata la funzione legislativa e la qualifica di Politici, e la ragione della esistenza del Parlamento.
Quanto la nuova Costituzione disegna può darsi raggiunga qualche obbiettivo. Tra questi, una riduzione del numero dei Senatori, più che altro sbandierata anche per una pretesa riduzione dei costi del Senato forse anche importante. Ma intanto: perché ridurre solo il numero di senatori? Perché non occuparsi anche del numero dei deputati? E dei loro emolumenti? In “Nonostante si può fare” (Viennepierre edizioni, 1993), primo saggio italiano di marketing della Politica, ebbi occasione di proporre la riduzione dei Parlamentari a cento deputati e cento senatori.
Ma questa è un’altra storia.
Certamente, la proposta di cambiamento della Costituzione non pare garantire l’eccellenza della produzione e dello scambio delle leggi. Perché, al di là di un (auspicato) ridimensionamento dei tempi di approvazione, nessuno sembra essersi seriamente occupato della qualità del prodotto “legge”.
A garanzia proprio della riduzione dei rischi di produrre leggi di bassa qualità, la Costituzione (ancora al momento in cui scrivo) vigente stabilisce la doppia lettura da parte di Camera e Senato, uno dei punti venuti meno con la modifica delle competenze di quest’ ultimo.
Dunque, si può supporre che il rischio di produrre leggi di bassa qualità con la nuova Costituzione possa aumentare in misura geometricamente esponenziale: al decremento della cultura in generale, si aggiungerebbe una importante diminuzione del controllo di qualità del prodotto chiamato “norma”.
Di fronte ad un “cattivo prodotto legislativo”, perdono di importanza tutti gli altri elementi, a partire dal sistema di scelta dei legislatori, dal loro numero, per arrivare alla immunità che investirà consiglieri (e funzionari) regionali, soprattutto, interessando uno dei punti nevralgici della corruzione e della incompetenza.
E se le cose stanno più o meno così, come condannare coloro che voteranno no?
Una parentesi: non credete che affermazioni del tipo “se va via lui, vado via anche io” da parte di qualche Ministro (uno solo, per la verità) potrebbe essere un ulteriore buon motivo per votare no? Anche se quel Ministro ha almeno avuto il coraggio di esprimere una posizione, a differenza di tutti gli altri, mi pare; ed anche se dire “vado anche io” è, per quanto ne so, pleonastico: se il Presidente del Consiglio si dimette, il Governo cade in automatico e in automatico i Ministri “vanno anch’essi”.
Comunque: se le cose stanno così, i dubbi sulle capacità di Governo e, prima ancora, da parte del Presidente del Consiglio circa il saper fare Politica” sarebbero un’ottima ragione per impedirgli di continuare.
Tanto, seppur sia vero che la sostituzione può sembrare difficile, nessuno è indispensabile e, probabilmente, non si potrebbe che risalire dal fondo nel quale si è sprofondati.
E non toccare la Costituzione attuale, non solo, ma anche cercare di realizzarla appieno (finalmente!) potrebbe essere un ottimo segnale di ripresa.

Resta che le leggi vanno osservate perché tali. Vale anche per la Costituzione, che è legge delle leggi, e che dunque, anche se mal progettata e costruita, una volta approvata va osservata. E vale per ogni e qualsiasi legge, perché ogni e qualsiasi legge ha nella sua natura il potere di costringere i cittadini ad osservarla. E’ un principio di civiltà, di convivenza, di rapporti tra Stato e individui e tra individui tra di loro. E’ una colonna portante della cultura e della civiltà.
Ne segue che, quando un aspirante legislatore invita i sindaci a non applicare una legge quale che sia, ci si trova di fronte ad uno dei sintomi del cancro della cultura di un intero popolo, di una intera nazione.
Una malattia curabile, dal momento che il cancro della non cultura può essere estirpato dalla attenzione di tutti alla cultura, alla formazione dei cittadini, alla natura stessa della democrazia.
Tutti obbiettivi raggiungibili, soprattutto se – in una qualsiasi democrazia, come la nostra – i cittadini “detentori della sovranità” respingono senza tentennamenti le ambizioni di tutti coloro che aspirano a portare nella attività legislativa l’ignoranza, l’immoralità, l’intolleranza di cui sono dotati in proprio e in prima persona, ma di cui accreditano gli elettori, in pratica insultandoli nel momento stesso in cui cercano di cavalcarle per conquistare voti.
E ancora: esiste la possibilità teorica che una legge possa essere abrogata per desuetudine. Resterebbe quindi possibile che il “non uso” di una norma ne provochi l’abrogazione.
I leader di cui sopra, potrebbero – tanto per intenderci – immaginare che se nessun Sindaco (o altro ufficiale a ciò preposto) celebrasse nozze gay, la norma relativa verrebbe abrogata.
Errore: il nostro ordinamento non prevede l’abrogazione delle norme per desuetudine.
Mentre sarebbe forse possibile una campagna di persuasione rivolta agli omosessuali perché rinunzino al diritto di sposarsi. Ma io credo che anche se la campagna dovesse avere successo e per qualche tempo si dovesse assistere ad una mancanza assoluta di nozze tra gay, la norma che le consente non sarebbe per questo abrogata, non fosse altro che perché una rinunzia assoluta, generale e irreversibile e soprattutto libera non è neppure lontanamente immaginabile.
Ora, è vero che i Politici ricorrono a qualsiasi espediente, ma…

Per una trentina di migliaia di voti provenienti, se ho ben capito, da quelli espressi per corrispondenza, l’Austria ha scelto Alexander Van der Bellen. Che a me pare comunque una buona notizia: per quanto risicata, esiste anche in Austria una maggioranza – la più colta, si dice – schierata a favore dell’Europa e di un comportamento “umano” nei confronti dei migranti e dell’accoglienza. E comunque in grado di resistere ai rigurgiti nazionalisti, egoisti, antistorici e di stanca retorica.
Resta a mio parere la opportunità di organizzare un ripensamento alla unione dei Paesi europei, un riesame della situazione attuale, della struttura degli obbiettivi, della indicazione degli strumenti e dei tempi, delle caratteristiche del consenso degli Stati chiamati ad attuarla.
Che significa in pratica un controllo dello stato della “pianificazione di gestione” dell’Europa Unita, provvedendo ad individuare e correggere tutti gli errori e i punti di debolezza, in una con l’indicazione dei punti di forza e delle opportunità. E dunque anche delle priorità.
Un esempio per tutti: manca una “scuola di formazione europea” e, se esiste, pare sia quanto meno debole. Non sarebbe il caso di verificare – i Ministri della istruzione pubblica potrebbero finalmente servire a qualcosa! – la coerenza dei programmi delle scuole “di ogni ordine e grado” in tema di “europeismo”? Con annessi e connessi, ovviamente: la preparazione dei docenti… l’abolizione dell’insegnamento della Storia come insieme di eventi bellici, di divisione tra Stati, di grandezza in funzione e in proporzione delle vittorie… e della geografia Politica come divisione tra territori di sovranità diversa… e dell’amor di patria come espressione di nazionalismo, e non di europeismo, magari cominciando a parlare di cittadinanza del mondo e di “patriottismo globale”…
Dice: ma se neppure l’ONU è riuscito a pensare a qualcosa del genere! … Beh, da qualche parte si dovrà pur fare qualcosa. Tanto per cominciare. Perché non l’Europa?

Il ritorno di Girone in Italia è cosa fatta: l’India – riuscita a dare un significato concreto al vecchio detto “fare l’indiano” – sembra intenzionata a rispettare le decisioni prese a livello internazionale.
Ci ha messo tempo, l’India, ma cosa conta una manciata di anni di fronte all’eternità?
Piuttosto, non sarebbe il caso di ridimensionare l’immagine attuale dei due marò da “eroi” a vittime dell’esercizio di un dovere e di un errore di valutazione commesso dall’India in nome – soprattutto – della opportunità politica e della ragion di Stato?
Mi pare che “eroe” qualifichi qualcosa di diverso, pur restando vero che oggi fare il proprio dovere somiglia sempre di più ad un atto di eroismo.

Almirante e i Partigiani. Qualcuno ricorda che nella vecchia Unione Sovietica e non solo la caduta di uno dei Capi era sempre seguita dalla distruzione delle statue a lui dedicate e dalla cancellazione del nome da ogni insegna stradale e da ogni e qualsiasi lapide o fotografia, e dalle enciclopedie e dai libri di storia. E anche dalla cacciata dalle posizioni occupate di tutti i loro amici e sodali, vicini e lontani.
“Quasi” tutti, per la verità: da che mondo è mondo, c’è sempre stato un consistente numero di furbi – e fortunati, anche – che si è salvato e, cavalcando gli eventi, ha continuato a fabbricare la Storia.
Comunque, si sono aggrediti e cancellati i segni di un passato perdente, come se questo potesse cancellare la Storia!
La fine di maggio ha visto una promessa (di tipo puramente elettorale, e che come tale non corre alcun rischio di essere mantenuta): dedicare a Roma una strada a Giorgio Almirante. Vergogna, scandalo e non sta bene!
Resta però che non si può negare che l’uomo sia stato un politico di livello, che abbia fatto e faccia tuttora parte della storia d’Italia, da un lato, e, dall’altro, non mi pare accettabile che le ragioni di una parte avversata a suo tempo e avversa oggi ne impediscano il ricordo. Nel bene e nel male.
Che è anche la storia di altri che della Storia sono stati artefici negativi ma che dalla Storia non possono e non debbono essere cancellati. Perché la caratteristica fondamentale della Storia è la sua vicinanza alla obbiettività dei fatti. E Hitler e Mussolini e Stalin e Franco e Peron, e Serse, e Dionigi di Siracusa, e Caio Giulio Cesare, e Nerone, e Caligola, e Kim Il Sung, E Mao Tse-tung. E Francois Duvalier, e Nicolae Ceaucescu, e Mobutu, e Bokassa, e Gheddafi, e Idi Amin, e Pinochet, e Pol Pot, e (…) sono “fatti”, prima ancora che notizie e opinioni.
Così come non mi pare possibile scandalizzarsi se qualcuno afferma che dei meriti dei Partigiani si sono appropriati personaggi non meritevoli quando non squallidamente arrivisti.
Da sempre si sale sul carro dei vincitori.
E d’altra parte, si può onestamente negare che l’essere partigiano o l’averlo lasciato credere abbia prodotto in più di un caso più di qualche vantaggio non certamente e direttamente legato agli ideali di libertà e di riscossa?
Come l’assegnazione di posizioni di potere nel pubblico come nel privato, per esempio…

Duecento metri di Lungarno sono franati per la rottura – sembra – di una conduttura dell’acqua potabile. Danni ingenti, ovviamente, e forse ancor più grande fortuna, se si pensa a quanto avrebbe potuto accadere. Agli Uffizi, per esempio.
Ovviamente, è scattata la caccia ai responsabili e il rimpallo di rito. Tra i cacciatori, Sindaco in prima linea.
Solo un dubbio: ma il Sindaco non dovrebbe comunque essere il primo dei responsabili della gestione anche “fisica” della città?

E parliamo della imbecillità di maggio, probabilmente legata all’andamento ondivago della primavera e delle temperature. Piccole cose, forse, a fronte di eventi internazionali di importanza vitale, ma è proprio l’attenzione alle piccole cose che riesce a meglio valutare e forse anche a condizionare le grandi.
Il comportamento dei tifosi del Milan dopo la partita persa a Roma contro la Juventus dei record (assalto a un bar e un paio di feriti) ha secondo me confermato che il tifo è una delle radici della imbecillità più assoluta, non solo, ma anche un legame sempre crescente tra “sportivi” di discipline diverse ma popolarissime. Il calcio e il ciclismo, per esempio. Con una differenza, almeno sembra: il tifo ciclistico appare sempre più idiota, ma abbastanza innocuo, almeno per ora: vestirsi in modo cretino, addobbarsi di corna e coda e scudi e corazze e bandiere e correre a perdifiato magari in mutande è talvolta rischioso, ma in genere non violento e quasi carnascialesco: quello calcistico, oltre che imbecille è sempre di più violento. E di una violenza gratuita, anche, almeno a giudicare da quanto è accaduto a Roma a fine maggio.
Siamo certi che pene immediate e pesanti non abbiano effetto? Se tre pullman si fermano davanti ad un bar e da uno scende un certo numero di imbecilli violenti in niente ostacolati dagli altri viaggiatori, perché non immaginare un fermo di massa, una pena per tutti (magari non eguale) ed il divieto assoluto di partecipare quali spettatori agli eventi sportivi futuri?
Forse perché si dice sia meglio dieci colpevoli fuori che un innocente in carcere? O forse perché la retorica pensa sia bene non generalizzare?
Intanto, non è vero che i passeggeri degli altri due pullman, nei fatti di Roma, erano innocenti. Intanto, il non essere intervenuti significa connivenza; poi, perché un comportamento generalizzato crea immagine.
E l’immagine dei cosiddetti tifosi, pur se chiamati sportivi, sembra acquistare sempre di più connotazioni delinquenziali.
Con buona pace di coloro che, pur senza minimamente conoscerne il pensiero, respingono l’idea di Lombroso, che sia possibile riconoscere il delinquente sia pur potenziale dalla sua conformazione fisica. E perché non anche, allora, dal suo partecipare a riti di gruppo?
Magari, assumendo espressioni e atteggiamenti comuni e perciò distintivi.

I migranti, infine. Solo per ricordare una rotta omicida che riempie di cadaveri il nostro mare, di orfani indifesi e di disperati la nostra terra e le nostre città e paesi.
Nessuno sembra neppure immaginare una soluzione qualsiasi che vada al di là della retorica.
Queste pagine si sono più volte occupate del problema, anche proponendo l’esame di possibili soluzioni, addirittura in grado di colpire la delinquenza, le mafie e, se proprio fosse necessario, di tradurre i risparmi sicuri addirittura in profitti.
Tanto, ancora da noi si insegna ancora che l’economia prescinde dalla morale, dall’etica, e in gran parte anche dal diritto…