Editoriale: Il buon giorno si vede dal mattino

Paolo M. Di Stefano -

 

Non è poi così banale come può apparire: quando l’alba e l’aurora si stemperano nei colori del giorno e il mattino si veste di un cielo al quale è piacevole alzare lo sguardo, tutti o quasi traiamo auspici positivi per la giornata. Ed è proprio da questa positività che ricaviamo in genere il contenuto di ottimismo che darà forza al nostro operare.
In quel leggere auspici, sia pure in modo inconscio molto giocano la nostra cultura e la nostre speranze: anche il bicchiere del giorno che nasce può essere mezzo pieno o mezzo vuoto a seconda di chi lo guarda.
E’ un fatto di interpretazione, e l’interpretazione è sempre una questione di conoscenze: se ad un estremo è l’istinto, bruto, naturale, animale, all’estremo opposto è o dovrebbe essere la cultura al suo livello più elevato, che è istinto filtrato e modificato da un uso corretto di almeno due valori: l’intelligenza e la libertà.
Naturalmente, non sono sicuro che questo sia il modo esaustivo per introdurre qualche annotazione sull’anno appena iniziato e sul gennaio appena trascorso, ma è certamente un modo che potrebbe anche rivelarsi costruttivo.

Il 2017 appena iniziato lancia segnali positivi perché inequivocabili, e dunque utilizzabili  come obbiettivi da colpire ed abbattere con buona probabilità di riuscita, oppure come fine ultimo da individuare e raggiungere, a questo ordinando anche l’attività politica generale, oltre che quella di ciascuno di noi. Da anni sostengo che la civiltà alla quale abbiamo dato vita e nella quale abbiamo vissuto fino ad oggi anche in qualche modo cercando di “venderla” o comunque di farla accettare ad altri è un prodotto il cui ciclo di vita è ormai nella fase finale. Significa: sta morendo. E dunque, possiamo scegliere due strade: cercare di riportarla a quando “stava bene”, oppure prendere atto della morte imminente e correre a costruire un sistema nuovo e dunque comunque diverso.
E per anni la mia è stata la voce di uno che parla nel deserto, non perché io abbia inventato qualcosa di nuovo e di inedito e di diverso, la distribuzione della ricchezza essendo stata cavallo di battaglia di economisti e di filosofi e di politici e di religiosi e anche di persone soltanto di buon senso, quanto per il progressivo disfacimento dei valori e della cultura della “comunità umana”, regredita allo stadio di “individualità da affermare a qualsiasi costo”, e quindi – si sostiene – vicino all’istinto animale che, peraltro, dimostra consapevolezza e solidarietà per l’altro più spesso di quanto non si pensi.
Ed anche al fare della ricchezza il segno massimo delle capacità e del successo, nonché la base di un rispetto proprio per quella dovuto.
Ed è per me segnale positivo che finalmente a fine gennaio e attraverso i mezzi di comunicazione di massa (che, come è possibile notare, nel nostro Paese non a tutti sono accessibili, almeno nella parte di comunicatori attivi: bisogna essere parte di un clan o anche in qualche modo conosciuti) qualcuno abbia esplicitamente ammesso che occorre cambiare il sistema economico, innovarlo, mettendo al centro la redistribuzione della ricchezza e il suo uso più corretto.
Lo ha fatto ultimamente Vannino Chiti, senatore PD e presidente della commissione Politiche dell’Unione Europea il 24 gennaio (Huffington Post) il quale, avendo sostenuto qualcosa di intelligente, certamente sa che andrà incontro a problemi di ogni tipo. Primo tra tutti, quello di una progressiva emarginazione.
Qualcosa di simile ha detto Stefano Zamagni, professore di economia politica all’Università di Bologna (Avvenire, 28 gennaio, pag.9), il quale ha anche sottolineato come (virgolettato nella fonte, e dunque da attribuirsi al Docente senza interpretazioni di sorta) “uno degli aspetti più pericolosi della mentalità corrente sta proprio nella trasformazione del mercato finanziario in una divinità imperscrutabile, alla cui volontà bisogna sempre e comunque assoggettarsi”.
Che è non tanto e non solo un altro dei temi di cui mi sono occupato da lungo tempo, ma anche un suggerimento specifico e concreto: rivedere e se del caso riscrivere le funzioni delle banche in quanto soggetti attivi nel mercato, così anche ripensando a cosa veramente il mercato sia e, con questo, cosa sia l’economia e il sistema economico.

Italia Sovrana - delirio di Giorgia Meloni – sempre a fine mese è anch’esso non ostante tutto un segnale positivo: il 2017 ha richiamato l’attenzione su una delle tante sorgenti di pericolo grave: la gente che cavalca concetti forse neppur ben conosciuti per apparire credibile e conquistare quanto più potere possibile. Non solo la sovranità non significa affatto libertà assoluta e dunque sostanziale anarchia, ma è il terreno sul quale occorre che qualsiasi forma di unità a qualsiasi livello deve confrontarsi per far sì che la comunità di riferimento si inserisca al meglio nel gruppo più vasto ipotizzato per soddisfare i bisogni di tutti.
L’Unione Europea stenta a decollare proprio perché gli Stati che l’hanno sognata e la compongono stentano a realizzare che il “fare insieme” implica una visione della sovranità di ciascuna componente diversa da quella attuale. Sempre, quando si lavora insieme, si ha a riferimento una realtà (l’insieme, appunto) che è portatrice di bisogni e di interessi e di motivazioni che non sono la somma dei bisogni e degli interessi e delle motivazioni dei singoli componenti, bensì il loro sublimarsi in bisogni, interessi e motivazioni propri della comunità di riferimento.
Ecco, allora, l’opportunità, una delle opportunità: rivedere a fondo il concetto di sovranità e condurre una approfondita analisi conoscitiva di quali siano i bisogni, gli interessi e le motivazioni propri della comunità di riferimento. L’Europa, appunto.
E solo dopo, pianificarne la soddisfazione.

Ricostruire le scuole distrutte dal terremoto che continua a tormentare il Centro Italia assieme ad altre inusuali calamità naturali è indubitabilmente un obbiettivo commendevole. Ma a me sembra che l’insistenza su questa attività abbia più che altro la veste di una argomentazione di vendita per raccogliere fondi e dimostrare che c’è chi ha sempre presente la tragedia di quelle popolazioni. Dove le vogliamo ricostruire, le scuole? Nei paesi e nelle frazioni distrutte? A chi serve un edificio scolastico nuovo e come funzionerebbe una scuola i cui alunni sono privi di abitazione e devono raggiungerla da lontano, percorrendo strade precarie? Io non ho una risposta affidabile, e questa è senza dubbio una mia carenza.
Ma in questa insistenza sulle scuole distrutte un lato positivo c’è: ci voleva una catastrofe per richiamare l’attenzione sulla scuola, nel nostro Paese cenerentola della Politica, e la catastrofe c’è stata. E dunque, è giunto il momento per guardare al piano di gestione della istruzione nel suo complesso e provvedere anche sulla qualità degli insegnamenti, degli insegnanti, dei servizi accessori.
Hai visto mai che pianificando e gestendo si risolva anche il problema di quei Professori in appoggio” che, a me pare, esprima proprio la incapacità di pianificazione e di gestione degli scambi che sembra parte integrante del DNA del nostro Paese?
Non sarebbe il caso di provvedere alla stesura di un piano di gestione degli effetti delle calamità, considerando la ricostruzione – intesa come il rifacimento dei paesi e delle frazioni “in loco” una delle possibilità? In un mondo di modelli matematici e di algoritmi ormai quasi un religione, è mai possibile che non si riesca ad individuare zone dove le scosse sismiche siano meno probabili? E, soprattutto: è mai possibile che, pur in presenza di esempi positivi provenienti in particolare dal Giappone (sembra) non si riesca ad imporre la costruzione di abitazioni in base agli ultimi criteri antisismici? E non si riesca a controllare che questo accada? E non si possa garantire che la burocrazia si attivi secondo scienza, coscienza e leggi?

Il Comune di Roma e la sua gestione ritengo possano essere considerati segnali positivi per una attività di pianificazione, gestione e controllo finalmente approfondita. Che il movimento che ha espresso il sindaco della città si sia dimostrato incapace a governarla è al momento incontrovertibile. Cosa, questa, che può suonare strana per una struttura (molto meno diffusa di quanto non si tenti di farla apparire) che non solo critica duramente chiunque in qualche modo la contrasti, ma che dispone, anche, di una impresa privata tra i soggetti che della struttura stessa hanno il potere di indirizzare l’azione e di controllarne l’esecuzione.
Questa impresa, che si pone come fondatrice del movimento, dichiara “Assistiamo le imprese nella definizione della strategia digitale, combinando consulenza manageriale, esperienza e innovazione”.
Il che è bello ed istruttivo, ma non sembra avere qualche effetto concreto nella azione del sindaco di Roma nel pianificare l’attività del Comune, nel gestirne i piani operativi, nel organizzare l’attività manageriale, nell’utilizzare le esperienze e nel dimostrare capacità innovative.
Che si tratti di un testo comico, destinato ad essere recitato per far ridere gli ascoltatori?

E il balletto del quando e del come delle elezioni politiche, a mio avviso inqualificabile ma costruttivo: denuncia la presenza nei Politici e nei partiti e nei movimenti di interessi diversi da quelli la cui soddisfazione dovrebbe rispondere al “bene comune”, e dunque è possibile cercar di conoscere i punti deboli e gli eventuali punti di forza di coloro – privati e struttura – che dicono di “fare Politica” o almeno di volerla fare. Che è costruttivo, appunto, per la decisione di voto di ciascuno di noi.

Gli argomenti del neo Presidente degli Stati Uniti sembrano miele per le api che ronzano da noi attorno alla politica ed al potere (e naturalmente, alla risorse che li accompagnano).
Che è, poi, un atteggiamento quasi scontato per noi italiani in genere e per i nostri improvvisati politici in particolare.
Subito alla notizia della elezione si è levata la voce di chi ha cercato di accreditarsi come antesignano, quando non anche ispiratore, e comunque almeno convinto seguace del nuovo potente.
Che è il vero pericolo cui stiamo andando incontro: il portare in Parlamento e dunque ad esercitare la sovranità e gestire lo Stato personaggi di uno squallore e di una vacuità assoluta che cercheranno di imitare il peggio tra gli esempi che almeno nei prossimi quattro anni ci verranno dagli USA.
Io credo che il segnale che ci viene dai commenti oggi e dalla campagna elettorale in un domani non lontanissimo possa essere ritenuto positivo: indicherà a chi negare il voto, in modo che gli sia impedito di assumere la funzione e la figura del replicante.
Intanto, a fine gennaio negli Usa più di un aeroporto sembra sia andato in tilt per aver dovuto applicare la volontà del Presidente in merito all’ingresso negli States di persone dotate di visto di ingresso regolarmente rilasciato.
Pare anche che un giudice della Corte Federale sia corso ai ripari.
Ancora due segnali positivi: il primo, che massima autorità al mondo o meno, occorre pensare e attentamente a quanto si fa, anche individuando i vincoli e le conseguenze negative.
Significa che l’improvvisazione va sempre e comunque evitata, come la fretta.
Il secondo: la magistratura è rimane la garanzia più sicura ed efficace in ogni situazione. Va dunque difesa da ogni ingerenza della Politica perché rimanga tale.
E gli Stati Uniti d’America, forse, cominciano a comprendere che l’attuale Presidenza è un problema di non poco conto non solo e non tanto di immagine, ma anche di sopravvivenza.