Editoriale: Giugno, da sempre mese del fiorire dei tormentoni estivi

di Paolo Maria di Stefano -

Per nove nostri connazionali, le ferie estive e il ritorno al lavoro dopo il riposo non hanno più significato: quelli dell’ISIS li hanno uccisi nell’assalto in un ristorante di Dacca, la capitale del Bangladesh. E’ la prima notizia di un luglio che abbiamo esortato anche a dedicare alla meditazione, oltre che al riposo. E forse gli eventi che ci hanno costretto a posticipare di una settimana l’uscita di Storia in network si sono verificati anche per non permettere a nessuno di noi di non pensare a quanto continua a mettere in atto quella banda di assassini che di umano non hanno più nulla, salvo, forse, la vigliaccheria.
E pensare all’ISIS ed al terrorismo di cui si serve significa anche deciderci a guardare con maggiore attenzione al finanziamento ed all’armamento di quella organizzazione. Che sarà anche difficilmente individuabile nelle sue componenti, ma della quale certamente i fornitori di armi hanno identificato i referenti per l’acquisto e della quale gli stessi fornitori di armi conoscono le vie dell’approvvigionamento.
Gli Stati tutti dovrebbero – lo abbiamo scritto più volte – stabilire una volta per tutte che, se proprio necessarie (cosa non dogmatica) le armi non possono e non debbono essere oggetto di commercio sotto nessuna forma e per nessuna ragione. Sempre se è proprio necessario, ciascuno Stato può fabbricare le armi che servono a garantirne la sicurezza, ma può farlo solo in quanto Stato e solo per uso personale. Senza eccezioni.
Gli attuali produttori di armi che, direttamente o tramite triangolazioni, forniscono l’ISIS andrebbero classificati come delinquenti e come tali puniti con i mezzi più efficaci e più rapidi, dalla chiusura immediata degli stabilimenti al sequestro delle risorse finanziare alla detenzione per istigazione alla strage.
E leggi in tal senso dovrebbero essere approvate con priorità assoluta, una priorità che i Paesi dell’Unione Europea dovrebbero usare come simbolo di appartenenza a quella civiltà superiore che i para-umani dell’ISIS e i loro imitatori tentano di distruggere.
E che anche le Nazioni Unite dovrebbero assumere quale compito “concreto” prioritario.
Inutile dire che tutti gli Stati dovrebbero vietare la vendita e lo scambio di armi, a qualsiasi titolo, di qualsiasi tipo, ai privati in genere, cittadini e non.

Tormentone: leggo sul Nuovo Zingarelli che si tratta di un accrescitivo di tormento, come primo significato, e di passione rovente e lancinante, di un rovello che tormenta, di una espressione usata specialmente in senso spettacolare. Il Nuovo Dizionario Hazon Garzanti, dal canto suo, si limita al significato di persona fastidiosissima, rinviando agli specifici pest, nuisance e nag per eventuali approfondimenti.
Altri dizionari si attengono in linea di massima agli stessi significati pressoché tragici e in fondo personalizzati: nessuno di quelli da me consultati fa riferimento a quel senso del divertimento, del comico fino al ridicolo che, nella nostra lingua, il lemma assume quasi in esclusiva. Quando si vuole indicare, per esempio, la canzone – in genere di esemplare semplicità- cui tutti accenneranno nel corso delle vacanze d’estate. Che costituisce un mistero: quale sarà la canzone dell’estate?
E nessun cenno ho trovato al mese di giugno quale inizio della stagione del fiorire dei tormentoni, destinati in genere ad appassire con il finir delle ferie e l’inizio del cader delle foglie.
Eppure, il giugno appena trascorso è stato particolarmente prolifico, e lo è stato su piani diversi, in apparenza senza collegamenti, e soprattutto pericoloso per la durata prevedibile.
A proposito delle quali, forse un augurio particolare non è fuori luogo: abbiamo bisogno di provare a dimenticare un mondo ed un periodo tutt’altro che positivi. Il mio augurio è che questo sia possibile a ciascuno di noi, insieme a quei momenti di riflessione che ci potrebbero consentire di tornare alla vita di tutti i giorni armati di nuove energie.

Gino Bartali e gli europei di calcio in corso in Francia al momento in cui scrivo hanno qualcosa in comune: del ciclista si è detto abbia salvato l’Italia dalla guerra civile possibile dopo l’attentato di Pallante a Togliatti; di questi europei di calcio, non si è detto che abbiano salvato l’Europa dalle minacce terroristiche, ma l’attenzione della gente si è certamente distratta dalle tragedie passate, da quelle presenti e da quelle incombenti. E chissà che…
Per noi italiani, poi…: abbiamo sconfitto la Spagna! Ed anche questo entra a far parte del tormentone estivo.

La sindaca (al plurale, le sindache o le sindachesse? Problema linguistico non da poco, che da solo giustifica una linguista al Ministero della Istruzione) probabilmente ci perseguiterà per anni, e questo grazie (anche) alla circostanza che le amministrative di giugno hanno fatto sì che molte delle candidate donne siano state elette. E subito i mezzi di comunicazione di massa si sono sentiti in obbligo di sottolineare il fatto, inventando un inesistente femminile di “sindaco”, sostantivo fino a poc’anzi esclusivamente maschile. Il lemma (o forse occorre dire “la” lemma, anche perché finisce naturalmente con quella “a” che nella nostra lingua, quando è necessario, distingue il femminile dal maschile) a me pare talmente brutto ed inutile da farmi immaginare un gruppo di biechi maschilisti a oltranza dediti a cogliere ogni occasione per mettere le donne in cattiva luce. Un po’ come accade per quelle leggi, leggine, regolamenti, suggerimenti che impongono la presenza femminile solo perché tale, facendo dimenticare una realtà incontestabile: le signore, le donne, sono in grado di dimostrare le capacità di cui sono dotate senza altro bisogno che una migliore cultura da parte del “sesso forte”, che vive di pregiudizi e preconcetti. Tra questi, anche proprio di una forza fisica che, tra l’altro, neppure appare più sua esclusiva.
Comunque: se è un problema di parità, di giustizia, di eguaglianza, perché non pensare a creare (per esempio) “pediatro”, con la “o” finale, per i maschi, così individuando le donne che esercitano la professione di medico per i bambini con l’assoluta certezza di “pediatra”? E sempre comunque: quando il sesso non è ben definito, l’esercente la pediatria come può essere indicato?
E se provassimo a pensare che il “neutro” si addice alla professioni? E che spesso basta un articolo a distinguere, quando sia proprio necessario?

Genocidio, una questione semantica che ha agitato la Turchia una volta ancora. Papa Francesco ha indicato con questo nome quanto accaduto tra turchi e armeni negli anni 1915 e 1916, ed la Turchia ha reagito. Non, come si potrebbe immaginare, negando l’accaduto, ma pretendendo che non venisse qualificato quale genocidio.
Anche accusando il Papa di attività missionaria.
E qui un pensiero peregrino: vuoi vedere che lo svolgere attività missionaria sia, se non la stessa cosa, qualcosa di simile a perpetrare un genocidio? In fondo, ammesso che una attività missionaria consista nel convincere a nuova e diversa cultura, se si dovesse ottenere il pieno successo intere popolazioni in qualche modo vedrebbero la loro cultura cambiare fino a cancellarsi, a sparire: proprio quanto un genocidio si propone. Allora, forse, è una questione di “modi”: propagandare una cultura diversa con il metodo della formazione, del colloquio, della discussione, dell’esempio significa “fare cultura con il convincimento senza violenza, nel pieno rispetto della libertà”. E’ lo spirito missionario. Quando, invece, si cerca di ottenere lo stesso risultato usando la violenza in tutte le sue gradazioni, anche le più estreme, senza alcun rispetto per la libertà ed i diritti altrui, si è di fronte al “genocidio”, del quale fa anche parte l’eliminazione fisica.
Che poi anche il genocidio sia una forma di cultura, è altra storia che non giustifica altro se non il tentativo di un linguaggio meno negativo per la Politica e per l’immagine di uno Stato.

“La Manica in tempesta, l’Europa isolata”. Io lo ricordo, il titolo di quel giornale inglese. Ero giovane, allora, e fermamente convinto che il senso inglese dell’umorismo fosse molto ma molto al di sopra di quello italiano, da tanti ritenuto inesistente. Tanto superiore, quel sense of humour, da permettere ai giornalisti di scherzare anche con un titolo a tutta pagina, ed ai lettori di apprezzare. Solo più tardi credo di aver capito che non di battuta si trattava, ma della affermazione di una realtà, almeno per gli abitanti dell’isola, incontestabile: la Gran Bretagna centro del mondo, punto di riferimento anche per i fenomeni naturali, e i sudditi di Sua Maestà punto di riferimento della Storia tutta, sotto tutti i cieli.
Corollario: la Storia non è altro che il susseguirsi degli avvenimenti nell’interesse dei britannici, e da questi determinati.
Tanto ricordo bene, da esser rimasto stupito dal fatto che, in occasione dei risultati del referendum sulla permanenza della Gran Bretagna in Europa, nessun giornale abbia titolato “La Gran Bretagna ha scelto: l’Europa è fuori dall’unione”.
Che sarebbe stato meno campato per aria di quanto non possa apparire.
Il Regno Unito è una unione di Stati, e dunque di questa non fanno più parte gli Stati che compongono il vecchio continente.
Un problema – di puro dettaglio, forse – è costituito dal modo con il quale l’Unione Britannica si è formata (a forza di guerre, di congiure, di assassini, ed anche di matrimoni e di accordi tra famiglie e potenti e così via, in questo non diverso a quello che ha dato vita a tutti o quasi gli Stati nel resto del mondo) e tende a conservarsi Regno Unito: non disdegnando, se necessario, l’uso della forza, ma ricorrendo più spesso di quanto non sia accaduto nel passato a forme di convincimento diverse, anche soltanto a parole,  attraverso gli appelli ad un sistema di leggi che non consentirebbe alla Scozia, all’Irlanda, al Galles e all’Inghilterra di scegliere il ritorno a quella piena ed esclusiva sovranità che è stata invocata per lasciare l’Europa.
E una buona parte del tormentone di giugno, ma anche dei mesi a venire, sarà costituito proprio dalle previsioni relative a quanto potrebbe succedere, per esempio, se la Scozia decidesse di rimanere in una Europa Unita o l’Irlanda di riunirsi e, a sua volta, scegliere di essere una delle componenti di quell’Europa dalla quale il Regno Unito si è dimesso.
Strettamente connesso, l’argomento relativo alle aspirazioni di indipendenza di alcune delle attuali regioni componenti di altri Stati europei: della Spagna, per esempio. E dell’Italia, anche, seppure almeno in apparenza sopite.
E’ il senso di quell’effetto domino che, si teme, potrebbe portare ad altri referendum e ad altre uscite.

Le elezioni amministrative hanno consentito al Corriere della Sera del 20 giugno un titolo di grande effetto: Trionfo 5 stelle. E se non proprio di trionfo si è trattato, è indubitabile che i 5stelle abbiano riscosso un successo nel quale quasi certamente neppure loro speravano.
Ma che era prevedibile. I 5stelle sembrano avere affinata la capacità di toccare le corde dell’immediato, del fattibile a tempi brevi, del popolare nel senso dimensionale del termine, spogliando il loro dire di ogni orpello retorico. Perché più o meno a tutti noi piacerebbe uno Stato che si occupasse con attenzione del modo con cui si spendono i danari che il sistema fiscale procura, oltre che della equità del sistema stesso, così come a tutti o quasi non dispiacerebbe un maggior ordine negli stipendi e nelle pensioni corrisposti a impiegati, funzionari, dirigenti pubblici, oltre ad un rapporto più equo tra di essi. O anche, per tutti noi è commendevole che gli eletti 5stelle restituiscano una parte delle prebende e dei finanziamenti. E così via, non ultima, ovviamente, l’attenzione agli interessi spiccioli della gente, che non sa che farsene dei proclami d’altissima politica e d’alta finanza, che tra l’altro non conosce se non per sentito dire e in modo approssimativo e distorto, mentre ha ben presente i “problemi della quotidianità” e l’indisponibilità dei politici di professione a fare Politica, appunto, quella con la P maiuscola e che dovrebbe servire a gestire la cosa pubblica nell’interesse dell’intera comunità. Con conseguente disamore generalizzato proprio per quella “cosa pubblica” che sempre di più appare come fatto privato di pochi privilegiati, e che comunque almeno da noi ha sempre avuto qualche difficoltà di troppo ad esser compresa.
Con il che, resta l’incapacità di proporre pianificazioni di gestione, quanto meno su scala nazionale e internazionale, credibili e corrette.
Che è una vera minaccia, perché il voto per suggestione è una possibilità concreta più di quanto non lo sia mai stata, con il rischio di un dilettantismo che potrebbe anche esser mortale per la società.
Infine. Forse senza volerlo, i 5stelle hanno introdotto un concetto strisciante di “autorità nella democrazia” o, se si preferisce, di “controllo della gestione della democrazia”. E questo hanno fatto in uno strano mondo, il nostro, che sembra credere che “democrazia”, “autorità” e “controllo” siano concetti inconciliabili, e che parla di libertà quasi si trattasse di un sinonimo di anarchia.