Editoriale: E se i disastri tutti avessero una funzione formativa?

di Paolo Maria Di Stefano -

Ottobre si è chiuso in modo assolutamente coerente: un nuovo terremoto di magnitudine 6.5 ha colpito le zone già devastate ad agosto e sulle quali lo sciame sismico da allora ha infierito in pratica senza interruzioni.
Con una piccola aggiunta, quasi insignificante e non collegata fisicamente agli eventi sismici: sulla statale 36 è crollato un cavalcavia, fortunatamente provocando una vittima soltanto e qualche disagio alla viabilità. Per il resto, paura e polemiche.
Tranne il numero delle vittime, tutto come per il terremoto infinito che si è trascinato per l’estate intera quasi a manifestare una volontà persecutoria nei confronti delle popolazioni di cittadini e borghi e villaggi e frazioni del centro Italia.

Se agli eventi può esser dato un significato, non potrebbe pensarsi che il crollo del cavalcavia possa costituire un momento formativo, almeno per quelle aree del nord Italia che dal terremoto non sono state colpite, un richiamo alle responsabilità degli uomini in quanto di negativo accade e che noi tutti tendiamo ad attribuire alla natura e come tale a ritenere al di fuori delle nostre responsabilità?
Nel caso del cavalcavia, si è subito pensato che un camion da centootto tonnellate (mi pare) fosse di peso eccessivo per la struttura, e che, quindi, non avrebbe mai dovuto trovarsi sul posto, soprattutto o anche perché qualcuno qualche tempo prima aveva lanciato un allarme circa la stabilità di quel manufatto, peraltro già messa a rischio da altri incidenti. E a collasso avvenuto da appena qualche momento, subito è iniziato il rimpallo: la Regione e la Provincia di Lecco se ne sono tirati fuori, affermando la responsabilità dell’Anas, la quale ha fatto lo stesso. Toccava a lei; no, toccava a lei; non toccava a me; noi lo avevamo detto, ed hanno ignorato le nostre preoccupazioni; l’avevamo segnalato, ma la burocrazia ha impedito interventi tempestivi… E così via.
Quasi esattamente quanto è accaduto e continua ad accadere per i danni provocati dal terremoto: la competenza a mettere in sicurezza le costruzioni è loro, non nostra; noi siamo a suo tempo intervenuti per quanto possibile e per quanto di nostra competenza; quelli là non hanno fatto niente e quello che hanno fatto lo hanno fatto male…I soldi non sono arrivati… avete speso male i finanziamenti; ricostruiremo come era e dove era, ma la burocrazia ha i suoi tempi, e con la burocrazia bisogna fare i conti…
Che tristezza!
La sola cosa vera è che i danni, tutti e senza distinzione, sono dovuti all’opera degli uomini (e delle strutture, che di e da uomini sono fatte), e che la causa delle cause è il più delle volte costituita dalla incapacità, dalla incuria e… dalla struttura più intima del sistema economico.
E questo in base al principio universale che “causa causarum est causa causati”.
Una certezza l’abbiamo: il rimpallo delle responsabilità è il frutto della insipienza secolare dei nostri Politici i quali nell’esercizio delle proprie funzioni di organizzatori hanno disegnato competenze che si accavallano, spesso contraddittorie, certamente descritte in modo tutt’altro che chiaro. E che continuano a parlarsi addosso con l’unico obbiettivo di ottenere il consenso alle prossime consultazioni elettorali. “La quale” avrebbe detto Davelino Ciofeca “fanno le promesse che sentiamo”.
Che è la vera missione della Politica.

A proposito di Politica: per il nostro mondo questo mese di novembre è di importanza vitale: si raccoglieranno i frutti della campagna elettorale che Trump e la Clinton hanno condotto senza esclusione di colpi, in forza di uno scontro basato sulla cultura e sulla conoscenza dei bisogni della gente e sulla missione, propria della Politica, di soddisfare al meglio questi ultimi.
Notevole, soprattutto, il ricordo da parte di Trump della debolezza delle donne nei confronti della ricchezza e del potere e quello, da parte della Clinton, di un quasi diritto alla successione diretta nell’esercizio del potere in una con il vantaggio di apparire (ed esserlo della realtà) la prima donna a concorrere alla Presidenza del più potente Stato del mondo.
E poi si disquisisce ancora, tra i dotti, sulle origini della monarchia: è nei cromosomi, e non solo degli umani.
Ognuno fa quello che può e che crede vantaggioso, ma non viene il dubbio che Trump abbia detto una verità (almeno una!) e che l’insistere sull’essere la prima donna a candidarsi alla Presidenza Usa, da parte della Clinton, sia molto più vicino di quanto possa non apparire a quell’antifemminismo di cui Trump è accusato?
Di più: siamo proprio sicuri che questi siano argomenti seri in una campagna elettorale?
Sopra tutto, nella corsa alla carica più importante nel Paese più avanzato del mondo, almeno economicamente, della nostra democrazia.

Ottobre è stato anche un mese record per quanto concerne gli arrivi dei migranti in fuga dai Paesi d’origine.
E anche per il numero di morti e per quello di minori non accompagnati.
E di polemiche relative così alla costruzione di muri come allo smantellamento di campi di accoglienza ed allo smistamento di persone umane come se si trattasse di cose senza importanza.
Che l’Europa non ne esca bene è un fatto: nella realtà, sta dimostrando di non esistere se non sulla carta. E soprattutto di non essere in grado di guardare al fenomeno in modo costruttivo.
E dimostra anche che ciascuno degli Stati membri, senza quasi eccezioni, persegue il solo obbiettivo di sfruttare la situazione a proprio esclusivo vantaggio, a tutela dei propri interessi particolari, completamente ignorando i bisogni e gli interessi di quella strana struttura della quale fanno comunque parte e che chiamano Europa.
È ovviamente anche una questione culturale: l’abitudine a pensare in quei termini di “sovranità” che in una qualsiasi unione perdono di significato, esattamente come Nazionalità e Patria e razza. E libertà, anche, e proprietà.
E non è certo un caso che sia comparso il cartello “prima noi” a giustificazione del rifiuto di accogliere migranti, co me non è un caso che a dodici donne tra cui una incinta e a qualche bambino un piccolo comune del civilissimo nord ha negato la possibilità di abitare in un ostello vuoto. Pare che tra le altre ragioni di questi e simili rifiuti esista un difetto di comunicazione: i prefetti non avrebbero avvisato con congruo anticipo i sindaci, e questi non avrebbero avuto la possibilità di discutere con i cittadini. Che è bello ed istruttivo, come avrebbe scritto Guareschi, soprattutto quando dei guai italiani si incolpa innanzitutto la burocrazia…

Novembre si appresta a fare il pieno di richieste di SI e di inviti al NO per il referendum che a dicembre avrà per oggetto la nuova Costituzione. E dall’una e dell’altra parte si prospettano sfracelli se l’avversario dovesse vincere.
Io, come tutti quelli che cercano di pensare, ho idee poche ma confuse, e la confusione – che genera indecisione e anche rigetto, in più di una materia – è alimentata dalla confusione totale regnante tra coloro che di quell’argomento trattano.
Uno tra tutti quelli possibili: nessuno, almeno a mia conoscenza e almeno fino ad ora, ha ragionato in termini di rapporti tra la Costituzione di uno Stato qualsivoglia e quel fantasma che qualcuno chiama Unione Europea, se non per paventare una sottomissione dannosa a Bruxelles se vincessero i SI. Una eccezione: i fautori del NO i quali, comunque, non mi sembra escano bene più che tanto.
Cito testualmente dal blog Odissea del 19 ottobre: “All’interno del testo della riforma c’è un articolo che i renziani tendono a tenere nascosto, ad ignorare, a far finta che non esista: è il numero 117. Dalle parti del PD si tende a minimizzare l’importanza di questo passaggio della riforma, perché ciò che c’è scritto potrebbe significare la definitiva perdita della nostra sovranità nazionale: La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento dell’Unione Europea e dagli obblighi internazionali”. In pratica, se passano i SI al referendum, all’indomani del voto dentro la nostra Costituzione ci sarà scritto che l’Italia dovrà eseguire gli ordini di Bruxelles.”
Mi sembra si possa tranquillamente parlare di un autogoal clamoroso: i sostenitori del NO hanno dato un’ottima ragione per votare SI a un qualcosa sostanzialmente tutt’altro che chiaro, quale è il merito di questo referendum.
Il legiferare, oltre che nel rispetto della Costituzione, in quello dei vincoli derivanti dagli obblighi internazionali a me sembra cosa ovvia e attuata da sempre, dal momento che “gli obblighi internazionali” hanno origine nei trattati e dunque in accordi tra Stati, oltre che in regole di buon vicinato conosciute e rispettate da tutti.
Per quanto riguarda “i limiti derivanti dall’ordinamento dell’Unione Europea”, è cosa altrettanto ovvia, null’altro essendo l’Unione Europea che una unione di Stati costruita su accordi anche formalizzati in trattati, oltre che su regole di buon vicinato, e dunque su regole giuridiche e di opportunità.
È importante che la Costituzione si esprima come nell’articolo in esame soprattutto perché si tratta di un modo per affermare che l’Unione è un unicum e che la legislazione deve essere in grado di formare la cultura dei cittadini, della gente, nell’ottica di una sempre più profonda e salda consapevolezza che nell’unione, insieme, meglio si soddisfano i bisogni di tutti e che una Unione strutturata in modo corretto e dunque efficiente deve avere un punto di riferimento e di guida. E questo non può che essere costituito da una cessione di sovranità, come è accaduto in tutti quegli Stati che si sono costruiti superando le divisioni tra Regioni, per esempio.