DALLE INDIE OLANDESI ALL’INDONESIA

di Max Trimurti -

Per circa tre secoli e mezzo gli Olandesi hanno dominato le Indie orientali, asservendo i sultanati locali e imponendo un regime coloniale basato sulle colture forzate.

I Portoghesi, grandi navigatori, hanno aperto per primi le porte dell’Asia all’Europa, stabilendo agli inizi del XVI secolo uno “Stato dell’India orientale”, diventato successivamente “Stato portoghese dell’India”. Si trattava, in effetti, una serie di insediamenti commerciali che costituivano la base di una potente talassocrazia padrona dell’oceano indiano, dove i lusitani avevano soppiantato il traffico musulmano.

L’arrivo degli Olandesi

I lucrosi proventi del commercio delle spezie non potevano non scatenare le bramosie di altri concorrenti. All’inizio del XVII secolo saranno i marinai delle Province Unite a sostituire i Portoghesi. Dopo una prima incursione di una flotta olandese nell’arcipelago indonesiano, nel 1596, i Batavi effettuarono il loro primo viaggio alle Molucche nel 1599.
Meno di tre anni più tardi viene costituita la VOC (Vereenigde Oostindische Compagnie), la Compagnia Olandese delle Indie orientali. Nel 1605 i nuovi arrivati diventano padroni delle Molucche. I Portoghesi sono scacciati dalla regione nel 1660, mantenendosi tuttavia nell’isola di Timor.
La fondazione dell’impero olandese è il risultato di un uomo eccezionale, Jan Pieterzoon Coen, ufficiale della VOC e, ben presto, governatore generale delle Indie olandesi, dal 1619 al 1623 e dal 1627 al 1629.
Da quel momento, lo sviluppo del territorio – il quale assumerà la denominazione di Indonesia a partire dagli anni ’20 del XX secolo – seguirà di pari passo quello del capitalismo. A differenza dei Portoghesi, gli Olandesi non si interesseranno mai della cultura dei popoli entrati in contatto con loro. Il periodo che va dal 1600 al 1940 vede la successione di diverse fasi, che non possono essere dissociate da quello che accade in Europa.

Ascesa e caduta della Compagnia delle Indie

Costituita nel 1602 con un capitale di circa 6,5 milione di guilders (fiorini), la VOC è una società anonima moderna e attrattiva, tipica del capitalismo nascente. Essa possiede poteri quasi comparabili a quelli di un governo ed è in grado di condurre guerre, negoziare trattati, coniare moneta e stabilire delle colonie. Per due secoli le Indie orientali non verranno colonizzate dalla Repubblica delle Province Unite, ma da una Società anonima. Le popolazioni indigene, d’altronde, chiameranno i coloni Kompeni (“Quelli della Compagnia”). Fino al 1800 la VOC sarà la più importante compagnia europea, titolare di un monopolio nel commercio delle spezie (essenzialmente pepe, cannella e chiodi di garofano). Per circa un secolo, essa pagherà ai suoi azionari dei dividendi annuali molto rilevanti [1].
A partire dal 1692 il declino della Compagnia diventa sensibile, fino allo scioglimento nel 1800. La Repubblica Batava, succeduta alle Province Unite nel 1795, assumerà a suo conto i debiti della Compagnia (134 milioni di fiorini) in cambio dei territori che controllava nelle Indie. È in questo modo che la “repubblica sorella” della Repubblica francese, nata dal Trattato dell’Aia, acquisisce il sui dominio coloniale in Asia. La compagnia aveva dovuto far fronte, per tutto il XVIII secolo, alle lotte che opponevano i diversi pretendenti al trono del Regno del Mataram, a Giava. Questi conflitti hanno fatalmente implicato gli Olandesi, costretti a scegliere fra chi era più utile per i loro interessi. La quarta guerra anglo-olandese (1780-1784) segna, per di più, la fine della supremazia olandese nelle acque indonesiane, conseguenza lontana dell’abbandono all’Inghilterra, a partire dalla fine del XVII secolo, della preponderanza marittima e coloniale. Il Trattato di Parigi del 1784, ponendo il principio della libertà dei mari, modifica anche la situazione monopolistica di cui avevano beneficiato gli Olandesi. Essi dovranno ormai mettersi d’accordo non solo con i Britannici, ma anche con un nuovo arrivato: gli Stati Uniti d’America.

L’Impero francese

Herman Willem Daendels

Herman Willem Daendels

Per l’Olanda gli anni dal 1780 al 1830 sono caratterizzati da confusione e incertezza. Nel 1795 una rivoluzione ispirata dalla rivoluzione francese porta al potere una effimera Repubblica batava (1795-1806). Questo evento segna l’introduzione nei territori coloniali delle idee di libertà, di uguaglianza e di liberismo economico. La Repubblica batava termina la sua vita con l’insediamento di Luigi Bonaparte, fratello di Napoleone sul trono del “Regno di Olanda”. Il nuovo sovrano, entrato in conflitto con l’Imperatore sulla questione del “blocco continentale”, abdicherà quattro anni più tardi e da quel momento il suo regno verrà annesso all’impero francese. Nelle Indie orientali il periodo francese è segnato soprattutto dall’azione di governo del generale Herman Willem Daëndels (1763-1818), un militare olandese che aveva partecipato alle guerre della Rivoluzione. Daëndels, una volta sul posto, opera in maniera intraprendente: combatte la corruzione con grande vigore, non esitando a destituire tutti i funzionari corrotti. Il generale provvede inoltre a ridefinire l’aspetto amministrativo di Giava, suddividendola in nove “prefetture”, organizza la difesa del territorio, apre nuove strade, mette in riga i principi locali e istituisce una Direzione delle Acque e delle Foreste, per fornire i materiali necessari alle costruzioni navali militari. Daëndels sviluppa altresì gli “effettivi” dell’esercito imperiale e organizza una flottiglia per lottare contro i pirati.
Purtroppo il generale non è in condizione di superare le difficoltà poste dal blocco inglese, che impedisce gli scambi commerciali con l’Europa, e deve anche fare fronte alla sorda ostilità dei piantatori olandesi, dei “compradores” cinesi [2] e dei principi locali. A poco a poco la colonia non riesce più a vivere delle proprie risorse e ben presto viene intaccato il suo capitale. Daëndels ricorrerà persino alla stampa di carta moneta. Al momento della sua partenza la situazione finanziaria risulterà decisamente catastrofica.
L’Inghilterra prenderà possesso delle Indie olandesi nel 1811 che restituirà poi all’Olanda nel 1815. Il britannico Stamford Raffles sopprime le corvée, le consegne forzate (ad eccezione del caffè, a causa del suo alto rendimento), ma impone ai Giavanesi, sul modello del land revenue dell’India britannica, il pagamento di una landrente, una specie di tassa annuale che verrà mantenuta dagli Olandesi al momento del loro ritorno. Questo periodo di incertezze vede l’amministrazione coloniale incorporare, nell’ambito del suo apparato, in maggior misura rappresentanti delle aristocrazie locali. Ma la guerra di Giava (1825-1830) marcherà un atteggiamento di resistenza nei confronti degli Olandesi, i quali dovranno fronteggiare a Sumatra una ribellione di ispirazione wahabita, la Guerra dei Padri (1821-1838). Inoltre, in questa guerra segnerà l’intervento, per la prima volta in questa regione dell’Asia, di un nuovo attore: gli Stati Uniti d’America (3).

Il sistema delle colture forzate

Dopo la guerra di Giava, nel corso della quale gli Olandesi completano la conquista dell’isola, nelle Indie olandesi viene imposto il “sistema delle colture” (Kultuurstelsel). Johannes Van der Bosch (1780-1844), nominato governatore generale nel 1830, conosceva bene la politica dello schiavismo. A lui fu imposto di massimizzare la rendita proveniente dalle Indie orientali. Convinto che la produzione locale non avrebbe potuto mai fare concorrenza a quella delle colonie a base schiavista, egli lascia i Giavanesi liberi di coltivare a modo loro e instaura il Kultuurstelsel. Questo sistema di monocolture si basa di fatto sulla coltura forzata: i contadini devono produrre cinque volte di più della produzione anteriore al 1830. Il potere coloniale stabilisce un sistema pianificato delle produzioni destinate all’esportazione, che segnerà durevolmente l’agricoltura indonesiana. Il governo si fa cedere un quinto delle basse terre e reclama da ogni uomo adulto un quinto del suo lavoro, ovvero da 60 a 65 giorni di corvée all’anno. Per di più, i prodotti ottenuti vengono obbligatoriamente ceduti allo Stato a un prezzo fissato in precedenza. Per mantenere questo regime draconiano, gli Olandesi si faranno aiutare dai reggenti giavanesi e dai loro agenti cinesi. La messa in opera di questo sistema verrà tuttavia limitato a qualche regione dell’immenso arcipelago (Giava, costa ovest di Sumatra, nord di Celebes).
Van der Bosch modifica l’amministrazione in profondità. Le carriere si svilupperanno in funzione dei successi delle colture di Stato. Ci saranno premi di produzione e, rapidamente, anche abusi: i quadri sanno perfettamente che tutte le loro attività saranno tollerate a patto che il rendimento delle colture risulti positivo. Da questo stato di cose derivano corvée, tasse illegali, furti, maltrattamenti, senza contare i casi di carestia. La struttura dei villaggi viene sconvolta; il capo del villaggio, in precedenza una figura carismatica, diventa un semplice agente al servizio dello Stato. E la cosa più incredibile è il fatto che in Olanda, a eccezione del Ministro delle Colonie e del re, nessuno si interessa delle questioni coloniali.
Il “sistema delle colture” è stato, nondimeno, un incontestabile successo dal punto di vista del capitalismo olandese. Esso consentirà una produzione massiccia di derrate coloniali da esportazione (caffè e zucchero), con un risultato totale di 300 milioni di fiorini per il periodo che va dal 1840 al 1859. Questo sistema essenzialmente mercantilista troverà degli ammiratori fra i Britannici, ma anche presso gli Americani: il console statunitense a Batavia suggerirà al suo governo l’applicazione del regime olandese agli schiavi americani liberati.

Il periodo liberale (1870-1900)

Rastrellamento durante la guerra di Aceh (1873-1904)

Rastrellamento durante la guerra di Aceh (1873-1904)

Il “sistema delle colture” consente di gettare le basi del futuro periodo detto “economico liberale”, che vede il potere olandese iniettare massicce dosi di capitale per mettere in opera delle colture di rendita. Questo sistema sarà caratterizzato dal nepotismo: gli impresari del governo, i piantatori privati, gli agenti commerciali e i funzionari civili olandesi provenivano spesso dalle stesse famiglie. Il fatto provocò la collera dei alcuni capitalisti olandesi esclusi dalla spartizione. Fu questo il vero motivo per cui il sistema delle colture venne abbandonato nel 1870 e non, come spesso è stato detto, per cause morali. Del resto, durante il periodo liberale lo sfruttamento fu sempre intenso. La fine del sistema delle colture risulterà progressivo e legato all’applicazione delle leggi agrarie. Nel 1870 lo zucchero verrà tolto dalle colture obbligatorie (forzate), quindi, successivamente, toccherà al chiodo di garofano, alla noce moscata e al tè, ma il provvedimento non riguarderà il caffè [4].
Durante questo periodo si evidenzia una evoluzione del capitalismo, passato dalla libera concorrenza a un capitalismo di cartello. Alla fine del XIX secolo la maggior parte delle imprese saccarifere si aggregano. Si spartiscono il mercato, decidono il volume della produzione, fissano il prezzo e si dividono i profitti. Fino agli anni ’70 del XIX secolo, dall’80 al 90% del valore totale delle esportazioni andrà in Olanda. Con la fine del sistema delle colture, questa parte percentuale calerà rapidamente a favore delle esportazioni verso l’Asia (Singapore, l’India e il Giappone).
Il rapido sviluppo dell’economia delle piantagioni va di pari passo con l’espansione degli Occidentali nell’Asia del sud-est (Inglesi in Birmania e in Malesia, Francesi in Indocina, Americani nelle Filippine). Il miglioramento dei trasporti e delle comunicazioni – basti pensare all’apertura del Canale di Suez nel 1869 – contribuirà a questo sviluppo.
L’economia coloniale dell’Asia del sud-est raggiunge una crescita senza precedenti fra il 1870 e il 1920. Nel 1890 viene creata la compagnia reale per lo sfruttamento delle risorse petrolifere nelle Indie olandesi. Nel 1907 si fonde con la Shell (Britannica) per diventare la Royal Dutch Shell, che controlla circa l’85% della produzione di idrocarburi nella regione prima del secondo conflitto mondiale. Questo periodo vede anche, fra il 1873 ed il 1903, la guerra d’Aceh (nel nord dell’isola di Sumatra), il più lungo e il più sanguinoso dei conflitti affrontato dall’Olanda nell’arcipelago.

Il periodo della “via morale” (1900-1930)

All’alba del XX secolo nell’opinione pubblica fanno breccia i primi problemi di coscienza a causa della pauperizzazione della popolazione indigena delle Indie orientali. Gli ultimi decenni della dominazione olandese sono dominati dal tema delle riforme. Tuttavia, la “politica etica” o “la politica della via morale”, derivava soprattutto da un calcolo economico.
Potendo contare unicamente solo sugli espatriati per far funzionare una colonia in forte sviluppo, l’amministrazione olandese crea inizialmente scuole per indigeni, in modo che questi ultimi diventino buoni lavoratori, ma anche dottori, impiegati d’ufficio, insegnanti e amministratori locali. Viene messa in opera una politica mirante a favorire l’islam pacifico dei notabili per respingere quello dei fanatici wahabiti. Nel 1908 nasce una specie di stamperia nazionale (o piuttosto governativa), il Balai Pustaka. Essa consentirà, tra le altre cose, di standardizzare le lingue locali, e in particolare il malese; tutto questo avrà come effetto una maggiore efficacia amministrativa. Nel 1914 nell’arcipelago erano presenti 680 biblioteche, salite a 1618 nel 1920 e a 2528 nel 1930. Questo periodo vede nascere un ceto intellettuale indonesiano e i primi proletari. Non mancano anche i primi antagonismi etnici interni fra Cinesi e Indonesiani.

La crescita del nazionalismo (1930-1945)

Ahmed Sukarno

Ahmed Sukarno

Dopo la grande depressione lo zucchero cessa di essere il principale prodotto d’esportazione e viene soppiantato dal caucciù e dal petrolio. Nel corso degli anni ‘30 gli Olandesi cominciano a prendere le distanze nei confronti della politica “della via morale” a causa di una conseguenza inattesa, suscettibile di minacciare le basi stesse della società coloniale: la comparsa del nazionalismo indonesiano, che a partire dal 1928 trova sbocco nel PNI (Partai Nasional Indonesia), guidato da Sukarno (Soekarno, 1901-1970).
Durante la seconda guerra mondiale il Giappone invade l’Asia del sud-est: Hong Kong cade il 25 dicembre 1941, quindi la penisola malese (8 dicembre 1941–31 gennaio 1942) e Singapore il 15 febbraio 1942. Il 10 gennaio 1942 le truppe giapponesi invadono l’Indonesia. Due mesi più tardi l’8 marzo, dopo qualche scontro, l’amministrazione olandese e l’esercito reale delle Indie olandesi cessano di combattere. Per gli Indonesiani la sconfitta degli Olandesi dimostra che l’uomo bianco non è invincibile di fronte a un popolo asiatico.
La strategia giapponese a Giava era basata sulla mobilitazione del movimento nazionalista. Nelle altre parti dell’arcipelago, gli occupanti si appoggiarono piuttosto sui capi tradizionali locali. I nazionalisti diventeranno ben presto i portavoce dei programmi giapponesi. A tal fine essi utilizzeranno dei metodi già impiegati in occasione della mobilitazione della società nipponica nel corso degli anni ‘30 (militarismo, culto dell’autorità, organizzazione delle masse, ecc.). In tal modo vengono create la PETA [5] a Giava e il Giyugun a Sumatra, due organizzazioni paramilitari con il compito di reclutare i giovani indonesiani. Un altro movimento, questa volta politico, avrà un’importanza capitale per il futuro dell’Indonesia indipendente: il Putera (Pusat Tenaga Rakyat, il Centro del potere popolare). Fondato nel 1943 e finanziato dai Giapponesi, esso avrà come capo Sukarno, futuro primo Presidente della Repubblica d’Indonesia dal 1945 al 1967. Queste organizzazioni diventeranno il vivaio dei futuri quadri militari e politici dell’Indonesia indipendente e ciò per diversi decenni. I giovani ufficiali di questi movimenti saranno fortemente influenzati dall’ideologia giapponese dell’epoca. Il paese, nondimeno, verrà sistematicamente spogliato delle sue ricchezze (petrolio, legname, caucciù) da parte dei Giapponesi e dalla fine del 1942 molti scontri opporranno gli occupanti con gli abitanti a causa del sistema di lavoro forzato [6].
Il 7 settembre 1944, a seguito della dichiarazione del ministro giapponese Koiso, l’Indonesia si vede promettere l’indipendenza. I nazionalisti, guidati da Sukarno si lanceranno nella breccia. Se la maggior parte dei nazionalisti sosteneva il Giappone dal 1942, ciò era dovuto al fatto che il Giappone aveva dedicato loro molte attenzioni e perché ai loro occhi Tokyo rappresentava la via migliore per giungere all’indipendenza. Tuttavia, la progressiva ritirata giapponese cambia gli equilibri in campo. Nel febbraio 1945 la PETA insorge contro l’esercito del Sol Levante.

La nascita dell’Indonesia

Firma del trattato che nel 1949 sancì la sovranità indonesiana

La firma del trattato che nel 1949 sancì la sovranità indonesiana

Il 1° giugno 1945 Sukarno introduce i principi fondamentali della costituzione indonesiana: lo Stato sarà repubblicano e unitario. L’indipendenza del paese era stata fissata per il 24 agosto, ma il 15, il Giappone capitola dopo i bombardamenti di Nagasaki e di Hiroshima. I giovani nazionalisti non volendo più mercanteggiare l’indipendenza del loro paese con chicchessia, spingono Sukarno ad affrettare i tempi. Il 17 agosto Sukarno proclamerà l’indipendenza. Il nuovo regime dispone a quel punto di qualche settimana prima dell’arrivo degli Alleati (settembre 1945).
Fra il 17 agosto 1945 – data della dichiarazione unilaterale di indipendenza – e il 1949 – data di riconoscimento ufficiale dell’indipendenza all’ONU – l’Indonesia andrà incontro a un periodo di agitazioni [7].
Gli Inglesi sbarcano il 16 settembre 1945, seguiti da truppe olandesi. L’amministrazione olandese viene ristabilita in tutte le aree in cui si insediano le truppe inglesi. Fino alla fine del 1945 si moltiplicano gli scontri fra Olandesi e Indonesiani. La vecchia potenza coloniale non vuole mollare la presa e fa valere i suoi diritti, proprio mentre gli Stati Uniti giocano la carta della decolonizzazione. I nazionalisti indonesiani, da parte loro, si aggrappano alla loro giovane nazione autoproclamatasi indipendente e lottano armi alla mano. Durante la guerriglia si metteranno in evidenza figure atipiche come quella di Raymond Westerling [8]. Gli Olandesi cercheranno di dividere i nazionalisti. Utilizzando a loro vantaggio alcuni membri indonesiani della KNIL (Esercito reale delle Indie olandesi), proveranno a regnare dividendo gli avversari, creando ovunque dei nuclei ostili a Sukarno e al suo giovane governo insediato a Giakarta.
Non bisogna dimenticare, in questo periodo agitato, il PKI (Partito comunista indonesiano) che si oppone a qualsiasi accordo con l’Olanda e che tenta di prendere il potere con le armi, non esitando ad affrontare anche l’esercito indonesiano. Questi attacchi sono visti dai militari anticomunisti indonesiani come un “colpo di pugnale alle spalle” proprio nel momento in cui erano in corso le trattative con l’Olanda e mentre il governo di Sukarno cercava di consolidare la sua legittimità su tutto il territorio.
Durante questo periodo gli Stati Uniti effettueranno pressioni sull’Olanda affinché rinunci alle sue ambizioni coloniali [9]. Dopo gli Accordi di Linggadjati (marzo 1947) e quelli firmati a bordo della USS Renville (gennaio 1948), ottenuti sotto la pressione internazionale dell’ONU, gli Accordi della Tavola Rotonda (L’Aia, novembre 1949) sanciscono il trasferimento della sovranità e la creazione di un Commonwealth chiamato Unione olando-indonesiana (27 dicembre 1949). Il 17 agosto 1950, tutti gli stati artificiali creati dall’Olanda nella regione si uniscono a Giava e a Sumatra per formare uno stato unitario [10]. Il 10 agosto 1954 l’Indonesia dichiara la soppressione dell’Unione con l’Olanda e la fine di qualsiasi dipendenza.
Nel contesto della guerra fredda, Sukarno sceglierà la via del “non allineamento. Nei fatti il non allineamento di Giakarta avrà una connotazione nettamente socialista, se non comunista, con Sukarno costretto a dare sempre maggiori pegni ai movimenti marxisti per consolidare il suo potere. L’esercito indonesiano (Tentara Nasional Indonesia), all’origine della creazione dello Stato indonesiano, culla del nazionalismo e garante della Costituzione, comincia a preoccuparsi della situazione. I comunisti e l’esercito andranno inevitabilmente verso lo scontro e nel 1965 il generale Suharto (Soeharto, 1921-2008) si impadronirà del potere per mantenerlo sino al 1998.

Note
[1] I dividendi si elevavano al 125% nel 1610, al 50% nel 1642, al 36% nel 1671, al 24% nel 1673 e si abbasseranno al 15% nelle annate peggiori.
[2] Comprador: Cinesi che svolgono il suolo di intermediari nelle operazioni finanziarie e mercantili fra Europei ed Cinesi.
[3] Nella battaglia di Kuala Batee, a sud est di Aceh nel febbraio 1832, 70 anni prima dell’intervento americano nelle Filippine.
[4] Il caffè sparirà dal sistema delle colture nel 1918.
[5] PETA: Pembla Tanah Air, esercito dei volontari difensori della Patria.
[6] Un rapporto della Nazioni Unite ha riportato la cifra di 4 milioni di persone morte a causa della carestia e del lavoro forzato, di cui 30 mila civili europei internati.
[7] Il periodo fra queste due date (1945 e 1949) viene comunemente denominato dagli Indonesiani come la Revolusi, la Rivoluzione.
[8] Westerling Raymond, “Mes Aventures en Indonesia”, Hachette, 1952 e Venner Dominique, “Westerling, Guerrilla Story”, Hachette, 1977.
[9] Nello stesso momento, in Indocina, mentre la Francia tenta di ristabilire la sua sovranità, gli USA aiutano finanziariamente e forniscono armi ai Vietminh comunisti di Ho Chi Minh (missione del maggiore Patty).
[10] L’Indonesia è indipendente, ma la parte occidentale della Papuasia-Nuova Guinea rimane sotto la tutela olandese. Entrerà a far parte della Repubblica indonesiana nel 1962.

Per saperne di più
Nagtegaal, Luc, Riding the Dutch Tiger: The Dutch East Indies Company and the Northeast Coast of Java, 1680-1743, Koninklyk Instituut Voor Taal Land, 1996.
J. L. van Zanden, An Economic History of Indonesia: 1800-2010, Routledge, 2012.
Cayrac-Blanchard, Françoise, L’Indonésie – L’armée et le pouvoir, L’Harmattan, 1992.
Merle Calvin Ricklefs, A history of modern Indonesia since c. 1200, Stanford University Press, 2001.
Adrian Vickers, A History of Modern Indonesia, Cambridge University Press, 2005.