CUBA 1896: I PRIMI CAMPI DI CONCENTRAMENTO

di Michele Strazza -

 

 

La feroce repressione spagnola dei moti indipendentistici cubani giustificò l’intervento statunitense nella instabile situazione politica dell’isola caraibica. Qui infatti le autorità spagnole, con l’obiettivo di isolare i ribelli, avevano condotto una pesante azione di confinamento nei confronti della popolazione civile.

A partire dal 1895 a Cuba si susseguirono insurrezioni popolari contro la dominazione spagnola. La violenta repressione fornì agli Stati Uniti l’occasione per un intervento militare. In realtà, gli Usa da tempo avevano mire espansionistiche sull’isola, motivate dagli interessi economici per il controllo dello sbocco atlantico del Canale di Panama.
La crisi precipitò quando, la sera del 15 febbraio 1898, nel porto dell’Avana si ebbe la misteriosa esplosione della corazzata statunitense “Maine”, con la morte di 266 marinai. Nonostante la poca chiarezza sulle responsabilità del disastro l’opinione pubblica americana, incitata dalla stampa, richiese a gran voce una azione militare.
Ad aizzare gli americani contro la Spagna fu, innanzitutto, il New York Journal, di proprietà di William R. Hearst Anche il quotidiano World of New York, del magnate Joseph Pulitzer, sostenne tale tesi, raccontando, addirittura, di un brindisi degli ufficiali iberici dopo l’esplosione.
Un mese dopo l’esplosione una commissione d’inchiesta statunitense stabilì che la corazzata era stata fatta saltare da una mina, pur non attribuendo alcuna espressa responsabilità alla Spagna. Soltanto nel 1976 un gruppo di ricercatori americani giungerà alla conclusione che l’affondamento della “Maine” era stato, in realtà, dovuto ad un incendio scoppiato a bordo con il conseguente scoppio delle munizioni.
All’epoca, però, le cose vennero viste diversamente. L’11 aprile 1898 il presidente americano Mac Kinley rivolse un messaggio al Congresso, sostenendo l’obbligo morale degli Stati Uniti di intervenire in nome della causa della libertà e per fare cessare l’orrendo spargimento di sangue nell’isola. Il peggioramento della situazione, infatti, rappresentava una minaccia costante alla pace e agli interessi statunitensi.

Così Washington intimò agli spagnoli di lasciare l’isola e, il 24 aprile, dichiarò guerra alla Spagna, procedendo, nel contempo, al riconoscimento dell’indipendenza cubana.
Il conflitto si concluse con la firma, da parte dei contendenti, il 10 dicembre 1898, degli accordi di pace di Parigi. La Spagna sconfitta dovette rinunciare a Cuba, dichiarata indipendente. Perse, altresì, Porto Rico, l’isola di Guam e le Filippine, ricevendo in pagamento 20 milioni di dollari.
Terminava, in tale modo, la presenza coloniale spagnola nelle Americhe e iniziava quella imperialistica statunitense.
Fu dunque la feroce repressione, da parte della Spagna, dei moti indipendentistici cubani a fornire agli Stati Uniti il pretesto per il conflitto. Le autorità spagnole, infatti, con l’obiettivo di isolare i ribelli, condussero una pesante azione di confinamento nei confronti della popolazione civile.
Fu il generale di origini prussiane Valeriano Weyler (1838-1930), marchese di Tenerife, che ideò i campi di “riconcentramento” per internare ampie sacche della popolazione rurale, dopo averne incendiato i villaggi, impedendo ad essa di appoggiare e rifornire i guerriglieri.
Secondo alcune stime furono oltre 300.000 gli internati e quasi 100.000 i decessi, specialmente di donne, vecchi e bambini a causa delle difficili condizioni alimentari e igienico-sanitarie.

Il generale emanò, il 17 febbraio 1896, un proclama, ordinando il “concentramento”, entro otto giorni, all’interno delle città presidiate dalle truppe, di tutti gli abitanti delle zone rurali o di aree esterne alle città fortificate. Chiunque avesse violato l’ordine e fosse stato trovato fuori da tali aree sarebbe stato considerato un ribelle e processato in quanto tale.
Così Redfield Proctor descrisse, il 7 marzo 1898, tali campi al Senato americano: «C’è desolazione e sofferenza, povertà estrema e morte. Ogni paese, ogni villaggio è circondato da una trocha, una sorta di trincea, che non avevo mai visto prima; mentre all’interno vengono gettati tutti i rifiuti, all’esterno c’è una recinzione di filo spinato. Ad ogni lato della recinzione, grandi posti di guardia con 2-10 soldati ciascuno. Lo scopo di queste trochas è quello di impedire ai reconcentrados di uscire e di tenere distanti i ribelli. Da tutta la campagna circostante la popolazione è stata deportata in queste cittadelle fortificate; lì deve restare e cercare di sopravvivere come può. […] Almeno il 50% della popolazione è destinato a morire di fame e di malattie. […] I bambini se ne vanno ancora in giro, hanno il petto e le braccia terribilmente scarne, gli occhi sono gonfi e così il ventre, tre volte la sua dimensione normale. I medici dicono che questi casi sono senza speranza».
Intere famiglie vennero, dunque, deportate. Dopo aver perso la propria casa, distrutta dagli spagnoli, donne, vecchi e bambini raggiungevano i campi di “riconcentramento” senza alcun avere, con i soli abiti che indossavano. Veniva consentito loro solamente di costruirsi una capanna con foglie di palma e lasciati inermi nell’impossibilità di procurarsi il cibo. Senza alcuna speranza, i “reconcentrados” vivevano di stenti vicino i fossati di acqua putrida, elemosinando gli avanzi del rancio dei soldati.
Con la nascita dei primi campi di concentramento l’umanità, inconsapevole, si sarebbe incamminata su una strada disseminata di orrendo dolore.

Per saperne di più
Barton C., “The Red Cross”. A History of this Remarkable International movement in the Interest of Humanity, Washington, American National Red Cross, 1898.
Becker A., La genesi dei campi di concentramento: da Cuba alla Grande Guerra, in AA.VV. (a cura di), “Storia della Shoah. La crisi dell’Europa, lo sterminio degli ebrei e la memoria del XX secolo”, vol. 1, “La crisi dell’Europa: le origini e il contesto”, Torino, UTET, 2005.
Bianchi B., I primi campi di concentramento. Testimonianze femminili da Cuba, dalle Filippine e dal Sud Africa (1896-1906), in “DEP. Deportate, esuli, profughe”, n. 1, 2004.
Bonamico D., Scritti sul potere marittimo (1894-1905), IV, La guerra ispano-americana, Roma, USSMM, 1998.
Kaminsky A. J., I campi di concentramento dal 1896 a oggi, Milano, Bollati Boringhieri, 1998.