CRISTINA DI SVEZIA, REGINA STRAVAGANTE

di Massimo Iacopi -

Educata come un ragazzo, appassionata di politica, scienze e filosofia, Cristina preferì la Francia e l’Italia alla sua Svezia natale.

Cristina di Svezia a cavallo, dipinto di Sébastien Bourdon, 1653.

Cristina di Svezia a cavallo, dipinto di Sébastien Bourdon, 1653.

Giovane donna educata fuori dai canoni convenzionali, regina androgina che rifiutò di perpetuare la sua dinastia, padrona di un potente regno, disgustata dal potere ma appassionata dalla politica, luterana convertita al cattolicesimo, colta ma capace delle peggiori grossolanità… ecco alcuni degli aspetti del complesso carattere di Cristina di Svezia (1626-1689), la famosa “Pallade del Nord”.
Un personaggio stravagante e sconcertante, ma di grande rilievo, una amazzone barocca che ha intrigato e scandalizzato i contemporanei: “In che tempi viviamo se le regine depongono il loro scettro e vogliono vivere da private cittadine, per sé stesse e le muse?”.
Allorché Cristina nasce a Stoccolma nel 1626, la Svezia si appresta a fare la sua irruzione sulla scena europea. Gustavo II Adolfo Vasa (1594-1632), suo padre, da quando è salito al trono, nel 1611, ha battuto la Danimarca, la Polonia e interdetto allo zar di tutte le Russie l’accesso al Mar Baltico, che tende a diventare un lago svedese. Ma è nel proporsi come campione del protestantesimo nella Guerra dei 30 anni, che questo regno periferico e poco conosciuto diventa una grande potenza. Il “leone del nord”, prima di percorrere i numerosi campi di battaglia e di diventare uno dei grandi capitani della storia, si è preoccupato di far confermare i diritti di sua figlia alla corona e alla sua successione. Una fortunata precauzione, in quanto Gustavo Adolfo, nel 1632, dopo aver battuto l’esercito cattolico del Wallestein, muore prematuramente nella battaglia di Lützen.

Cristina ha appena 6 anni quando diventa “Regina di Svezia, dei Goti e dei Wendi, granduchessa di Finlandia, duchessa d’Estonia, signora di Ingria e Carelia”. La direzione del consiglio di reggenza viene affidato al fedele Alex Gustafsson Oxenstierna, conte di Södermöre (1583-1654), cancelliere del regno dal 1612. Una delle sue prime misure sarà quella di allontanare dalla corte la madre della ragazza, Maria Eleonora del Brandeburgo (1599-1655), una Hohenzollern, psicologicamente instabile. Sarà pertanto la sorella del defunto re, la principessa Caterina, che darà un tocco femminile all’ambiente della giovanetta. Educata alla vita dura, come aveva auspicato il padre, che provava piacere a farle tirare salve di cannone per instillarle uno spirito guerriero, Cristina riceve una solida istruzione per mezzo di buoni pedagoghi dallo spirito aperto. Nonostante il carattere difficile, “irascibile, arrogante e impaziente” come da lei stessa ammesso, la giovane regina non tarda a diventare un prodigio di erudizione.
Ma la passione che dedica agli studi si realizza a svantaggio del suo equilibrio emotivo e del suo aspetto fisico, che la donna trascura. Bisognerà attendere l’arrivo a Stoccolma, nel 1651, del medico francese Bourdelet, il suo “maestro di piaceri”, perché Cristina inizi a prendersi cura di sé, grazie alla moltiplicazione di feste, divertimenti e… pretese dissolutezze.

Cristina inizia a regnare pienamente a partire dal 1644, all’età di 18 anni. La Svezia è a quel tempo in guerra contro la Danimarca per il possesso dello stretto del Sund. La regina, nonostante il parere contrario di Oxenstierna, si sforza a conseguire la pace a Brömsebro nel 1645. La stessa cosa avviene anche nella Guerra dei 30 Anni: Cristina si oppone alle richieste del suo cancelliere, del quale cerca di diminuire le pretese, e si impegna attivamente nella conclusione del Trattato di Osnabrück (1648). L’espansione svedese verso sud viene fermata, ma la Svezia esce rafforzata dal conflitto, vedendosi confermata nel suo dominio sui territori del Sacro Romano Impero Germanico, soprattutto nella Pomerania occidentale.
La politica interna di Cristina, incoronata “re” di Svezia solamente nel 1650, è meno fortunata. Il suo rifiuto a sposarsi urta la suscettibilità dei sudditi. Se qualcuno ha visto in questo atteggiamento la conseguenza di un primo sfortunato amore, sembra però che l’origine sia da ricercare in una sorta di asessualità. La donna ha confidato di avere “un’avversione e un’antipatia invincibile per tutto quello che fanno e dicono le donne” e impone suo cugino Carlo Gustavo (1622-1660) come legittimo erede alla corona.
I sudditi le rimproverano anche le spese di corte, che sotto il suo regno sono quadruplicate, e soprattutto l’attrattiva per la cultura europea e i suoi più eminenti rappresentanti. I “vecchi svedesi” sono esasperati dalla protezione accordata ai “parassiti” stranieri.

Con l’idea di fare di Stoccolma una nuova Atene, la regina invita a corte grandi scienziati e filosofi, lusingati sia dagli inestimabili manoscritti che Cristina ha raccolto in tutta Europa sia dalla personalità della giovane sovrana. “La donna ha visto tutto, letto tutto e sa tutto”, dirà di lei lo scrittore Gabriel Naudé.
Fra questi intellettuali figura Renato Cartesio (1596-1650), che discute con Cristina di metafisica e delle passioni dell’animo. Il pensatore francese viene rapidamente deluso da questa allieva, che sembra mancare di quella necessaria umiltà. I loro scambi intellettuali dureranno poco tempo. Il pensatore francese deplorava che “i pensieri degli uomini si gelano qui durante l’inverno allo stesso modo delle acque”. Cartesio prende freddo nel corso degli incontri quasi notturni che Cristina gli impone nelle sale del castello delle tre corone e muore l’11 febbraio 1630.
Ben presto si moltiplicano le critiche e i libelli contro una “folle che non capisce nulla di cose di governo”, capace di imporre un ritmo indiavolato alla corte prima di scomparire per 15 giorni di seguito sull’isola di Gotland “con la sola compagnia di Platone”, oppure capace di leggere Virgilio durante il sermone del pastore. Questa incompatibilità fra esigenze del potere e necessità intellettuali, la convinzione che le donne non sono fatte per regnare e gli effetti del suo percorso spirituale – la donna viene istruita in segreto da due gesuiti – la portano a interrogarsi sul suo avvenire. Dopo aver manifestato una prima volta, nel 1651, la volontà di lasciare il potere, la donna abdica tre anni più tardi, il 16 giugno 1654, non prima di aver negoziato le modalità finanziarie della rinuncia. Cristina si vede attribuite isole, città, possedimenti in Pomerania e ottiene il possesso di una buona parte del Tesoro reale, portando con sé quadri, 3.700 lire e quasi 2000 manoscritti. Oxenstierna, sentendosi tradito, morirà qualche tempo dopo, convinto che “nessun nemico era mai costato di più alla Svezia”.

Eccitata dalla nuova libertà e travestita da uomo, Cristina inizia un lungo viaggio. La donna attraversa la Danimarca, si ferma ad Amburgo e quindi ad Anversa, prima di approfittare dell’ospitalità della Corona spagnola a Bruxelles. E’ in questa città che abbandona il luteranesimo austero e rigoroso del Nord e si converte ufficialmente al cattolicesimo. Affascinata dalla cultura meridionale, Cristina trova in questa confessione un contesto meno stretto nell’esercizio del suo “libertinaggio intellettuale”. La donna rende pubblica la sua conversione a Innsbruck, nelle terre dell’Impero, per aderire alla richieste pontificie in riferimento alla sua volontà di stabilirsi a Roma. In piena Controriforma il suo arrivo nella penisola italiana assume i contorni di un trionfo, tanto che una piccola cittadina come Assisi si onorerà di ospitarla nel palazzo Giacobetti e di ricordarla con una lapide. Il viaggio in Italia viene coronato con la fastosa entrata che le riserva papa Alessandro VII nella Città Eterna; il duca di Parma le mette a disposizione Palazzo Farnese, che diventa rapidamente il centro della vita mondana romana.
La conversione di Cristina avrebbe dovuto rappresentare un successo per il pontefice. Ma l’eccentricità dell’ex sovrana, le esigenze finanziarie e le sue maniere stravaganti non tardano a disturbare la corte pontificia. Cristina pretende di immischiarsi negli affari della curia, sostenendo lo “squadrone volante”, vale a dire i prelati che lottavano contro le ingerenze straniere nell’elezione del papa, e si appassiona persino per uno di essi, il cardinale fermano Decio Azzolino o Azzolini junior (1623-89). In tale contesto, quando la peste comincia a manifestarsi nei dintorni di Roma la curia coglie il pretesto per allontanarla. Il papa arriva persino a mettere le sue navi a disposizione di questa donna “nata barbara, barbaramente educata e vivente con dei pensieri barbari”.

Ecco dunque che Cristina sbarca a Marsiglia durante l’estate del 1656 e raggiunge la regione di Parigi suscitando grande interesse. Tutti vogliono vedere questo personaggio che giura come un soldato mercenario e fischia gli attori in teatro. Il duca di Guisa trova in lei una “voce d’uomo e il portamento altero e fiero”. Cristina incontra il giovane re Luigi XIV (1638-1715) e il cardinale Mazzarino (1602-1661), che pensa di piazzarla sul trono di Napoli.
Allorché, nell’autunno, la donna riparte per l’Italia viene persino siglato un trattato, detto Congiunzione di Compiegne, per formalizzare il progetto napoletano. La “regina ambulante” ha l’opportunità di visitare Torino e si installa 8 mesi a Pesaro, sui bordi dell’Adriatico, prima di ritornare in Francia.
Al di là delle Alpi, la donna apprende che uno dei suoi favoriti, il poco raccomandabile marchese Gian Rinaldo Monaldeschi della Cervara (1626-1657), l’ha tradita, rivelando a Madrid i suoi progetti napoletani. Nella galleria dei cervi del castello di Fontainebleau, dove soggiorna, Cristina lo fa assassinare dai suoi uomini, riempiendo la cronaca del tempo con questo suo atto di fredda crudeltà, che incarna bene la personificazione reale della giustizia.
La donna non è più gradita in Francia e il suo ritorno a Roma, dopo due anni d’assenza, non ha più nulla dell’eclatante. Sempre a corto di denaro, Cristina elabora piani fantasiosi e si fa una certa fatica a trovare una coerenza in quello che assomiglia sempre più a una sterile agitazione.
Quando Carlo X Gustavo muore nel 1660, Cristina non esita a rientrare in Svezia per far valere i suoi diritti sulla corona. Accolta in malo modo, sarà costretta a rinunciare in perpetuo al trono. Quando nel 1667 cercherà di tornare nuovamente in Svezia, gli svedesi le impediranno di attraccare a Stoccolma. Il trono le sfugge definitivamente, come d’altronde quello della Polonia che, per un certo tempo, la Santa Sede aveva pensato di attribuirle.

Sempre incline a creare scandali, Cristina organizza ad Amburgo una sontuosa festa per celebrare l’elezione di papa Clemente IX (1600-1669), scatenando lo scontento della popolazione protestante della città. Infine ritorna a Roma, che non abbandonerà più e dove diventerà il cantore della tolleranza. Si dichiarerà protettrice degli ebrei del ghetto, condannerà la revoca dell’editto di Nantes, difenderà la minoranza cattolica in Inghilterra di fronte al protestante Guglielmo III d’Orange Nassau (1650-1702), coltivando così l’illusione di giocare ancora un ruolo importante negli affari europei.
Anche se ama presentarsi come “una tranquilla spettatrice del mondo”, Cristina invecchiando continua ad animare la vita culturale della città. Inaugura il primo teatro permanente di Roma, il Tor di Nona, dove il pontefice autorizzerà le rappresentazioni nonostante l’avviso contrario della curia. Nel 1674, sul modello francese, Cristina fonda una accademia allo scopo di “ragionare su tutte le materie utili, erudite e curiose, che possano interessare l’intelligenza umana”. Nel palazzo Riario, che la donna tiene in affitto sul Gianicolo, si presentano, scienziati, artisti e musicisti – Scarlatti, Corelli, Pasquini – e letterati interessati alla purezza della lingua italiana.
Scrive essa stessa delle massime e degli aforismi in francese. Da incorreggibile figlia ribelle della Chiesa, continua a mettere il papato in situazioni imbarazzanti, dedicandosi all’alchimia o anche manifestando interesse per i mistici e le loro critiche alla gerarchia ecclesiastica. Ma papa Innocenzo XI (1611-1689) non interverrà mai nei suoi confronti.
Alla sua morte, nel 1689, il pontefice decreterà dei funerali solenni e la farà inumare nella basilica di San Pietro, prova eclatante del ruolo ricoperto da questa donna straordinaria per circa mezzo secolo.

 

 

Per saperne di più

Susanna Åkerman, Queen Christina of Sweden and her Circle: the Transformation of a Philosophical Libertine, Leiden, E. J. Brill, 1991

Maria Conforti; Antonella Moscati; Marina Santucci (a cura di), Cristina di Svezia: la vita scritta da lei stessa, Napoli, Cronopio, 1998

Daniela Pizzagalli, La regina di Roma: vita e misteri di Cristina di Svezia nell’Italia barocca, Milano, Rizzoli, 2002