CINQUECENTO ANNI FA LA BATTAGLIA DI MARIGNANO

di Massimo Iacopi -

Il 14 settembre 1515 Francesco I d’Angouleme, re di Francia, riporta a Marignano (Melegnano) la sua unica vittoria in trent’anni di regno. E dire che l’esito dello scontro rimase in bilico fino all’ultimo momento. Il suo successo determinerà la fine delle velleità espansionistiche degli elvetici e la firma, nel novembre 1516, della pace perpetua fra la Svizzera e il re di Francia.

 

Francesco I nel 1515

Francesco I nel 1515

Salendo il 1° gennaio 1515 sul trono di Francia, Francesco I di Angouleme è ben deciso a proseguire la politica italiana del suo predecessore Luigi XII. Questi aveva dovuto affrontare, negli anni 1511-1513, una possente coalizione europea che aveva come scopo quello di cacciare i francesi dall’Italia. Si tratta per il giovane re di recuperare il terreno perduto, facendo nel contempo esperienza. Ecco il motivo per il quale, già dai primi mesi del suo regno, si mette febbrilmente a preparare la riconquista del ducato di Milano. Il compito si annuncia difficile in quanto il Ducato, sotto l’egida del Papa e con il sostegno di svizzeri e spagnoli, ha ritrovato un duca legittimo nella persona di Massimiliano Sforza. Nei fatti il nuovo duca risulta nulla più di un fantoccio nelle mani degli svizzeri, combattenti coriacei che occupano militarmente il ducato e che i francesi hanno imparato a temere.
A tempo di record, Francesco I riesce a organizzare un formidabile esercito, composto da circa diecimila cavalieri e trentamila fanti – per la maggior parte mercenari tedeschi, lanzichenecchi – più settanta pezzi d’artiglieria. Le truppe riunite inizialmente a Lione si mettono in marcia agli inizi del mese di agosto del 1515. Tenuto conto che gli svizzeri controllano strettamente gli sbocchi delle principali strade alpine, il re decide di passare per il colle di Larche (Alpi dell’Alta Provenza), teoricamente impraticabile. Tremila pionieri vengono impiegati a tempo pieno per creare una vera strada e le avanguardie francesi riescono in tal modo a penetrare in Piemonte.

Negoziati condotti nel segno della diffidenza

Massimiliano Sforza

Massimiliano Sforza

I francesi riescono a catturare a sorpresa Prospero Colonna, comandante della cavalleria del Milanese. Gli svizzeri, che temono ormai di essere presi sul rovescio, si ritirano rapidamente verso il Milanese con l’intero esercito francese alle calcagna. Novara e Pavia cadono ben presto nelle mani dei transalpini, senza eccessiva resistenza, in quanto le popolazioni locali, esasperate dalle esazioni degli svizzeri, preferiscono arrendersi ai Francesi.
Il 9 settembre il re riceve un testo sulla base del quale i due campi avversi (nei contatti avuti nella città di Gallarate in Lombardia) si sono accordati: gli svizzeri accettano di evacuare il Milanese a eccezione della città di Bellinzona, in cambio di un milione di scudi (circa 3,5 tonnellate d’oro), di cui centocinquantamila pagabili in contanti, e di uno statuto onorevole per il duca Massimiliano, che dovrà ricevere in Francia, il ducato di Nemours. Due condizioni particolarmente severe, che però il re accetta con entusiasmo. Nel giro di poche ore e chiedendo in prestito il denaro e tutta l’argenteria ai cortigiani che l’accompagnano, il re riesce a riunire l’acconto richiesto, spedendolo immediatamente a Gallarate.
Il re sfoggia tuttavia prudenza, in quanto non tutti gli svizzeri vogliono effettivamente la pace. Truppe ispano-pontificie minacciano il sud del ducato. Francesco I, pur negoziando con gli elvetici, inizia un movimento di aggiramento intorno a Milano e il 10 settembre si insedia dalle parti di Marignano (oggi Melegnano), una quindicina di chilometri a sudest della città. Con tale manovra Francesco I si avvicina all’esercito veneziano, che il condottiere Bartolomeo d’Alviano sta portando in suo aiuto. Di fatto, il terreno paludoso e inframmezzato da canali si presta poco all’accampamento di un esercito così numeroso. L’avanguardia, comandata dal Connestabile di Borbone, si insedia presso il villaggio di San Giuliano, sulla strada per Milano; il centro (o corpo di Battaglia) con il re si mantiene a Santa Brigida, un chilometro più a sud, mentre la retroguardia, comandata da Carlo d’Alençon, si trova tre chilometri più in là. In caso di attacco sarà l’avanguardia del Borbone che dovrà sopportare lo scontro frontale e per tale motivo ha ricevuto in rinforzo tutta l’artiglieria reale e ventimila fanti, ma non avrà il tempo di effettuare dei lavori campali per fortificarsi: solo i cannoni verranno protetti da un fossato e da una palizzata.

L’avvio della battaglia

Francesco I carica gli svizzeri a Marignao, miniatura di Noël Bellemare, 1529

Francesco I carica gli svizzeri a Marignano, miniatura di Noël Bellemare, 1529

Nel frattempo, nuove truppe svizzere sono arrivate a Milano. All’interno della città Matthäus Schiner, cardinale e principe vescovo di Sion, pronuncia un infiammato discorso in favore della guerra. Questo ecclesiastico svizzero a quel tempo figurava nella lista dei peggiori nemici della Francia e godeva di una immensa autorità fra i suoi compatrioti. Egli è a conoscenza del fatto che le truppe francesi si sono disperse: il re ha lasciato guarnigioni in tutte le città riconquistate. Egli sa anche che il campo reale risulta mal difeso e che la cavalleria pesante avrà grosse difficoltà a manovrare sul terreno che occupa. In tale contesto il vescovo decide semplicemente di ripetere la manovra che aveva prodotto ottimi risultati a Novara, nel 1513, quando gli svizzeri si erano slanciati di sorpresa all’assalto del campo francese, distruggendo tutto al loro passaggio.
Nel primo pomeriggio del 14 settembre 1515 vengono aperte la porte di Milano. Il cardinale di Sion conduce all’attacco tutto l’esercito svizzero. Gli svizzeri adottano la loro formazione favorita, fino a quel momento invincibile: il quadrato compatto di picchieri. Tre enormi quadrati, di settemila uomini ciascuno, marciano incontro ai francesi. La maggior parte degli svizzeri sono senza scarpe e senza armatura e hanno deliberato di “non fare prigionieri ad eccezione del re, e di uccidere tutti”. Stavolta però gli elvetici non godono dell’effetto sorpresa, in quanto le sentinelle francesi individuano ben presto la nube di polvere sollevata dagli enormi quadrati.
Luigi de la Tremouille, responsabile della ricognizione davanti a Milano, è il primo a dare l’allarme, incaricando il signore di Chalencon di avvertire il re. Il Connestabile di Borbone schiera la sua artiglieria, i suoi archibugieri e i suoi lanzichenecchi: il re e tutta la cavalleria francese si tengono in riserva. Verso le ore 16 i cannoni cominciano a tirare contro gli svizzeri, causando leggere perdite, poiché questi ultimi si mettono al coperto. Essi ripartono ben presto all’assalto con un impeto tale da riuscire a sfondare le linee francesi, mettendo in rotta i lanzichenecchi. Il Connestabile di Borbone e il Maresciallo de La Palice caricano a diverse riprese alla guida della loro cavalleria per liberare le batterie d’artiglieria, ma non riescono a intaccare la coesione dei picchieri elvetici.
Dopo circa un’ora di combattimento la situazione appare disperata. Il re riunisce a quel punto l’insieme della sua gendarmeria e si lancia nella mischia, dove la confusione diventa indescrivibile. Francesi e svizzeri utilizzano la stessa croce bianca come segno di riconoscimento, lanzichenecchi e svizzeri parlano tutti tedesco e si hanno sempre maggiori difficoltà nel riconoscere l’amico dal nemico, tanto più che, a causa della stagione, sta giungendo in anticipo l’oscurità della sera. I contendenti continuano a scannarsi al chiaro di luna.

Il secondo giorno di scontri

Francesco I a Marignano, dipinto del XIX secolo di Alexandre Fragonard

Francesco I a Marignano, dipinto del XIX secolo di Alexandre Fragonard

Finalmente, al calare della notte, gli eserciti si ritirano alla meglio per prendersi qualche ora di riposo. Il re si mantiene in mezzo ai suoi cannoni salvati dagli Svizzeri, ma si trova talmente male in arnese che gli elvetici avrebbero potuto catturarlo se non fossero stati anch’essi così spossati. L’acqua, distribuita per bere risulta inquinata di sangue e rende malati. Inoltre, i suoi uomini dormono in armi, in quanto si teme un attacco di sorpresa.
All’alba i due eserciti si fronteggiano nuovamente. I cannoni francesi tirano senza tregua e quasi a bruciapelo, creando sanguinosi varchi negli svizzeri, che marciano nuovamente all’assalto. I tre quadrati di picchieri avanzano frontalmente contro i francesi che hanno adottato, anch’essi, una formazione lineare. L’ala destra, condotta del Connestabile, riesce a contenerli; il centro viene piegato, ma il re contrattacca personalmente e respinge il nemico; l’ala sinistra risulta invece la più malmenata ed è sul punto di cedere, quando, verso le ore 8 del mattino, si sente improvvisamente il grido di “San Marco, San Marco”. Di fatto la cavalleria veneziana, procedendo a tappe forzate, è riuscita a cadere sul tergo dell’esercito svizzero. Verso le 11 gli elvetici, molto indeboliti dai combattimenti della vigilia e dal fuoco continuo dell’artiglieria francese, iniziano a ripiegare su Milano. Nel giorno seguente Francesco I, aureolato della sua vittoria, occupa la città e tutto il ducato, più per effetto di un negoziato che attraverso la forza. Egli, di fatto, non ha alcuna voglia di condurre una guerra a oltranza contro gli svizzeri.
La battaglia di Marignano si dimostrerà terribilmente sanguinosa e i due campi piangeranno migliaia di morti, fra i quali numerosi principi francesi. Trivulzio, uno dei più famosi capitani italiani del suo tempo, evoca un “combattimento di giganti”, di fronte al quale tutte le battaglie che egli aveva potuto conoscere in precedenza erano appena degli “scontri di ragazzi”.

Gli effetti della vittoria francese

La propaganda reale si impadronisce dell’avvenimento per farne un vero trionfo mediatico e Francesco I – che avrebbe ricevuto in questa occasione il rango di cavaliere dalle mani del cavalier Baiardo – si presenterà al Paese come la perfetta incarnazione del re-cavaliere.
La campagna di Marignano, però, se esaminata più freddamente, pone molti interrogativi. I francesi hanno fornito la prova di una grande modernità, aprendo un nuovo cammino nelle Alpi, conducendo una guerra di movimento e utilizzando una temibile artiglieria. Il re, dal canto suo, ha evidenziato sia carisma che coraggio, ha saputo galvanizzare le sue truppe nel momento più critico della battaglia e non ha esitato a combattere in prima linea con numerosi compagni di alto rango, che non hanno poi avuto la stessa sorte. Se, di contro, è mancato molto poco perché la vittoria si potesse trasformare in un vero disastro, ciò è dovuto anche al fatto che il campo di Marignano era stato scelto in modo poco adeguato. Gli svizzeri, inferiori di numero e meno equipaggiati, hanno rischiato di vincere la battaglia: sono stati sconfitti alla fine solo per il tempestivo arrivo dei veneziani.
Il francese saprà dunque trarre un ammaestramento per il futuro dalla sua strana vittoria di Marignano? La risposta, alla luce degli eventi successivi, è negativa: il disastro di Pavia, dieci anni più tardi, contribuirà a distruggere la sua immagine di stratega invincibile.
Ciò nondimeno la battaglia di Marignano contribuirà comunque a produrre un netto cambiamento nella politica estera nella Confederazione elvetica. Di fatto, nel corso del 1516 l’insieme dei Cantoni svizzeri accetterà di trattare con il re di Francia e il 29 novembre dello stesso anno questi firmeranno la “Pace perpetua di Friburgo”. Per effetto di questo accordo, Francesco I si impegna a versare un milione di scudi d’oro alla Confederazione e più di duemila scudi di pensione annuale a ciascuno dei cantoni. Inoltre, il re francese riconosce agli svizzeri il possesso del Ticino e della Valtellina. In cambio, gli elvetici promettono di servire a richiesta sempre il re di Francia e di non scendere mai in guerra contro di lui. Un accordo, questo, che manterrà la sua validità fino al massacro degli svizzeri alle Tuileries nel 1792.

Per saperne di più

Amable Sablon du Corail, 1515, Marignan- Tallandier, 2015.
Francesco Guicciardini, Storia d’Italia – Garzanti, 2006.
Georges Bordonove, François Ier. Le Roi-Chevalier – Éditions Pygmalion,‎ 2006.
Guido Lopez, I signori di Milano: dai Visconti agli Sforza – Roma, 2009.