BOHDAN CHMEL’NYC’KYJ: UN PADRE DELLA NAZIONE MOLTO CORTEGGIATO
di Massimo Iacopi -
Agli occhi degli ucraini Bohdan Chmel’nyc’kyj è il fondatore del loro Paese. Per Mosca, invece, sarebbe l’eroe dell’unificazione dell’Impero sotto l’egida russa.
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Sulla piazza di Santa Sofia di Kiev, si erge un monumento celebre: la statua equestre dell’atamano o Hetmano (titolo attribuito al capo dei Cosacchi, che svolgeva funzioni politiche e militari) Bohdan Chmel’nyc’kyj (1595-1657). La statua dell’atamano cosacco sta alla capitale dell’Ucraina come il “cavaliere di Bronzo” – la statua di Pietro il Grande (1672-1725) – sta a San Pietroburgo: allo stesso tempo emblema della città e simbolo nazionale. Il monumento a Chmel’nyc’kyj, opera dello scultore russo Mikhail Mikéshin (1835-1896), inaugurata nel 1888 sotto il regime zarista, portava a suo tempo l’iscrizione “A Bohdan Chmel’nyc’kyj. La Russia, una e indivisibile”. Russi ed Ucraini, tuttavia, non vedevano il personaggio con la stessa logica: per gli uni, l’atamano rappresenta l’eroe nazionale ucraino, precursore dell’indipendenza della nazione; per gli altri è un eroe nazionale russo, attore dell’unificazione delle terre russe sotto lo scettro dello zar di Russia.
Chmel’nyc’kyj nasce intorno al 1595 in una famiglia della piccola nobiltà ortodossa dell’Ucraina occidentale. Suo padre, ufficiale dell’esercito dei Cosacchi Zaporoghi (o del Nipro), viene ucciso dai Tatari o Tartari nel corso del 1620. Bogdan studia a Kiev quindi nei Collegi dei Gesuiti di Iaroslav e di Lviv (Leopoli). Entrato nell’esercito cosacco, al soldo del re di Polonia, egli partecipa alla campagna, nel corso della quale suo padre rimane ucciso. Fatto prigioniero, egli rimane in cattività per due anni presso i Tartari, dove apprende a parlare la loro lingua, come anche il turco. Riscattato dai suoi parenti Bohdan entra, al suo rientro, nell’esercito cosacco zaporogo e partecipa alle sue campagne marittime contro le città costiere ottomane e, successivamente, alle campagne condotte dalla Polonia contro la Moscovia e l’Impero turco.
Il suo destino subisce una svolta nel 1648 quando un vicino, nobile polacco cattolico, approfittando della sua assenza, si impadronisce del suo dominio, sequestrando la sua donna e uccidendo il figlio di dieci anni. Un episodio tragico ed esemplare delle tensioni etniche, sociali e religiose che travagliano l’Ucraina sotto il regime della Repubblica delle Due Nazioni (Regno di Polonia e Granducato di Lituania). Non essendo riuscito a ottenere giustizia dalle autorità Bogdan si reca in esilio con un gruppo di fedeli nel territorio degli Zaporoghi.
Da quel momento ha inizio una ribellione aperta: i suoi uomini attaccano e sconfiggono la guarnigione dell’esercito reale che staziona nella regione della Sitch (fortezza, assemblea e poi capitale informale dei cosacchi del Nipro) e guadagnano alla loro causa i Cosacchi della regione. Eletto Atamano dell’esercito cosacco degli Zaporoghi il 24 gennaio 1648, Chmel’nyc’kyj stringe un’alleanza con il khan tartaro della Crimea. Fra il 21 aprile e il 16 maggio 1648, i Cosacchi, rinforzati da cavalieri tartari, distruggono l’esercito reale polacco nella Battaglia delle Acque gialle (a Jovti o Zhovti Vody nei pressi del Nipro o Dnieper non lontano da Tshercassy).
Seguono, quindi, altri successi. Le truppe polacche vengono disfatte e l’esercito di Chmel’nyc’kyj si ingrandisce mentre l’eco delle due gesta scatena una insurrezione generale. Nel mese di febbraio, il grande atamano della Corona polacca, Nicolas o Mikolaj Potocki (1595-1651), dichiara al re di Polonia che “non esiste né città né villaggio in cui non risuonino gli appelli alla ribellione e dove la vita e le proprietà dei signori e dei gestori di fondi agricoli non siano minacciati”. Ovunque i contadini si affiancano ai Cosacchi o massacrano i signori polacchi e gli Ebrei che percepiscono privatamente le rendite dell’affitto della terra.
Sanguinosi massacri (pogrom)
Diverse decine di migliaia di ebrei muoiono nel corso di massacri: “Noi cristiani – scrive a quel tempo un prelato ucraino – dobbiamo rovesciare e dare alle fiamme i vostri luoghi di culto ebraici nel corso dei quali voi bestemmiate contro Dio: noi dobbiamo sequestrarvi le vostre sinagoghe e trasformarle in chiese; noi dobbiamo scacciarvi dalle nostre città e dai nostri Stati, in quanto nemici di Cristo e dei cristiani; passarvi a fil di spada, annegarvi nei nostri fiumi, farvi perire in tutti i modi”.
Nell’ottobre 1648, l’atamano assedia Lviv (Leopoli), principale città dell’Ucraina occidentale. Viene conquistato il castello e la città è costretta a pagare un riscatto. Il 17 dicembre Chmel’nyc’kyj effettua il suo ingresso a Kiev, che lo accoglie da trionfatore. Pur riconoscendo formalmente la sovranità del re di Polonia, egli agisce ormai come padrone de facto dell’Ucraina ortodossa. Egli negozia una ampia autonomia del paese, nell’ambito della Repubblica delle Due Nazioni, ma mantiene diversi problemi sul “fuoco”: allo stesso tempo egli offre i suoi servigi al Sultano ottomano ed allo zar di Mosca. Gli anni che seguono l’alternanza di guerre aperte e periodi di negoziati con la Polonia. I negoziati inciampano sul numero di effettivi da mantenere in servizio nell’esercito cosacco e sulla questione religiosa – i Polacchi rifiutano l’ingresso alla Dieta del metropolita ortodosso di Kiev.
Alle disgrazie della guerra si aggiungono quelle della carestia e della peste. I Tartari di Crimea moltiplicano le loro razzie nonostante la loro alleanza di circostanza con gli Zaporoghi. Succede anche che Ebrei e Polacchi caduti nelle mani dei Cosacchi, vengano venduti ai Tartari e finiscono sul mercato degli schiavi a Costantinopoli. Per contro, le truppe polacche saccheggiano e bruciano i villaggi considerati ribelli. Intere regioni si spopolano dei propri abitanti. Nella Polonia vera e propria, il re Giovanni II Casimiro Vasa (1609-1672) risulta indebolito dalla crescente opposizione dei Magnati e della Dieta.
A Mosca, lo zar Alessio Mikhajlovic (1629-1676), secondo sovrano della dinastia Romanov, esita a rispondere positivamente alle offerte di Chmel’nyc’kyj: i Cosacchi zaporoghi sono considerati da molto tempo come Lituani o Polacchi, piuttosto che “fratelli russi”, la loro alleanza con i Tartari di Crimea, nemici ereditari di Mosca, li rende ancora più sospetti. Noti per la loro indisciplina, essi sarebbero sudditi difficili agli occhi del super centralizzato ed autoritario Stato moscovita. Riconoscerli come sudditi, implicherebbe, inoltre, l’entrata in guerra aperta con la Polonia. Sarà solo dopo lunghe deliberazioni che lo zar Alessio assume le sue decisioni: nell’ottobre 1653 egli convoca lo Zemski Sobor (Congresso delle Terre Russe che riunisce, nobiltà, clero e borghesia), che fornisce la sua approvazione al passaggio dei Cosacchi sotto l’autorità dello zar.
L’8 gennaio 1654 l’assemblea dell’esercito dei Cosacchi Zaporoghi, la Rada, riunita a Pereiaslav, a 75 chilometri a sud est di Kiev, ascolta l’atamano che avanza una domanda del tutto retorica: “E’ meglio essere sudditi del khan tartaro di Crimea, del sultano ottomano di Costantinopoli, del re di Polonia o dello zar di Mosca?“. I primi due sono basurmans (mussulmani), quindi nemici ereditari, nonostante l’alleanza (o meglio la tregua) temporanea con i Tartari. Il terzo ha mancato ai suoi doveri di sovrano. L’assemblea approva pertanto la proposta di Chmel’nyc’kyj di porsi “sotto la alta mano” dello zar cristiano ortodosso d’Oriente. L’argomento dell’identità religiosa ha giocato con tutto il suo peso nella questione. L’atamano, a quel punto, presta giuramento di fedeltà a “Sua Maestà lo zar di tutte le Russie ed ai suoi successori”, di fronte agli ambasciatori moscoviti.
Nascita della Piccola Russia
Chmel’nyc’kyj, nel momento di giurare, chiede preliminarmente agli ambasciatori di prestare giuramento in nome dello zar. Il capo delegazione russa si rifiuta, in quanto un sovrano autocrate non presta giuramento nei confronti di un suo suddito e così saranno solo Chmel’nyc’kyj ed i membri dell’assemblea della Rada a giurare. Al termine della cerimonia di fedeltà, gli ambasciatori consegnano all’atamano una lettera dello zar, uno stendardo, una mazza d’arme ed una chapka, insegna dell’autorità che gli viene delegata dal sovrano. Il malinteso ha però immediatamente inizio: per Chmel’nyc’kyj e gli Zaporoghi, il loro passaggio al servizio dello zar di Mosca rappresenta solo un atto contrattuale, che impegna in ugual modo le due parti; per i Moscoviti, al contrario, si tratta di un impegno incondizionato. L’autonomia ottenuta dagli Zaporoghi, a seguito di questa assemblea risulta per gli uni un “Trattato”, mentre per gli altri una semplice concessione di privilegi revocabili.
Poco tempo dopo, lo zar Alessio cambia il suo titolo: egli non è più lo “Zar di tutte le Russie (Grande Russia, Russia bianca e Piccola Russia)”, ma lo “Zar di tutta la Russia, grande e piccola”; Kiev viene aggiunta alla lista delle città di cui egli è il “Grande Principe”. L’Ucraina diventa ufficialmente “Piccola Russia“: il cambiamento di vocabolario non è anodino o semplicemente “innocente”. Il termine Ucraina, designa una regione di frontiera (sottinteso a quel tempo del regno di Polonia). L’espressione “Piccola Russia” già utilizzata in precedenza, specialmente dal clero ortodosso, mette invece l’accento sulla relazione con le altre terre russe, vale a dire ortodosse e specialmente con la Grande Russia, la Russia Bianca (Bielorussia) e la Piccola Russia (Ucraina). Ben prima di Pietro il Grande, la Moscovia comincia a considerarsi come un impero, la cui vocazione è quella di riunire sotto lo stesso scettro tutti i popoli ortodossi. Simultaneamente, questa espansione contribuisce a trasformare la cultura russa: il clero ucraino affluisce a Mosca e vi introduce l’influenza dell’umanesimo del Rinascimento tardivo.
La guerra con la Polonia ha avuto inizio dalla fine del 1653. L’anno seguente l’esercito russo-cosacco invade il granducato di Lituania, mentre la Polonia subisce nello stesso tempo una invasione svedese a nord e ad ovest ed il re Giovanni II Casimiro è costretto a rifugiarsi nella Slesia. La Russia si trova, ben presto, di fronte alla Svezia, contro la quale entra in guerra nel 1656. Questo nuovo conflitto porta Alessio a entrare in una coalizione anti-svedese e a ricercare un accordo con la Polonia: si tratta della tregua conclusa a Vilnius nell’ottobre 1656, con la quale la Russia restituisce tutti i territori conquistati in precedenza. Chmel’nyc’kyj, escluso dai negoziati, diviene furioso: egli ha combattuto per lo zar di Mosca e perde di colpo, con una firma, tutte le conquiste effettuate ad ovest dell’Ucraina. Egli si rivolge alla Svezia, rinnovando in tal modo la strategia del ribaltamento di alleanze che gli era così ben riuscito tre anni prima. Ma la sua morte, avvenuta il 27 luglio 1657, ha contribuito ad evitare una rottura aperta con Mosca.
La fine di un miraggio
Questa è la via che sceglie, dopo il figlio Yuri, il suo secondo successore Ivan Vyhovski (inizi 1600-morto nel 1664); filo polacco, egli negozia, nel 1658, un accordo con la Repubblica delle Due Nazioni che avrebbe fatto dell’Ucraina un “grande principato russo”, terzo membro della predetta Repubblica, a parità di condizioni con il Regno di Polonia ed il Granducato di Lituania. Ma la sorte delle armi determinerà un’altra conclusione ed i Cosacchi Zaporoghi non avranno soddisfazione, né dalla Polonia, né dalla Russia. La Repubblica delle Due Nazioni inizia un lungo periodo di declino che porterà prima alla sua subordinazione e quindi alla sua pura e semplice scomparsa dalla carta geografica (spartizione del 1667). Lo Stato russo, da parte sua, cambia di natura ed inizia a coltivare prospettive espansionistiche in tutte le direzioni. I Cosacchi, si sottomettono, a poco a poco, all’autorità di Mosca, diventando ben presto un semplice strumento di questa politica.
L’interpretazione dell’insurrezione di Bohdan Chmel’nyc’kyj divergerà, pertanto, a seconda delle epoche e degli storici. Per la storiografia ucraina, si tratta di una “rivoluzione di liberazione nazionale”. Gli ucraini, però, si dividono di fronte alla personalità di questo personaggio emblematico: per la maggioranza egli rappresenta il precursore dell’indipendenza dell’Ucraina, ma altri gli rimproverano la sua alleanza con i Tartari e la sua sottomissione a Mosca. Al contrario, gli storici russi sotto gli zar come in epoca sovietica, presentano l’atamano come l’eroe dell’unificazione delle terre russe, l’uomo che ha offerto l’Ucraina alla Russia (ma ne siamo proprio certi che questa era la vera intenzione dell’atamano?). Questa interpretazione filo moscovita costituisce il senso iniziale eretto a Kiev nel 1888. La storiografia sovietica si spinta ancora oltre: essa ricollocato l’insurrezione del 1648 nel contesto della lotta di classe e trasforma Khmelnitski in un capo di una rivolta contadina ucraina contro la feudalità polacca. In Occidente, infine, le persecuzioni antisemite alle quali si sono applicati i fautori dell’atamano, invitavano a considerare con uno sguardo critico l’immagine positiva attribuita al personaggio.
Tutti questi giudizi sono evidentemente anacronistici, Chmel’nyc’kyj, nobile e proprietario terriero, si preoccupava ben poco del mondo contadino e soprattutto non aveva alcuna intenzione di rimettere in discussione l’ordine sociale. Agli inizi, sebbene ribelle, egli si professava come suddito fedele del re di Polonia. È stata l’impossibilità di ottenere soddisfazione per l’ingiustizia subita che l’ha spinto nelle braccia dello zar. In linea di principio, l’atamano avrebbe preferito essere dipendente da un potere lontano, che gli avrebbe consentito una indipendenza de facto.
Non si è mai riusciti a capire se l’atamano abbia mai coltivato l’idea di una piena indipendenza. Non ci sono elementi certi per dirimere questo aspetto. In ogni caso, egli aspirava a rendere ereditaria la carica di atamano all’interno della sua famiglia. Sembra, in effetti, che Chmel’nyc’kyj non avesse piani ben definiti a riguardo e che le circostanze hanno avuto ragione della sua volontà e come accade spesso nella storia, gli eventi risultano più grandi del loro attore principale.
Per saperne di più
Barberi Marco, I ribelli venuti dalla steppa, Focus Storia, ottobre 2011;
Gordeyev Andrew, The History of Cossacks, Moscow, 1992;
Hure John, Cosacchi, Edizioni Piemme, Casale Monferrato, 1999;
Tolstoj Lev, I Cosacchi, Oscar Mondadori, Milano, 1992.