CENTO ANNI DAL GENOCIDIO ARMENO: GLI STUPRI DIMENTICATI

di Michele Strazza -

L’eliminazione dei maschi adulti fu eseguita sul posto, mentre donne, vecchi e bambini furono avviati alle marce della morte. Le donne, in particolare, se non si convertivano all’islam venivano violentate dai gendarmi e dai contadini musulmani lungo la strada, oppure vendute come schiave sulla pubblica piazza.

Civili armeni in marcia forzata verso il campo di prigionia di Mezireh, sorvegliati da soldati turchi

Civili armeni in marcia forzata verso il campo di prigionia di Mezireh, sorvegliati da soldati turchi

A cento anni dal genocidio del popolo armeno, in tante rievocazioni si dimentica una pagina importante di quella tragedia: la violenza sessuale subita da tante donne durante il massacro di quel popolo, voluto e pianificato dal governo turco.
La deportazione e lo sterminio del popolo armeno hanno consegnato alla Storia la visione di massacri ed atrocità. Si  calcola che furono più di un milione gli armeni uccisi, a cui devono essere aggiunte le centinaia di migliaia di vittime morte fino all’estate del 1918 nell’Armenia russa e nella Transcaucasia.
Due furono i momenti principali nei quali vennero registrati gli stupri: il primo durante la fase del disarmo degli Armeni e il secondo quando la popolazione armena fu costretta ad abbandonare le proprie case e a mettersi in viaggio per territori impervi.
Così Arnold Toynbee descrisse quegli episodi accaduti nella primavera del 1915 nel suo A Summary of Armenian History up to and Including the Year 1915. The Deportation of 1915. The Procedure: «Venne emanato un decreto in base al quale tutti gli armeni avrebbero dovuto essere disarmati. […]. Nei villaggi isolati la ricerca delle armi fu accompagnata da aperta violenza. Gli uomini furono massacrati, le donne violentate, le case bruciate dalle pattuglie della gendarmeria […]. Dopo che gli uomini armeni vennero convocati per essere messi a morte, in ogni città, c’era di solito un intervallo di qualche giorno, poi si udì ancora il pubblico araldo nelle strade ordinare a tutti gli armeni rimasti di prepararsi per la deportazione, mentre manifesti dello stesso tenore venivano affissi ai muri. L’ordine si riferiva, in realtà, alle donne e bambini, ai pochi uomini rimasti che per malattia, infermità o per l’età avevano scampato la sorte decisa per gli altri».

Una donna armena deportata a Ezurum

Una donna armena deportata a Ezurum

Le donne avevano un solo mezzo per evitare la deportazione: convertirsi all’islam. Ma ciò, in pratica, diventava impossibile perché ciò avrebbe comportato l’immediato matrimonio con un uomo mussulmano. Se la donna, invece, era già sposata o vedova (tenuto conto che pochi Armeni maschi erano ancora vivi) allora avrebbe dovuto separarsi da tutti i figli, rassegnandosi al loro affidamento a un fantomatico e inesistente “orfanotrofio governativo” per la loro educazione islamica. Ecco perché tutte scelsero la deportazione che, però, si trasformò in una marcia costellata da saccheggi, stupri e uccisioni. Così, accompagnati da gruppi di gendarmi che avrebbero dovuto proteggerli, i convogli dei profughi, formati da donne, vecchi, bambini e malati, si avviarono verso un destino ignoto.
Continua Toynbee: «Era la stagione calda, i pozzi e le sorgenti talvolta erano a molte ore di viaggio, e i gendarmi spesso si divertivano a vietare alle loro vittime sfinite di dissetarsi. […].  Alcune donne avevano avuto un’educazione raffinata e avevano vissuto nelle comodità per tutta la loro vita; alcune dovevano portare in braccio i bambini, troppo piccoli per camminare; altre erano in avanzato stato di gravidanza e partorirono lungo la strada. Nessuna di queste ultime sopravvisse perché, obbligate a riprendere la marcia dopo poche ore di pausa, morirono lungo la strada insieme ai neonati. Molti altri morirono di fame e di sete, di insolazione, di apoplessia o per pura debilitazione. […].  Dal momento in cui abbandonavano le periferie delle città non erano mai al sicuro dalle violenze. I contadini mussulmani li assalirono e li derubarono quando attraversavano le terre coltivate, e i gendarmi erano conniventi con la brutalità dei contadini, così come erano stati conniventi con la diserzione dei conducenti dei carri. Quando arrivavano in qualche villaggio le donne venivano esibite come schiave nella pubblica piazza, spesso fuori dalle finestre del palazzo del governo stesso, e ogni abitante mussulmano era autorizzato a esaminarle e prenderne una per il proprio harem; i gendarmi stessi avevano poi mano libera sulle altre e le obbligarono a dormire con loro la notte. Ci furono atrocità ancora più orribili quando si giunse alle montagne, poiché là incontrarono bande di “chetties” e di curdi. I “chetties” erano briganti, reclutati dalle pubbliche prigioni e deliberatamente rilasciati dalle autorità […]. Quando questi curdi e chetties attaccavano i convogli, i gendarmi sempre fraternizzavano con loro e li imitavano […].  I primi ad essere massacrati furono i vecchi e i ragazzi – ogni maschio trovato nei convogli ad eccezione dei bambini in braccio alle madri – ma furono massacrate anche le donne […].  La crudeltà dei gendarmi diventava maggiore via via che le sofferenze fisiche diventavano più intense; i gendarmi sembravano impazienti di portare rapidamente a termine la loro missione».
Le donne rimaste indietro venivano «trafitte con le baionette lungo la strada, o spinte nei precipizi, o gettate dai ponti». L’attraversamento dei fiumi, specialmente l’Eufrate, diventava l’occasione pe nuove stragi. Donne e bambini erano gettati nell’acqua ed uccisi se solo tentavano di raggiungere la sponda opposta: «Il gusto e il piacere che provavano i loro tormentatori erano senza limiti».

Per saperne di più

Bianchi B., La violenza contro la popolazione civile nella Grande Guerra. Deportati, profughi, internati – Milano, Unicopli, 2006.
Dadrian V.N., Storia del genocidio armeno. Conflitti nazionali dai Balcani al CaucasoMilano, Guerini e Associati, 2003.
Derderian K., Common Fate, Different Experience: Gender-Specific Aspects of the Armenian Genocide. 1915-1917, in “Holocaust and Genocide Studies”, n. 1, 2005.
Flores M., Il Genocidio degli armeni  - Bologna, Il Mulino, 2006.
Sanasarian E., Gender Distinction in Genocidal Process. A Preliminary Study of the Armenian Case, in “Holocaust and Genocide Studies”, n. 4, 1989.
Strazza M., Senza via di scampo. Gli stupri nelle guerre mondialiPotenza, Consiglio Regionale della Basilicata-CRPO, 2010.