CÉCILE RENAULT, TIRANNICIDA MANCATA

di Giancarlo Ferraris –

Mossa da una forte fede realista e da una profonda avversione verso la rivoluzione, progettò un maldestro tentativo per uccidere Robespierre. Voleva emulare la celeberrima Charlotte Corday, assassina di Marat. Ma qualcosa andò storto…

Odiare un tiranno

Verso la fine del secolo scorso gli storici hanno dibattuto a lungo sul ruolo ricoperto dalle donne nella Rivoluzione francese, ma nonostante le discussioni, talora anche accese, volte a valorizzare il loro operato le conclusioni che ne hanno tratto sono state piuttosto deludenti. Infatti se nella Francia dell’Ancien Régime le donne non godevano di diritti politici e dipendevano economicamente dagli uomini, nella Francia della Rivoluzione si andò affermando soltanto un’idea piuttosto vaga di femminismo che ebbe la sua voce in alcuni club composti esclusivamente da donne, club che furono però messi presto a tacere dai rivoluzionari più radicali i quali reputavano la Rivoluzione come un evento prettamente maschile. Non mancarono comunque episodi in cui le donne, singolarmente o in masse, assursero al ruolo di protagoniste della Rivoluzione francese o levarono le loro mani armate ad attentare alla vita dei rivoluzionari di maggior prestigio come nel caso della celeberrima Charlotte Corday, assassina di Jean Paul Marat, e della semisconosciuta Cécile Renault, assassina mancata di Robespierre, di cui vogliamo spendere qualche parola in questa sede.
Chi era Cécile Aimée Renault (o Renaud)? Di lei non si sa molto. Nacque nel 1774 a Parigi. Appartenente a una famiglia della borghesia imprenditoriale dedita al commercio della carta e alla stampa, era una giovane donna di forti sentimenti realisti tanto che rimase profondamente turbata dalla caduta della monarchia nel 1792 e dalle successive esecuzioni capitali del re Luigi XVI e della regina Maria Antonietta avvenute rispettivamente nel gennaio e nell’ottobre 1793. Gli sconvolgimenti politici, economici e sociali generati dal moto rivoluzionario, la sanguinosa guerra contro l’Europa e soprattutto l’instaurazione del regime del Terrore ebbero l’effetto di accrescere in Cécile Renault un sentimento di paura e insieme di odio celato verso la Rivoluzione. Questo sentimento si coagulò e si indirizzò verso la persona di Maximilien Robespierre, il leader principale della Rivoluzione, il cui nome Cécile aveva visto ripetutamente sugli opuscoli e sui vari manifesti stampati dall’impresa di famiglia e sulla quale aveva sentito esprimere giudizi molto forti oscillanti tra una spropositata apologia e una abissale denigrazione. La sua forte fede realista insieme alla profonda avversione verso il moto rivoluzionario la condussero su posizioni del tutto ostili nei confronti dell’Incorruttibile verso il quale muoveva alcune accuse: l’aver instaurato un regime dispotico e terroristico, diventando così di fatto un dittatore, un tiranno; l’aver promosso una politica economica dirigista vale a dire basata sul controllo statale delle attività produttive con conseguenze dannose per la classe borghese alla quale lei stessa apparteneva; l’aver proposto il culto dell’Essere Supremo, una religione deista (secondo cui la divinità esiste, ma non c’è nessuna rivelazione) in sostituzione del cattolicesimo supporto tradizionale della monarchia francese.
La sera del 22 maggio 1794 Cécile Renault si diresse verso l’abitazione della famiglia Duplay dove risiedeva Robespierre. Portava con sé un cestino e un pacco contenente della biancheria nel quale aveva celato due piccoli coltelli con l’intenzione di uccidere l’Incorruttibile. Alle guardie nazionali e ai membri della famiglia Duplay chiese di poter vedere Robespierre, senza peraltro precisare il motivo della sua visita. Le guardie, dato l’aspetto giovanile e innocente della giovane, la fecero entrare obbligandola però a sostare lungamente in una piccola sala d’attesa. Alla fine Cécile, spazientitasi, domandò di poter incontrare subito Robespierre aggiungendo con un certo piglio: «Un personaggio pubblico dovrebbe ricevere in ogni momento coloro che hanno l’occasione di avvicinarsi a lui, ne convenite vero?» Queste ultime parole insospettirono le guardie nazionali una delle quali le rispose con tono freddo e sarcastico: «Il cittadino Robespierre non è in casa questa sera».
Subito dopo Cécile venne arrestata. Ci fu un breve scambio di battute tra la giovane e la guardia che ne aveva ordinato l’arresto:
«Per quale motivo siete venuta a casa del cittadino Robespierre?»
«Volevo parlargli».
«Di che cosa volevate parlargli?»
«Gli avrei parlato se lo avessi trovato».
«Conoscete il cittadino Robespierre?»
«No… Non lo conosco… Per questo sono venuta qui… Per vedere da vicino come è fatto un tiranno».

Con questa affermazione Cécile Renault firmò la sua condanna a morte. Le guardie, allibite e al tempo stesso colme d’ira per le parole espresse dalla giovane donna, presero a perquisirla trovandole subito i due piccoli coltelli. Ci fu un ulteriore, brevissimo scambio di battute tra la guardia e Cécile che proprio in quel momento, nonostante negasse le sue intenzioni, si rese conto di essere perduta giungendo anche, paradossalmente, a esternare quasi una sorta di confessione liberatoria:
«Che cosa volevate fare con i vostri due coltelli?»
«Nulla. Non avevo intenzione di fare del male a nessuno».
«E il vostro pacco?»
«Contiene della biancheria per potermi cambiare nel luogo dove sto per essere condotta».
«Dove?»
«In prigione… E da lì alla ghigliottina»
.
Proprio le ultime affermazioni di Cécile vennero prese dalle guardie nazionali, obnubiliate dal clima di sospetto e di angoscia proprio del Terrore, come un’ammissione di colpa e quindi come una rivelazione di ciò che voleva fare anche e soprattutto in relazione a due clamorosi episodi precedenti: il noto assassinio di Jean Paul Marat avvenuto nel luglio 1793 e il tentativo di uccisione di Robespierre verificatosi addirittura il giorno prima.

Il processo e la condanna

L'arresto di Cécile Renault

L’arresto di Cécile Renault

Ai rivoluzionari nel corso dell’interrogatorio, perlomeno all’inizio, apparve che l’intenzione di Cécile Renault di assassinare Robespierre fosse soltanto un caso di emulazione, peraltro privo di reali conseguenze, dei due precedenti avvenimenti. Tuttavia la successiva scoperta che il suo amante era stato ghigliottinato di recente li indusse a ritenere che la giovane avesse avuto il desiderio e la volontà di vendicarlo uccidendo l’Incorruttibile, ma che, come emerso dalle sue stesse parole e dal suo stesso comportamento, non ne avesse avuto il coraggio per debolezza, ingenuità e codardia misti anche a una notevole dose di rassegnazione e di disillusione. Nonostante tutto ciò Cécile Renault, nel particolare clima di sospetto e di paura del Terrore, venne ritenuta colpevole dato che le guardie, al momento della perquisizione, le avevano trovato indosso due coltelli.
Il processo, che fece seguito all’interrogatorio, ebbe come pubblico accusatore l’inquietante Fouquier-Tinville e vide sul banco degli imputati, oltre a Cécile, anche il padre, il fratello e una vecchia zia che era stata suora. Furono tutti e quattro condannati a morte per cospirazione realista e ghigliottinati il 17 giugno 1794 nel periodo del Grande Terrore. Si narra che Cécile dimostrò paura soltanto quando salì sul palco del patibolo, ma che sorrise prima di essere giustiziata.

Per saperne di più
de Lamartine, Heroic Women of the French Revolution, London, 1848
F.-A.-M. Mignet, Storia della Rivoluzione francese dal 1789 al 1814, trad. it., Firenze, 1928
F. Furet – D. Richet, La Rivoluzione francese, trad. it., Bari, 1974