CAUCASO, L’INIZIO DEL GRANDE GIOCO FRA RUSSI E BRITANNICI

di Massimo Iacopi -

I Circassi sono le prime vittime dell’inizio del Gran Gioco geostrategico che oppone Britannici, Russi e Ottomani nel Caucaso nel XIX secolo. La guerra si conclude con la tragedia della deportazione e della decimazione di questo popolo.

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Fra la fine del XVIII secolo e gli inizi del XIX secolo, Russia e Inghilterra vanno incontro a una rilevante espansione territoriale. L’impero zarista prosegue nella sua penetrazione verso sud e in Asia centrale a danno della Turchia ottomana e dell’impero persiano. L’Inghilterra consolida la sua presenza in India, che diventa il cuore economico del suo impero coloniale. Dopo aver sconfitto nel 1815 Napoleone Bonaparte, le due potenze si ritrovano una di fronte all’altra, in funzione delle loro rispettive avanzate. L’insediamento dei russi nel Caucaso settentrionale fa immediatamente intravvedere una possibile minaccia di una spinta fino all’Oceano Indiano. Londra inizia, da quel momento, una azione tendente a contenere al massimo l’influenza russa, insediandosi in Asia centrale o creando stati tampone alleati. Questa lotta tra i due imperi tende a distribuirsi nel corso di diversi decenni e viene resa popolare da Rudyard Kipling nel suo romanzo Kim, edito nel 1901, proprio sotto il termine di “Grande Gioco”. Esso porta l’Inghilterra a condurre una campagna catastrofica in Afghanistan (1839-1842) e a tentare di rendere fragile la conquista russa nel Caucaso.

La resistenza dei Circassi

I russi risultano, di fatto, coinvolti nella ribellione dei popoli della regione e specialmente nell’area del Daghestan (1) e dei Ceceni (2), guidate dal 1834 dall’Imam al-Šaykh Shamil. Essi entrano anche in conflitto con un popolo di lingua adighé delle rive del Mar Nero, i Circassi (3). Quest’ultimi costituiscono una minaccia permanente per gli insediamenti Cosacchi del Terek, a causa della moltiplicazione delle loro incursioni. Il saccheggio costituisce, in effetti, parte integrante del loro sistema economico e le loro razzie alimentano, in particolare, un fruttuoso traffico di schiavi, al quale si dedicano con passione. Islamizzati nel XVI secolo-XVII secolo, i Circassi sono i vassalli ufficiosi della Turchia, riconoscono l’autorità religiosa del sultano di Istanbul, ma preservano gelosamente la loro indipendenza. Tuttavia, nel 1829, l’Impero ottomano, sconfitto dalla Russia al termine di una guerra disastrosa, firma il trattato di Adrianopoli. Con il trattato il Sultano cede al suo vincitore diversi territori, fra i quali la Circassia. Davanti al fatto compiuto, però, i Circassi reagiscono: non hanno alcuna intenzione di accettare il protettorato russo. Per vincere la loro resistenza e spingerli verso le montagne caucasiche, il regime zarista costruisce una ventina di fortezze lungo il litorale del Mar Nero.

Davide Urquhart, portavoce dei Circassi

David Urquhart

David Urquhart

La resistenza dei Circassi viene resa popolare in Inghilterra da un giornalista scozzese, David Urquhart (1805-1877). Questo avventuriero aveva combattuto nelle file dei greci, durante la Guerra d’Indipendenza ed era stato successivamente reclutato dai servizi segreti inglesi. Egli aveva condotto, per conto loro, alcune missioni nei Balcani, in Polonia e in Persia. Le sue peregrinazioni e tribolazioni l’avevano portato a detestare profondamente la Russia che, ai suoi occhi, simbolizzava “il principio del male negli affari internazionali”. Egli denunciava regolarmente nella rivista Portfolio, da lui diretta, i misfatti dell’autocrazia zarista. Nel corso dei suoi viaggi il giornalista si era innamorato della civiltà orientale e, in particolare, provava una certa ammirazione per la Turchia. Proprio in occasione di uno dei suoi soggiorni a Costantinopoli (dove viene nominato segretario d’Ambasciata nel 1834) egli scopre la causa dei Circassi attraverso un capo della diaspora in esilio, il circasso abkhaziano Sefer o Sefir Bey Zanuko. Grazie all’aiuto di costui, Urquhart inizia – nel biennio 1833-1835 – il suo viaggio clandestino in Circassia per conto del governo britannico. In effetti, quest’ultimo osserva con interesse la ribellione dei Circassi che potrebbe potenzialmente indebolire la Russia, mentre la tensione fra i due paesi subisce un certo incremento. Un nuovo trattato firmato da San Pietroburgo e Costantinopoli nel 1833 vieta il passaggio dei Dardanelli a navi da guerra e la loro navigazione nelle acque del Mar Nero, a eccezione di quelle delle marine russa e ottomana. Questo accordo significa che la Royal Navy non può più schierare le proprie navi nel Mar Nero e proteggere le sue navi mercantili. Il Foreign Office si preoccupa immediatamente di far sapere che il suo paese non avrebbe rispettato questo trattato, come anche il protettorato della Russia sulla Circassia. Tuttavia Urquhart, rinominato da Turchi Daud Bey, si trasforma in un elettrone libero e incontrollato, moltiplicando le dichiarazioni e assumendo spettacolari iniziative individuali. Nel dicembre 1835 il giornalista scozzese pubblica nelle colonne del Portfolio una “Dichiarazione di Indipendenza” redatta da lui stesso e nella quale alcuni pretesi capi dei Circassi fanno appello alle Corti europee per una richiesta di aiuti ai fini della preservazione della loro libertà. Il suo obiettivo è, attraverso queste iniziative, quello di costringere il Foreign Office a impegnarsi chiaramente in favore dei Circassi. Se da un lato il personaggio riesce a rendere popolare la causa dei Circassi, dall’altro non riesce a modificare l’atteggiamento del governo inglese. Egli organizza, a quel punto, con l’aiuto dei Bell, una famiglia di negozianti insediata in Oriente, una consegna di armi ai ribelli. Il battello affittato, il Vixen, viene tuttavia sequestrato dalla marina russa nel novembre 1836. L’affare provoca un incidente diplomatico ma Londra, che vuole evitare una guerra con la Russia, finisce per riconoscere che il sequestro del Vixen costituiva una azione legittima, rimuovendo nel contempo Urquhart dalle sue funzioni.

Costretti a combattere da soli

L’Inghilterra opta nella questione per un sostegno più discreto. Essa pilota, più o meno direttamente, alcune azioni clandestine, che consistono nell’invio d’armi e di consiglieri militari o di diplomatici: James Stanislas Bell, l’organizzatore del viaggio del Vixen, James Langworth, giornalista ed agente dei servizi, o ancora un ufficiale scozzese, un certo de Knight. Tuttavia, il governo britannico non conta di intervenire direttamente, con gran danno dei ribelli. I Circassi sono quindi costretti a combattere da soli. Essi lanciano un’offensiva generale nella primavera del 1840 contro i forti russi della costa, sotto il comando di capi come il principe di Ubykhia, Hadji Gerandiqo Berzeg, soprannominato il “Leone del Caucaso”. Nessuno dei belligeranti consegue successi significativi e vantaggi decisivi e lo status quo durerà per lungo tempo fino alla guerra di Crimea. L’entrata in guerra della Francia, dell’Inghilterra e della Turchia contro la Russia, nel 1853, rianima la speranza dei Circassi di potersi sbarazzare della minaccia zarista. Un corpo di spedizione ottomano viene inviato sul posto, ma si accontenta di stazionare sul litorale, senza assumere iniziative. Il tentativo di Sefir Bey di unire le tribù per conto del sultano fallisce miseramente. Il solo capo che riesce a imporsi è il daghestano Muhammad Amin Asiyalav, il rappresentate nella regione dell’imam, emiro, Shamil. La sua influenza è tale, da essere invitato al quartier generale alleato a Varna, in Bulgaria, nel luglio 1854, al fine di siglare una alleanza militare. Purtroppo, l’emiro, che si rifiuta di venire infeudato ai Turchi, respinge le proposte di partecipazione alla guerra di Crimea. Egli intende proseguire la sua lotta nelle montagne con l’appoggio di centinaia di Polacchi, volontari e disertori dell’esercito russo.

Una spaventosa pulizia etnica

Circassi che abbandonano i territori del Caucaso, di Pyotr Nikolayevich Gruzinsky (1872).

Circassi che abbandonano i territori del Caucaso, di Pyotr Nikolayevich Gruzinsky (1872).

Nonostante la sua dura sconfitta in Crimea, il regime zarista esce praticamente indenne dalla guerra (Trattato di Parigi del 1856). A questo punto lo Zar può rischierare le sue forze nel Caucaso, costringendo alla resa l’emiro Shamil, il 25 agosto 1859, quindi il capo circasso Amin, il 20 novembre seguente. I russi, che vogliono “pacificare” definitivamente la regione al fine di colonizzarla, decidono a quel punto di deportare i Circassi verso il Kuban, dove verranno sorvegliati dai Cosacchi del Terek o verso la Turchia, dove il Sultano si dice pronto ad accoglierli. A partire dal 29 giugno 1860 i primi auls (villaggi) vengono svuotati delle loro popolazioni. I villaggi delle pianure, delle colline e infine delle montagne vengono progressivamente evacuati. Alcune tribù tentano di opporsi riprendendo la guerra, ma ormai si tratta di una lotta senza speranza. Gli ultimi combattenti ubykhs, sospinti e circondati verso le cime dei monti, vengono sbaragliati nel maggio 1864. La deportazione si intensifica. I Circassi vengono trasportati a centinaia di migliaia verso l’Anatolia, dove i Turchi, a parte le buone intenzioni, non hanno predisposto nulla per riceverli. Le prime ondate vengono indirizzate verso le grandi città, dove gli uomini sono reclutati, a forza, nell’esercito, mentre le donne ed i ragazzi vengono spesso venduti come schiavi. L’afflusso è tale da dover obbligare ad aprire alcuni campi di concentramento, come quello di Atchi Kale nei pressi di Trebisonda, dove le condizioni di vita risultano spaventose. Gli storici stimano che siano stati deportati circa un milione di Circassi fra il 1861 ed il 1865 e che centinaia di migliaia fra di loro abbiano perduto la vita, specialmente a causa delle violente epidemie di tifo. Questa tragedia chiude effettivamente la guerra del Caucaso, una regione che i russi intendono fermamente controllare in modo durevole. Le terre dei Circassi vengono così distribuite a circa 142mila famiglie russe, che vi si insedieranno progressivamente. Interi villaggi del paese rimangono vuoti e un ufficiale georgiano, inviato a cartografare la regione montana dell’Abkhazia, lascia questo commento come legenda sulla parte della sua carta corrispondente al versante occidentale del massiccio del Caucaso: “disabitato”…

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Note
(1) Daghestan è una repubblica della Federazione Russa, il cui toponimo – usato non prima del XVI secolo – vuol dire “paese delle montagne” (dal turco dāgh, “montagne” e dal suffisso iranico stān che indica il luogo dove si vive, si “sta”). Per area e per popolazione è la regione più grande del Caucaso settentrionale, con una superficie di 50270 km² e poco più di 3 milioni di abitanti, appartenenti a circa una trentina di etnie, tra le quali le più numerose sono gli Avari (gruppo etico principale; 800 mila unità), i Russi, i Darghini o Darguini, i Cumucchi e i Lezgini o Lesghi; tra gli altri gruppi si annoverano i Samuro, gli Azeri o Azerbaigiani, i Nogais, di origine mongola Kipchaki, i Tati, di orgine iranica, e gli Juhuro o Ebrei delle montagna, ovvero Dāgh Čufut. I Cumucchi non vanno confusi con i Calmucchi, che abitano a nord del Daghestan e di cui una quota consistente della popolazione professa il buddismo tibetano. I Russi cominciarono a utilizzare il termine “Calmucco” nel XVI-XVII secolo, apprendendolo dai Tartari o Tatari (di origine turca), per poi utilizzare anche il nome Oyirad, che era invece il loro nome di origine mongola. Furono proprio i Calmucchi (e non i Mongoli) a controllare quella vasta area, nota come “Grande Tataria” o “Impero Calmucco”, che andava dalla Grande Muraglia cinese al fiume Don, dall’Himalaya alla Siberia.
(2) Ceceni. In ceceno нохчий, noxçi, singolare noxçuo, costituiscono il più grande gruppo etnico nativo delle regioni a a nord el Caucaso. Chiamano loro stessi con il nome di “nokci”, sulle cui origini etimologiche vi sono diverse teorie: il nome potrebbe derivare dall’antico villaggio di Nakasch o dal nome biblico di Noé (Nokha in ceceno). Il termine russo per l’etnia, čečency, è anch’esso oggetto di dibattito, ma la teoria prevalente è quella secondo la quale esso abbia origine dal nome dell’antico villaggio (aul) di Čečana (in russo: Cecen). Il villaggio in questione è situato sulla riva del fiume Argun, vicino a Grozny. I clan Vainachi, gli antenati dei Ceceni e degli Ingusci, dimoravano sulle montagne della regione fino al XVI secolo, epoca in cui hanno iniziato a stabilirsi nei bassipiani. In questo periodo ebbe inizio la loro islamizzazione, indotta dall’influenza delle popolazioni limitrofe.
(3) Circassi o Cerkessy. Noti anche come adighè o adighi, si definiscono adyghe (nome anche della loro lingua parlata) e l’etnonimo deriva probabilmente dall’unione di atté (“altezza” che sta ad indicare i montanari) e ghéi (“mare”). Essi sono un gruppo etnico delle regioni a nord-ovest del Caucaso ed appartengono a una delle più antiche popolazioni autoctone della regione e tra gli abitanti originari della regione. La Turchia ospita la più grande comunità circassa del mondo.

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Per saperne di più
Eric Hoesli, A la conquête du Caucase: Epopée géopolitique et guerres d’influence, Syrtes, 2018.
Aldo Ferrari, Breve storia del Caucaso, Carocci, 2017