Cattedra: Non è ver che sia l’uscita il peggior di tutti i mali

di Paolo Maria di Stefano -

Anche limitando lo spazio dedicato ai risultati del referendum che dovrebbe condurre la Gran Bretagna fuori dall’Europa, desidero “fisicamente” dimostrare che la questione appare sopravvalutata e le grida ed i timori a loro volta sembrano eccessivi.
Il fatto che le borse europee abbiano avuto più di una seduta in preda allo sbandamento dice soltanto una cosa: che la borsa è un gioco, un vero e proprio gioco d’azzardo. Come tale, le fluttuazioni non hanno poi molto a vedere con l’importanza oggettiva degli eventi, essendo forse più vero che questi acquistano rilevanza in funzione di quelle. E nel gioco d’azzardo sono le speranze di guadagnare e le probabilità di farlo che determinano il gioco stesso.
Come in tutti i giochi, c’è chi vince e chi perde e come in tutti i giochi, vincite e perdite sono virtuali fino al momento in cui non si concretano.

Ed è cosa che non io dico, bensì affermata anni orsono da un personaggio della finanza mondiale che con la borsa si è arricchito, e condivisa oggi da più di qualcuno dotato di un minimo di buonsenso.
Certo è che la speculazione, sempre in agguato, è lì, pronta a cogliere ogni opportunità, anche se solo presunta.
Londra è pressoché da sempre la sede della grande finanza. E tuttora lo è della finanza europea. L’uscita del Regno Unito non potrebbe essere una opportunità per altre città, non necessariamente capitali, per proporsi quale sede dei grandi uffici finanziari?
Una uscita, peraltro, senza certezza alcuna. Il referendum di giugno era un referendum consultivo, e dunque dai risultati non obbligatori. Non è ipotizzabile immaginare che il Parlamento del Regno Unito li ignori, questi risultati? I quali, peraltro, si dice non riscuotano già più il consenso di una popolazione che pare essersi accorta di aver deciso frettolosamente e senza informazioni corrette.
Tanto da proporre una nuova consultazione. Che suona come una condanna senza appello di quei politici che hanno promosso la consultazione ma che si sono guardati bene dal fornire informazioni certe ed esaurienti. In questo, politici a tutto tondo e fino all’osso.
Nella decisione del Regno Unito mi pare possa vedersi un errore a mio avviso di estrema gravità: abbandonare la barca al largo, in un mare tempestoso, senza preoccuparsi di sondare le possibilità concrete di riparare i guasti che la rendono insicura.

Che il mare UE sia in tempesta e non certamente sicuro è evidente, ma è anche evidente che i guasti che hanno colpito la barca sono dovuti a fattori individuati, concreti e riparabili.
Allora, forse, il problema non è abbandonare l’Unione, ma affrontare seriamente insieme la situazione e stabilire cosa si può e si deve fare, come e quando, affinché la navigazione possa riprendere lungo una rotta sicura verso il porto voluto.
Il problema di fondo, probabilmente il maggiore, a me pare sia costituito dal non capire che la prima cosa da fare è prendere atto che qualsiasi forma di collaborazione, in qualsivoglia materia, impone la rinunzia ad una parte della libertà individuale. Nel caso di Stati, ciascuno Stato deve prendere in considerazione seria la necessità di cedere una parte della propria sovranità. Che significa anche non difendere a oltranza quelli che si ritengono essere interessi di ciascuno Stato (e dei suoi individui), bensì armonizzare i propri interessi con quelli degli altri.

Che diviene sempre più difficile quanto più si ritardi e si improvvisi nella individuazione corretta dei bisogni da soddisfare e degli interessi da tutelare a livello di “insieme”. I bisogni e gli interessi di una Unione di Stati, di una comunità, non coincidono se non a livello teorico con quelli dei singoli componenti l’unione, esattamente come accade nei rapporti tra Stato e cittadini. Ciascun bisogno e ciascun interesse di uno Stato non è la sommatoria dei bisogni e degli interessi dei singoli cittadini. Non lo è né in numero né in qualità, perché sono “personalizzati” in coerenza con la natura di una “persona” che si chiama Stato, che è collettiva, che ha una missione ed una durata diversa da quelle del comune mortale.
Allora, bisogna conoscerli, e conoscerli a fondo, per decidere quali soddisfare, in quale ordine, con quale intensità, con quali mezzi.
Che è il compito primo di qualsiasi comunità, di qualsiasi Stato, di qualsiasi Unione di Stati.
E, tra l’altro, non è affatto automatico che l’uscita da una comunità di uno o più componenti sia esiziale per la comunità di riferimento: il membro che non vuole più far parte di un insieme, provvederà a soddisfare i propri bisogni ed a tutelare i propri interessi “a parte”, esattamente come è accaduto e accade. E la vita degli altri proseguirà secondo le stesse strade.
Che significa anche: se la Gran Bretagna vuol fare da sola, ha il diritto di farlo (almeno allo stato attuale dei rapporti tra gli Stati dell’Unione Europea), ma deve anche sapere che deve attendersi la “concorrenza” della comunità abbandonata, esattamente come gli altri Stati membri della comunità devono rendersi conto che “un altro concorrente” non è, appunto, che “un altro concorrente”, i rapporti col quale sono o tornano ad essere di assoluta semplicità.

Sarebbe molto bello se in materia di rapporti politici, economici, sociali si potesse contare sulla certezza o anche solo sulla chiarezza, ma spesso non è cosa facile, soprattutto perché ci siamo inventati una Politica che è “arte del compromesso” e una economia che è “arte del raggiro” a fini di profitto.
Nel caso di specie, quello che gli Stati membri non dovrebbero fare è consentire alla Gran Bretagna di negoziare una serie di vantaggi nell’uscita, tra i quali è da annoverare anche quello di una uscita “a babbo morto”. Che significa: uscirò quando e come mi pare. E anche: che ci guadagno se me ne vado? O ancora: cosa mi date in cambio di una uscita a breve termine?
Ovviamente, questo referendum avrà più di qualche ricaduta. Già si levan gli inni di giubilo di politici che contano su quell’effetto domino che determina la caduta di tutte le tessere e che in qualche modo potrebbe dar loro la soddisfazione di vincere qualche competizioni elettorale, anche importante.
Io credo che servirà a poco, ma sarà bene ricordare a quei signori che non a caso a poche ore dalla chiusura del referendum milioni di sudditi pentiti hanno chiesto una nuova consultazione.
Piuttosto: qualcuno di noi ha sentito parlare di programmi e di pianificazioni concrete ed operative aventi per oggetto il nostro continente, gli Stati che la compongono, una Unione tra alcuni di questi?