Cattedra: Minorenni che delinquono e responsabilità della società

di Paolo Maria Di Stefano -

Riuniti in branco e armati di armi proprie e improprie i minorenni italiani sembrano aver trovato finalmente qualcosa da fare che non soltanto li trae fuori da quella schiera troppo numerosa di nullafacenti, ma che soprattutto li accredita per un futuro di successo, di affermazione, di potere e forse di indipendenza economica che appare, per le vie ritenute normali, quanto meno di difficile realizzazione.
Assalgono coetanei dalla faccia pulita e li picchiano, provocando loro danni spesso gravissimi, fino alla morte.
E per ogni vittima (quasi) si organizzano in zona manifestazioni e cortei e proteste e si scrivono frasi rutilanti di banalità su striscioni retti da decine di persone, in particolare (sembra) giovani ma non senza la partecipazione di qualcuno più adulto.
In questi giorni, pare che i minorenni napoletani siano la maggioranza: grumi di delinquenti al di sotto dei diciassette anni attendono all’uscita delle stazioni della metropolitana (ma va bene ogni altro luogo) ed operano con rapidità ed efficacia.

E Napoli va in prima pagina.
E allora, un primo problema, il più facile a risolversi, quasi una premessa: la violenza dei bambini cretini non è una componente esclusiva della cultura napoletana, e dunque occorre parlarne e cercare una soluzione a livello (almeno) nazionale, meglio se al di fuori delle ideologie e dei preconcetti.
E poi, una ulteriore premessa: il fatto “fa notizia”, come dicono i giornalisti, e la notizia “va montata” tanto più quanto meglio si adatta ad attirare il lettore, e la notizia “fa immagine”.
Il tema richiederebbe un trattato formato Bibbia, che non possiamo permetterci. Ma qui possiamo senza dubbio invitare i giornalisti tutti e pensare su quanto affermano all’unanimità, che il fatto “fa” la notizia. Non è il fatto, l’accadimento a “fare notizia”, bensì l’azione di comunicazione del giornalista, il quale inevitabilmente interpreta il fatto e lo trasforma in notizia comunicandolo. In altre parole, il “prodotto” chiamato “fatto” è altra cosa dal “prodotto” chiamato “notizia”.
Ed è quest’ultima a “fare immagine”, in funzione del cosa e del come il giornalista comunica.

C’è un aspetto importante che investe la politica e la magistratura: la prima, perché “fa” le leggi; la seconda, perché è chiamata ad applicarle.
I fatti di cui parliamo, sembrano dimostrare l’insufficienza delle leggi esistenti, anche per l’età dei delinquenti, che li rende non imputabili.
Ebbene: cosa osta all’emanazione di una legge generale che stabilisca che le famiglie – intendendo per tali le persone fisiche e giuridiche responsabili della educazione e del controllo dei minori – che hanno allevato questi imbecilli rispondono per responsabilità oggettiva degli eventi e dei relativi danni? Forse è il caso di ricordare che le famiglie sono le prime responsabili della educazione e quindi dei comportamenti dei figli. E dunque, se questi non sono imputabili per via dell’età, dell’accaduto rispondono quei padri – o comunque l’esercente la patria potestà- che non hanno saputo (o voluto) allevare i figli.
Senza via di uscita da quella che potrebbe essere una “praesumptio iuris ed de iure”.
Che significa anche alcune cose che richiedono certamente approfondimento.

Per esempio, il solo far parte di un branco – anche in presenza di componenti individualmente non armati- potrebbe realizzare la fattispecie di associazione a delinquere e, perché tale e in quanto tale, disegnare la responsabilità oggettiva degli esercenti la patria potestà su ciascuno dei componenti la banda i quali esercenti, tutti, sarebbero chiamati a risponderne; se il bambino è armato di catena (o di altra arma propria o impropria comunque atta ad offendere) l’esercente la patria potestà risponderebbe del fatto oggettivo di possesso di arma; e se il bambino manda all’ospedale qualcuno, l’esercente la patria potestà sarà tenuto non solo a pagare i danni, ma sarà punito (meglio se con pena pecuniaria, generalmente ritenuta la più dolorosa e pertanto la più efficace) per “mancata o distorta educazione”, per “possesso di arma” da parte del figlio, per l’uso fatto della stessa. Vogliamo scommettere che qualcosa cambierebbe?
La condanna potrebbe arrivare con rito immediato e, se i tempi della magistratura ordinaria dovessero rivelarsi troppo lunghi, cosa impedirebbe al legislatore di emanare una norma che consenta alle forze dell’ordine di emettere una sentenza immediatamente esecutiva? E cosa impedirebbe di creare – il legislatore esiste apposta! – un ufficio giudiziario “ad hoc”?
La responsabilità oggettiva della famiglia potrebbe essere estesa alla assenza dalla scuola: di un minorenne a spasso durante l’orario scolastico risponderebbe, per questo soltanto, la famiglia, meglio se con pesanti pene pecuniarie.

E siamo alla scuola, inevitabilmente. La quale potrebbe, intanto, essere organizzata in modo da impegnare i ragazzi a tempo pieno (almeno otto ore al giorno) e da essere in grado di controllare gli alunni all’ingresso con uno qualsiasi dei sistemi che, per esempio negli aeroporti, sono utilizzati per non far passare le armi. Sequestro immediato della catena e del tirapugni e di quanto altro e altrettanto immediate sanzioni a carico dei genitori.
Lo stesso principio varrebbe anche per droghe e stupefacenti: scolari e studenti detentori di sostanze stupefacenti oltre al sequestro immediato, subirebbero la reazione della scuola e quella dei genitori o comunque degli esercenti la patria potestà, per questo imputati e condannati per responsabilità oggettiva con rito immediato.
Certo che organizzare la scuola (almeno fino al liceo) in modo da impegnare i ragazzi per almeno otto ore al giorno non è cosa facile, ma neppure è cosa fantasiosa o impossibile. Non c’è dubbio che i programmi di insegnamento andrebbero modificati, soprattutto in almeno due direzioni: creare e mantenere l’interesse dei giovani e far sì che le materie siano chiaramente rivolte (anche) a rimediare alle attuali carenze. Per esempio: perché la scuola non può guidare gli studenti a partecipare da spettatori a concerti o ad altri spettacoli in modo da divenire quegli spettatori di domani che potrebbero aiutare a risolvere la crisi di cui si dice i teatri italiani siano malati? E cosa vieta alla scuola di organizzare presentazioni di opere letterarie e conversazioni tra studenti e autori, in modo tale da preparare i lettori di domani, razza in estinzione? E perché non dedicare alle competizioni sportive una eguale attenzione? Si può andare avanti all’infinito, ovviamente, e non lo faremo. Certo è vero che occorrerebbero fondi e docenti e…Ma non parliamo sempre di posti di lavoro? E siamo proprio sicuri che operando come appena accennato non si realizzino, alla lunga, risparmi importanti e non si prospettino altrettanto importanti opportunità?
A vantaggio dei singoli e della società.
Ed è forse questo il punto più importante e impegnativo: la partecipazione della comunità alla ideazione, alla produzione, alla apprensibilità di una simile linea complessa di prodotti chiamata “scuola”. Si tratta di “ridurre ad unità”, di far convergere sulla “scuola” il lavoro di tutti i settori che costituiscono l’ambiente in cui essa è destinata a vivere: dalla edilizia, (che deve comprendere aule, uffici, locali di servizio e via dicendo), alla sanità, che alla scuola deve dedicare tutto quanto necessario ed opportuno per la salvaguardia e la cura della salute di ogni studente; dallo spettacolo, che con la scuola deve avere un rapporto specialistico e dedicato per ogni settore, dalla musica al cinema al teatro, alla mobilità il cui compito principale è assicurare il trasferimento da casa a scuola e viceversa assieme ai trasferimenti necessari per i singoli eventi previsti; dalla alimentazione, che deve provvedere ai pasti quotidiani, al gioco ed al divertimento in ogni loro espressione…
Tutto questo e quanto non detto comunque collegato alla linea “scuola” comporta una cultura sociale diversa, più ampia e complessa, di quella attuale. E soprattutto, una grande attenzione ai particolari ed alla qualità di tutte e ciascuna delle componenti. Nessuna esclusa.