Cattedra: Gli Stati Uniti insegnano ad essere grandi

di Paolo M. Di Stefano -

L’ho sostenuto in apertura dell’editoriale: dal momento che ogni medaglia ha due facce, se la prima che appare è negativa, non è detto che l’altra faccia lo sia altrettanto. E allora, forse guardando a questa ultima si possono intravedere opportunità altrimenti nascoste e disegnare una realtà migliore di quanto possa apparire “prima facie”.

Gli Stati Uniti hanno eletto un Presidente simbolo di una cultura in stato preagonico, e anche per questo di non difficile prevedibilità. Ed è proprio questa prevedibilità che invita all’ottimismo: sembra, il Presidente, voler mantenere le promesse che l’hanno portato alla massima carica nel nostro mondo così detto di civiltà avanzata. E si è trattato di promesse chiaramente ispirate all’egoismo più bieco, alla paura di un débacle economica peraltro alle viste, alla ricerca del mantenimento dei privilegi acquisiti.
Il che, intanto, ci dà una dritta: l’egoismo, la paura, i privilegi sono tre settori da esplorare per vedere se, per caso, ponendo freni all’egoismo (personale e di gruppo, privato e pubblico, laico e religioso), facendo della azione di tutti e di ciascuno qualcosa di rassicurante, regolamentando per quanto possibile i privilegi facendone simbolo di giustizia e di equità (sempre che sia vero che non li si può eliminare) non si possano modificare in meglio almeno alcune situazioni chiaramente facenti parte della faccia negativa di quelle medaglie (egoismo, paura e privilegio) le quali hanno qualcosa di positivo, in sé.
Il neo Presidente appare, anche, privo di idee innovative: i suoi sembrano richiami a idee e comportamenti ultra datati, privi di reale efficacia allora, ancora di più oggi.

Il muro ai confini con il Messico, innanzitutto, perché il più “visibile” ed anche, probabilmente, il rimedio più inefficace alla situazione: l’inizio dello smantellamento della immagine di una America ospitale e capace di offrire a tutti una opportunità. La costruzione del muro, oltre a non aiutare i buoni rapporti con il Messico, avrà probabilmente l’effetto contrario a quello voluto, stimolando la creatività per il suo superamento. Risultato: il flusso dei migranti non si arresterà, mentre sempre più difficile e costoso diventerà l’impedirlo.
Con effetti, anche, sulla lotta alla delinquenza all’interno degli States, e dunque sui costi di essa e sulla economia in generale.
Ed anche questo una indicazione la dà: quella di cercare di strutturare un sistema di accoglienza o, se si preferisce, di mobilità e scambio tra i popoli e tra le persone che tenga conto dell’obiettivo di un benessere generale o, almeno, di un miglioramento della qualità della vita dei meno fortunati (o dei meno capaci di approfittare delle debolezze altrui a proprio vantaggio).

Lo smantellamento del sistema di tutela della salute pubblica (Obamacare), (forse solo parziale) segno certo di un egoismo spinto all’estremo, in nome di risparmi che, se mai ci saranno, saranno il frutto di un progressivamente crescente stato di malessere anche fisico da parte dei meno abbienti, e dunque possibile fonte di rivolta. Che solo i ricchi abbiano diritto alla salute perché possono pagarsela altro non è che l’esasperazione di una cultura economica basata sullo sfruttamento dei più deboli a vantaggio dei più forti, spesso divenuti tali perché più furbi e più violenti.
Ed anche questa parte del programma presidenziale ci racconta che se la salute è un diritto di tutti gli esseri umani, l’obbiettivo di qualsiasi comunità non ne può prescindere: la salute di una qualsiasi comunità, quale ne sia la dimensione, è il bilanciamento della salute di ogni singola persona, e non è pensabile che si possa considerare una alternativa la eliminazione fisica dei vecchi, dei malati, dei diversamente abili solo perché poveri.
C’è chi ci ha provato, assieme alla eliminazione fisica degli appartenenti a razze diverse ed a portatori di diversi interessi sessuali: un vero e proprio disastro di immagine per i sostenitori e attuatori del programma, peraltro chiaramente impossibile già all’epoca, ed anche per questo, perché chiaramente impossibile, anche sintomo di stupidità politica.

Lo smantellamento dell’Europa – perseguito, forse, anche con l’aiuto della Gran Bretagna – appare come perfettamente coerente con la “filosofia” del sistema economico del quale gli Stati Uniti sono stati e sono leader e che è il sistema nel quale viviamo, entrato in crisi e che la maggior parte di noi cerca di rivitalizzare per tornare ad essere come prima. Assolutamente coerente con l’attività di un uomo che in questo sistema è diventato sempre più ricco e la cui ricchezza, oltre che il plauso e l’ammirazione della gente, gli ha procurato il successo politico e il potere al massimo livello conosciuto.
Se l’Europa è un concorrente degli Stati Uniti e se gli Stati Uniti vogliono tornare ad essere egemoni e senza contrasti, quale proposta più concreta di quella di distruggere la concorrenza in un sistema economico (il nostro) che, forse, parla correttamente di libertà di concorrere, ma di una libertà che vede i concorrenti come avversari da combattere e vincere, con qualsiasi mezzo?
Il Presidente degli Stati Uniti sembra voler ricorrere ad una tecnica di potere inventata dai nostri padri: quel “divide et impera” che ha consentito a Roma – quella antica – di dominare il mondo allora conosciuto.
Ecco, allora, che questa Europa raffazzonata, improvvisata, litigiosa deve cogliere l’occasione e convincersi che l’unità di intenti, la pianificazione, l’accordo sono le armi da utilizzarsi fin da subito, il cui possesso va guadagnato anche con l’uso corretto di quella sovranità che gli Stati membri erroneamente cercano di conservare e difendere e che, invece, va ceduta alla organizzazione.
Esattamente come hanno fatto gli Stati americani a suo tempo e come, nel piccolo, è accaduto da noi quando l’Italia divenne Stato unitario.
Il difficile è che dovremmo fare tutto questo senza ricorrere alla violenza, anche se in fondo sia per gli Stati Uniti che per l’Italia si potrebbe obbiettare che non è stato proprio così: i primi hanno dovuto far ricorso alla guerra di secessione; l’Italia a quella parte di guerra che è stata condotta da Garibaldi per la conquista e la consegna al Piemonte quanto meno dell’Italia meridionale.
Trump al momento sembra giocare su due fronti.
Per quanto riguarda il Regno Unito, ha dimostrato entusiasmo e solidarietà per la Brexit, anche invitando altri Paesi a seguirne l’esempio; per quanto riguarda la Germania, sembra orientato a perseguire una leadership di quel Paese in una Europa composta di Stati vassalli.
Non riesco a liberarmi dal dubbio che tutto questo sia manifestazione della stessa mentalità di imprenditore d’assalto che ha fatto la fortuna del neo Presidente, e che lo ha guidato alla conquista di ricchezza e potere senza esclusione di colpi, giustificato da una economia che si continua ad assumere come avulsa dal diritto e dalla morale e che trova una sponda importante in quel “pecunia non olet” che più ancora che giustificare misfatti, premia la ricchezza e ne fa simbolo di stato e fonte di ammirato e temuto potere.
Il Presidente proprio per questo – perché imprenditore d’assalto – è refrattario a leggi e regolamenti che in qualche modo ne limitino l’azione. E soprattutto lo è nei confronti delle leggi internazionali le quali per definizione hanno orizzonti più ampi di quelli di un singolo Paese, per quanto grande possa essere.
Tutto questo dovrebbe farci meditare (anche) sui sistemi di formazione della cultura, sulla organizzazione scolastica, sulla qualità dei docenti, dal momento che è proprio la cultura che disegna i bisogni, gli interessi, le motivazioni …
Vuol dire almeno due cose: portare la scuola (in senso lato) in primissimo piano tra gli obbiettivi dei singoli Stati prima e dell’Unione poi, in una con la rimodulazione della ricchezza e del potere quali simbolo di successo.
E potrebbe voler dire anche che l’organizzazione delle Nazioni Unite dovrebbero, forse, rivedere la propria struttura e ridisegnare i propri compiti.
E si badi bene: la lunghezza dei processi di formazione della cultura possono essere abbreviati e forse più di quanto si possa pensare da una attività legislativa corretta e da un corretto operare della gestioni della cosa pubblica.