Cattedra: Considerazioni forse non usuali e connessioni atipiche su temi forse tra loro estranei
di Paolo Maria di Stefano -
Confesso quattro cose.
La prima: io nutro da sempre grandissima considerazione, stima e ammirazione per l’arma dei Carabinieri di cui ho avuto l’onore di conoscere l’allora Comandante Generale.
La seconda: non ho mai nutrito particolare simpatia per i militari di carriera, e non per fatti personali, quanto perché prodotto – i militari di carriera – di una formazione estremamente rigida, a mio avviso schematica seppure coerente con i compiti che ai militari si assegnano e comunque tale da rendere difficile ogni colloquio che in qualche modo implichi una conclusione anche in parte diversa da quella sulla quale il militare poggia il suo pensiero. Non a caso qualcuno ha affermato con serietà estrema che “un militare pensa con la testa del suo superiore”, che è condizione essenziale perché le operazioni siano condotte come previsto.
La terza: sono assolutamente convinto che chiunque neghi alla democrazia la possibilità e il diritto di ricorrere alla imposizione legittima quando necessario e opportuno rechi un danno fondamentale alla democrazia stessa, privandola di una possibilità di perseguire gli obbiettivi che le sono propri. E, soprattutto, avalli l’idea che il concetto di libertà coincida in fondo con quello di anarchia.
La quarta: non conosco il Generale Gallitelli, penultimo (credo) Generale Comandante dell’Arma e dunque certamente degno della carica, culturalmente e moralmente.
Negli ultimi giorni del novembre appena trascorso, Silvio Berlusconi sembra abbia parlato della possibilità di affidare la Presidenza del Consiglio al Generale Gallitelli, subito rimangiandosi l’idea, credo per opportunità politica. Più probabilmente, perché “l’esempio” sembra scaturito più dalla fantasia di un “creativo politico” (che di creativo non altro ha se non la capacità di pescare argomentazioni di vendita per conquistare voti) che da una cultura consapevole in giusta misura del degrado gravissimo della nostra civiltà. E il dubbio che di argomentazione di vendita si tratti nasce da quella che io credo essere una constatazione elementare: in democrazia, nulla può accadere che non sia frutto del consenso di una maggioranza.
Un Generale Comandante dell’Arma dei Carabinieri –come peraltro qualsiasi militare di carriera- per sua formazione è “costretto” a difendere la legalità, ad impedire che le leggi siano violate, e questo fa disponendo dei poteri che la legge gli conferisce, poteri di cui un Presidente del Consiglio dei Ministri non dispone e che dovrebbe quindi richiedere ed ottenere dal Parlamento in ogni occasione lo ritenga opportuno.
Per farla breve: immaginate voi un Parlamento Italiano che consente al Presidente del Consiglio (come a qualsiasi titolare di un qualsiasi Ministero) di individuare, impedire ed eventualmente punire i comportamenti di quei Parlamentari che non abbiano in qualsiasi modo rispettato una qualsiasi norma di diritto?
E immaginate quale tormento sarebbe quello di un Generale dei Carabinieri costretto non solo a violentare la propria – un vera e propria seconda natura – non intervenendo quando ritenuto opportuno e necessario, ma addirittura a scendere a patti, a compromessi con i Politici e i loro accoliti?
Mi par di sentire un mio amico: ma scherzi davvero?
Pericolo probabile, una deriva di dittatura militare quando l’impossibilità del Generale Presidente si dovesse appalesare in tutta la sua evidenza.
E gli interventi dei militari in Politica si sono sempre trasformati prima in “democrazia armata” e poi in “dittatura” altrettanto armata.
Nell’interesse della Gente, della Democrazia e della Patria, ovviamente.
E grazie alla natura di “forze armate”, che dalle armi di solito traggono quella forza che li distingue.
Il che mi pare crei qualche problema che non mi sembra di vedere approfondito più che tanto, al di là dei “grandi temi d’effetto”: il disarmo atomico, quello chimico, quello relativo alle mine anti uomo… i quali tutti, peraltro, non sembra abbiano avuto più di qualche effetto molto limitato.
Qualche problema, dicevo, uno dei quali è quello del contenuto e dunque del concetto stesso di disarmo che – lo confesso – continuo a non comprendere nella sua interezza. In genere, quando se ne parla si fa riferimento alle “armi da guerra”, al loro possesso ed al loro uso a titolo di difesa dalle aggressioni da parte di Stati esteri ed eventualmente – ma se ne parla pochissimo – di nostra aggressione ad uno Stato diverso, in genere giustificata dalla difesa preventiva da una minaccia per quanto immaginata, teorica e di là da venire. Qualcuno si spinge a proporre il disarmo di tutte le forze armate, e dunque anche di quelle cha hanno il compito di mantenere l’ordine pubblico all’interno del Paese e di provvedere quanto meno a scoraggiare azioni armate da parte di gruppi interni (mafie o altro) che si oppongono all’ordine costituito.
E, a seconda dei casi, c’è chi nel concetto di arma fa rientrare qualsiasi cosa si presti ad essere usata contro un avversario quale che sia.
Quindi anche la testa quando usata per colpire, ed anche – come si è verificato il 28 novembre 2017 a Milano – i denti usati per strappare il lobo dell’orecchio ed anche i pugni, forse la più usata delle armi (improprie?) e, perché no, le mani (schiaffi, oltre che pugni) e i piedi (calci e pedatoni di varia entità), ovviamente passando per i nerbi di bue, le fruste, le fionde, i sassi lanciati a mano… e via dicendo. Persino i calamai, quelli non eliminati dal progresso, dietro la minaccia del lancio dei quali più di un professore un tempo si è rifugiato.
Se il disarmo dovesse comprendere tutto quanto sopra, potrebbe divenire la causa di fenomeni tutt’altro che accettabili: il taglio della mano del borsaiolo significherebbe disarmarlo, e dunque tornare ad un tipo di civiltà almeno da noi superata. Credo.
E poi, la risposta alla domanda “chi dovrebbe disarmare?” che suona “Tutti”. E poiché quel “tutti” sembra traguardo impossibile, ecco una soluzione: “cominciamo col disarmarci noi”, che è modo semplice per proclamare quella meravigliosa utopia del disarmo unilaterale.
Meravigliosa utopia, da un lato, ma, dall’altro, vera e propria proposta indecente, in un mondo del quale la cosa più normale che si possa fare è ricordare quel Plauto che in Asinaria (atto II, scena IV, verso 495) ebbe a scrivere “lupus est homo homini” e quegli ecclesiastici medioevali – ricordati da Antonio Gramsci in Quaderni dal carcere, XXVIII - che affermavano “homo homini lupus, foemina foeminae lupior, sacerdos sacerdoti lupissimus”, cui si aggiunge qualcosa di molto simile quando qualcuno affermò che “Dio creò il professore universitario e subito dopo il suo peggior nemico: un altro professore universitario”. E poi, Tommaso Hobbes in De Cive ed altri ancora, con variazioni anche importanti. Seneca, ad esempio, in Epistole a Lucilio afferma (XCV,33) “Homo, sacra res homini” mentre Erasmo Da Rotterdam nel suo Adagia media con “Homo homini aut deus aut lupus”, che è probabilmente la cosa più concreta e vera.
Esattamente come il ritenere che la competizione senza esclusione di colpi faccia parte del DNA del genere umano.
Ed è proprio la competizione a rendere “indecente” e pericoloso il proporre il disarmo unilaterale.
Domanda retorica: perché nessuno dice che il disarmo è pura utopia soprattutto per ragioni economiche? Perché oggi è il sistema economico a farla da padrone. L’Italia, come tutti i Paesi fabbricanti di armi di qualsiasi genere, oltre a provvedere a quelle che immagina sue proprie necessità, vende a terzi tutto quello che può, e questo fa sia direttamente che indirettamente.
Con l’indotto, la produzione di armi è parte assolutamente non trascurabile delle economia del Paese, e non solo del nostro. Anche questo può sembrare banale, ma non è forse vero che le distruzioni che le guerre provocano sono fonte di guadagno per tutti coloro che saranno chiamati a ricostruire?
E allora, forse la sola cosa che si può fare è improntare tutta la formazione e dunque tutta la cultura al concetto che le armi possono essere utili, ma il loro uso deve essere moralmente, eticamente, giuridicamente lecito.
E per cominciare:
tutti o almeno la gran parte dei Paesi potrebbero proibire ai privati l’acquisto e la detenzione almeno delle così dette armi proprie, una volta elaborata una classificazione affidabile ed accettabile. E tanto per ricordarlo, arma propria è anche il fucile da caccia;
tutti o almeno la gran parte dei Paesi potrebbero limitare la produzione delle armi al proprio fabbisogno, proibendo nel contempo la vendita delle armi ai Paesi altri, quali siano i rapporti intrattenuti;
in tutti o almeno nella gran parte dei Paesi potrebbero essere individuati i detentori di armi, ed i loro arsenali sequestrati e distrutti. I porto d’armi oggi legalizzanti la detenzione andrebbero annullati.
Naturalmente, la questione è assai più vasta e complessa, e sono consapevole anche dei problemi “laterali” ad ogni intervento di riduzione delle armi, quale, ad esempio, quello del posto di lavoro per chi il lavoro lo perderebbe.
Ma non varrebbe la pena di tentare?
A proposito: le facce ridenti dei responsabili della Corea del Nord non sono preludio alle gioie del Natale, bensì la prova evidente che risus abundat in ore stultorum.