BORGOGNA, IL REGNO INCOMPIUTO

di Massimo Iacopi -

L’aggiunta progressiva di titoli a un duca di Borgogna rende il suo principato, esteso dalle rive del mare del Nord ai vigneti di Beaune in Borgogna, vasto e prosperoso. I duchi sapranno trasformare questo spazio eterogeneo in un laboratorio politico amministrato con mano ferma.

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«Questo avvicinamento di popolazioni diverse, ostili, sotto una stessa denominazione, non risulta in nessun luogo più impressionante come in questo strano impero della casa di Borgogna. In nessuna parte, neanche in Borgogna, il duca era il suo signore naturale. Questo termine, così importante nel Medioevo e che imponeva tanto rispetto, era, visibilmente, in questo territorio una menzogna. I sudditi di questa casa, una volta caduta, la rimpiangeranno; ma fino a quando è rimasta in piedi, essa ha mantenuto quasi esclusivamente con la forza questo discordante assemblaggio (di popoli e territori)».
Jules Michelet nel volume VI della sua Storia di Francia, apparso nel 1844, non trova parole più dure per qualificare i duchi di Borgogna e la loro opera, ma molto dello spirito sciovinista francese traspare dalle sue affermazioni. Di fatto, lo storico non aveva gradito gli indubbi successi di questo grande principato che a suo dire costituiva un insieme mostruoso e disgustoso ma che ha saputo resistere e prosperare di fronte allo strapotere del regno di Francia e ai suoi plurimi tentativi di distruggerlo. Ecco dunque che lo storico descrive il duca Giovanni senza Paura come un assassino che ha gettato il regno di Francia nella più grande confusione e dipinge Filippo III il Buono come un personaggio godereccio, falsamente benevolo, e la sua corte come ridicolmente pomposa. E non manca di raccontarci di Carlo I di Borgogna, il Temerario: un principe crudele che ha fatto soffrire il suo popolo e che è stato odiato da tutta l’Europa. Nulla, decisamente nulla, a suo parere, può riscattare questi principi di Borgogna, cadetti della casa dei Valois di Francia, che hanno solo nuociuto alla causa del regno di Francia (eccolo il vero motivo!) e sono all’origine della più abominevole delle azioni di guerra: la cattura di Giovanna d’Arco (guai a chi tocca il mito!) e il suo abbandono agli Inglesi!

Denominazioni a raffica

Ducato di Borgogna, Ducato Valois di Borgogna, Stato Borgognone al singolare o al plurale, Grande Principato di Borgogna… Bisogna riconoscere a Jules Michelet che lo storico di questa entità territoriale e politica si trova spesso in difficoltà quando si tratta di denominare l’insieme formato da una moltitudine di terre che sono state conquistate, acquisite o ereditate per comporre lo spazio del dominio dei duchi di Borgogna, che si estende dalle vigne della zona savoiarda di Macon, a sud, fino alle coste brumose dei Frisoni a nord.
Questa costruzione ha inizio nel XIV secolo con il principato di Filippo II l’Ardito, quarto figlio del re di Francia, Giovanni II il Buono. Nominato duca di Borgogna da suo padre nel 1364, egli ottiene questo ducato non come appannaggio (1) ma come una donazione piena e intera. Questo ducato ancestrale viene arricchito dal matrimonio di Filippo III il Buono con Margherita II di Male, figlia di Luigi II di Male, conte di Fiandra, conte anche d’Artois Rethel, Nevers e della Borgogna imperiale (Franca contea), territori che, da allora, sono entrati a far parte dell’eredità borgognona.
Per circa un secolo lo spazio borgognone non smette di ampliarsi, integrando, ad esempio, la contea di Namur nel 1429 e il ducato di Brabante nel 1430, fino al momento in cui Carlo il Temerario riesce a stabilire una giunzione fra i suoi territori, che fa temere il peggio ai vicini di Francia e del Sacro Romano Impero Germanico: l’annessione, temporanea, della Lorena consente, infine, di disporre di una continuità territoriale fra gli antichi Paesi Bassi e lo stesso ducato di Borgogna. «Eccomi nel mezzo dei miei paesi» avrebbe dichiarato il Temerario nella sala del Palazzo ducale di Nancy nel dicembre del 1475, deciso a fondarvi una nuova capitale, a metà strada fra i suoi territori più lontani.

Con o contro il re di Francia

La base era apparentemente solida e riproduceva grosso modo i contorni dell’antica Lotaringia, che occorreva dotare di un titolo generico e di una corona che solamente l’imperatore poteva concedere. L’impresa era arrischiata e l’incontro di Treviri nell’autunno del 1473 si era concluso con un fallimento: l’imperatore Federico III, oltre al timore per le ambizioni del Temerario, era stato umiliato dal fasto borgognone, il cui apparato per quella occasione era costato circa 39 mila lire di Fiandra, ovvero l’equivalente di tre anni di salari per 550 muratori. Addio corona, che fosse di Frisia, di Borgogna o del Sacro Romano Impero Germanico… Ma il Temerario non demorde, l’uomo che vuole a tutti i costi diventare re, accarezza ora il disegno di prendere con le armi quello che la diplomazia gli rifiuta.
La situazione generale non risultava semplice neanche sul lato francese. Gli inizi della costruzione borgognona si confondono, in parte, con la crisi politica causata, a partire dal 1392, dalla follia del re Carlo VI di Francia, che porta, sul finire del XV secolo, a una guerra civile per il controllo del consiglio reale. Fino al 1404 la personalità moderata di Filippo II l’Ardito, in posizione di forza, evita che la situazione degeneri. Suo figlio Giovanni senza Paura non riesce tuttavia a prendere il posto che occupava suo padre. La sua relazione con Luigi di Valois Orleans, fratello del re Carlo VI, subisce un rapido degrado. Più autoritario, meno inserito nella nobiltà francese e in difficoltà finanziarie, Giovanni senza Paura accumula insuccessi politici fino a commettere l’irreparabile. Nel 1407 fa assassinare il suo rivale a Parigi, aprendo la “maledetta guerra” civile fra le fazioni dei Borgognoni e degli Armagnac, la seconda derivata dal nome di Bernardo VII d’Armagnac, nuovo uomo forte del partito degli Orleans. Giovanni senza Paura verrà anche lui assassinato sul ponte di Montereau nel 1419.
Questo conflitto comporta conseguenze diplomatiche che contribuiscono progressivamente ad allontanare i duchi dal consiglio Reale e dai suoi vantaggi finanziari, tanto più che in piena guerra dei Cento Anni i Borgognoni avevano finito per siglare un’alleanza, teoricamente conto natura, con il nemico inglese, consolidata dal Trattato di Troyes del 1420, per mezzo del quale i Borgognoni riconoscono Enrico V Plantageneto come successore di Carlo VI sul trono di Francia.
Dopo la riconciliazione firmata ad Arras nel 1435 fra le due entità politiche, Filippo III il Buono approfitta della zizzania fra Carlo VII e suo figlio, il futuro Luigi XI per avvicinarsi al delfino e tentare di recuperare il suo posto presso il re. L’accoglienza di Luigi alla corte borgognona, a partire dal 1456, mentre era in forte disaccordo con suo padre, o la presenza del duca di Borgogna all’incoronazione del suo protetto a Reims nel 1461 avevano alimentato qualche speranza nella testa dell’anziano duca, che, tra l’altro, traeva enorme piacere nel passeggiare per le vie di Parigi a fianco del nuovo re. Egli si appoggiava anche su un partito filo francese, animato dalla famiglia de Croy, guidata da Antoine I il Grande.
Ma i rapporti fra Luigi XI e Carlo il Temerario si annunciano poco felici. Carlo, prima ancora di diventare duca, aveva rotto con la politica docile dei suoi predecessori nei confronti del re di Francia. Luigi XI, che prima della sua incoronazione aveva giurato di ingrandire e consolidare il suo regno, conduce una politica aggressiva nei confronti dei grandi feudatari del suo regno. La reazione non si fa attendere: nel 1465 Carlo il Temerario assume la guida della Lega del Bene Pubblico, quando era ancora conte di Charolais. I grandi principi territoriali del regno volevano lottare contro la “tirannia” del re di Francia, la cui monarchia moderna, sempre più centralizzata, andava in contrasto con le loro velleità autonomiste. La corona va incontro a un periodo di grave crisi, ma Luigi XI riesce, con l’impiego delle armi, della diplomazia e del denaro, ad avere la meglio su una Lega del Bene Pubblico che si sfalda a seguito della conseguita soddisfazione di interessi particolari. Al termine della battaglia, senza vincitori e vinti, di Montlhery (16 luglio 1465), il re di Francia usa numerose astuzie per fare contenti i suoi avversari e per far ritornare la pace, in modo da preparare meglio suoi attacchi, precisi, sistematici, frontali o pilotati indirettamente dalla sua enclave di Liegi, per ottenere, fra gli altri, l’annientamento della Borgogna.
Carlo il Temerario, al potere dal 1467, a tutto pensa meno che a cedere. In cerca di una corona, forte delle sue risorse economiche e della potenza del suo esercito, imbocca il cammino della ribellione aperta per cercare di affrancarsi dalla tutela francese. Una tappa decisiva viene superata nel 1473, quando fonda a Malines il proprio Parlamento. Il Temerario, con un forte atto politico, afferma la sua sovranità, respinge e rifiuta ai suoi sudditi qualsiasi appello presso il re di Francia e ingaggia i suoi territori di vassallaggio francese sulla via di un’indipendenza che non era mai stata pensata dai suoi predecessori. Occorre dire, che stava raccogliendo i frutti di una costruzione solida che gli poteva offrire la possibilità di vittoria.

Le ricchezze del Nord

Della Borgogna del Medioevo l’immaginario collettivo ritiene abitualmente l’idea di un patrimonio d’eccezione, del quale gli artisti si sono trasformati in ambasciatori attraverso i secoli. Le vigne di Borgogna e le opulente città della Fiandra, dove sbarcano e si incrociano le ricchezze del mondo, consentono, effettivamente, ai duchi di fare concorrenza al Tesoro della corona francese e di sviluppare una munificenza che diventerà leggendaria.
Fra queste città, Bruges occupava un posto di rilievo. Vi si incontravano mercanti della Hansa, di Genova, di Venezia, della Biscaglia, della Catalogna, inglesi, scozzesi… Le grandi barche a vela dei mari del Nord e le galere del Sud, che risalivano fino agli avamporti dell’estuario dello Zwin (antico braccio del Mare del Nord oggi insabbiato, che dava a Bruges l’accesso diretto al mare), consegnavano le spezie sui moli brulicanti di mercanti, le pietre preziose e i frutti del lontano Oriente, il corallo del Mediterraneo, i broccati veneziani, le ceramiche iberiche, l’ambra del Baltico, come anche le sue aringhe, le sue pellicce e il suo legno.
Tutto era organizzato per facilitare e rendere sicuro il commercio, pur imponendo l’intermediazione dei cambiavalute e dei mediatori locali, come ad esempio il finanziere Wouter van Ameide, che dominava la piazza commerciale alla fine del XV secolo. E se potevano insorgere conflitti che sfociavano in azioni in giustizia, le taverne come quella della famiglia Van der Beurse (locandieri, consulenti finanziari, agenti immobiliari), il cui nome è all’origine della Borsa (2) attuale, facilitavano notevolmente gli scambi finanziari, frammischiando piccoli accordi e protezioni di mercanzia.
A Gand, Ypres o Lille, la fabbricazione dei panni di lana, di cui i pittori fiamminghi sono stati i più famosi rappresentanti di commercio vestendo i loro personaggi con abiti luccicanti dalle pesanti pieghe, riempiva le casse dei maestri tessitori e apriva loro la via di accesso a un banco del Consiglio degli Assessori (Echevin). In uno spazio marcato da una mobilità sociale reale, questa dirigenza, provvista di una sufficiente capacità economica, riesce a farsi notare dagli ufficiali ducali e a completare la sua ascesa sociale, guadagnando, a sua volta, il mondo dell’amministrazione. Questa nuova dirigenza ottiene, ad esempio, cariche nelle due Camere dei Conti che erano state insediate a Digione e a Lille nel 1386, sul modello della Camera reale dei Conti di Parigi, per Digione, e nella continuità dell’amministrazione comitale fiamminga, con sensibili miglioramenti, per Lille. Altri borghesi entrano nei Consigli di Giustizia, che si riunivano ugualmente a Digione e a Lille e quindi, dal 1409, a Gand.
Sono i territori settentrionali del ducato che consentono ai Borgognoni di continuare a mantenere un alto livello di vita nel XV secolo, dopo la loro disgrazia presso il re di Francia, riorientando la presenza e la politica ducale verso queste terre di ricchezze e di baldorie, di cui una corte così raffinata, come quella di Filippo II il Buono, era particolarmente “ghiotta”. In effetti, il complesso territoriale dei domini del duca disponeva di diverse capitali e il potere dei duchi di Borgogna era risolutamente itinerante. Digione era evidentemente la capitale storica del ducato di Borgogna (e non dell’insieme); la città concentrava i prodotti vitivinicoli e specialmente il famoso vino di Beaune. E’ in questa città che le duchesse facevano nascere i loro figli e dove i duchi riposavano dopo la morte, nel monastero della Certosa di Champmol, necropoli assimilabile a una Saint Denis borgognona. Ma i duchi risiedevano a Digione molto raramente, a vantaggio di Parigi. Sotto Filippo III il Buono e Carlo il Temerario, al crescere dell’espansione verso Nord, la situazione cambia ancora a vantaggio di Lille, Bruges, quindi Bruxelles e Malines, capitali effimere e successive, se si accetta il principio che la residenza del principe costituisce l’eminenza del luogo.
Questo insediamento a Nord rispondeva di norma a esigenze sempre più importanti. Pur con la necessaria prudenza, alcune stime delle entrate del principe evidenziano il loro rapido aumento: il matrimonio di Filippo II l’Ardito con Margherita II di Male moltiplica le sue entrate, che passano dalle 125 mila lire tornesi medie per anno, alle 500 mila. All’inizio del principato di Carlo il Temerario le entrate ducali raggiungono le 780 mila lire tornesi e nel 1482 arrivano fino alla incredibile cifra di 1.800.000! Certamente il regno di Francia o la Repubblica di Venezia sono altrettanto ricchi e forse di più, ma il gusto di apparire, tipico dei Borgognoni, assicurava la pubblicità di questa opulenza esuberante, mentre la concentrazione dei prodotti di commercio e dell’artigianato nei Paesi Bassi provvedeva ampiamente alle lussuose richieste della corte e alle spese militari.

L’arte di governare

Le relazioni con le città del Nord non risultano tuttavia sempre così semplici. Queste città possedevano una identità forte consolidata sulle regole di uno scambio di diritti e di doveri fra principe e sudditi. L’ideologia urbana, sviluppata dopo il XII secolo nei territori del Nord alimentava una logica di patto feudale che faceva del principe un signore temuto e naturale, nei limiti delle sue obbligazioni nei confronti dei sudditi. Nelle Fiandre, dopo l’assassino del conte Carlo I il Buono nel 1127, le potenti città di Saint Omer, Gand, Ypres o Bruges avevano negoziato l’appoggio ai nuovi conti in cambio del rispetto delle loro libertà, consacrate in documenti. Qualche secolo più tardi, nel Brabante, la fragilità della duchessa Giovanna di Brabante porterà le assemblee legislative del popolo brabantino a imporre, nel 1356, un testo di valore quasi costituzionale, la Joyeuse Entrée. In questo atto, i duchi e le duchesse del Brabante promettevano di sottomettersi al parere dei capi della città e di qualche rappresentante dei signori territoriali laici o ecclesiastici per decidere qualsiasi azione di guerra, ogni nuova imposta o emanazione di diritti individuali… La forza di questi contratti politici si scontrava con la cultura della sovranità di tendenza assolutista, proprio come quella incarnata dai duchi di Borgogna.
Ma queste divergenze di fondo non impedivano alle città medievali di pagare gli aiuti ai quali esse erano tenute e di inserirsi in un regime politico che le poneva sotto l’egida di un principe rispettoso dei loro costumi. Senza pretendere all’autonomia, a differenza delle città stato italiane, nate dal rifiuto della tutela del papa e del loro signore, le città del Nord del ducato accoglievano i loro signori fino a che questi ultimi mantenevano e rispettavano i loro privilegi.
D’altronde, anche quando Jacob van Artevelde era diventato padrone di Gand, in occasione della rivolta del 1338-1345, quest’ultimo non fa della città un’entità indipendente, ma riconosce la sovranità di Edoardo III d’Inghilterra come re di Francia e d’Inghilterra sulla Piazza del mercato del Venerdì (la Vrijdagmarkt) nel gennaio del 1340. Il contesto rimaneva feudale e le città avevano sempre bisogno di un signore, il quale occorreva semplicemente che comprendesse la preminenza dei loro interessi. Nelle Confraternite, come quella dell’Albero secco a Bruges, durante le festività locali, allo stesso modo del torneo dell’Epinette a Lille, nel contesto delle grandi processioni fondatrici, che vengono denominate ommegangen in terra olandese, dedicate alla Vergine, sia essa quella della Treille a Lille, del Santo Cordone a Valenciennes, degli Ardenti ad Arras o del Sablon a Bruxelles, i principi e le loro corti si confondevano con le dirigenze locali, sotto lo sguardo del popolo. Nelle Camere di Retorica (società letterarie apparse nel XV secolo nelle città filo olandesi dei vecchi Paesi Bassi), poeti urbani e scrittori curiali entravano in una competizione erudita e ludica. I loro membri, appartenenti alla dirigenza e all’aristocrazia urbana (gli schrijvers e rederijkers) partecipavano ai divertimenti cittadini (cerimonie, entrate solenni, concorsi lirici…). L’implicazione delle Camere di Retorica per l’edificazione spirituale delle città, ma anche per mantenere sveglia la loro coscienza civica si rilevava nel corso di numerosi concorsi organizzati in tutto il territorio.
I testi declamati sulle piazze pubbliche, come ad esempio quelli di Anthonis de Roovere a Bruges, cantavano le glorie della città, ma anche quella del principe, in una propaganda abilmente orchestrata e distribuita in occasione di predicazioni dei fratelli mendicanti.

La svolta centralizzatrice

Il segreto di questo buon governo borgognone si basava su tre pilastri: una rete di uomini riconosciuti per influenza, notorietà e saper fare, siano essi nobili o provenienti dal popolo; la duplicazione di un modello adattato al territorio acquisito; le città come crogiolo delle culture urbane e principesche. L’amministrazione, che rispettava le lingue locali, le istanze piramidali, che schierava agenti del principe in tutti i territori e, soprattutto, la capacità di relazionarsi dei signori, che assumevano il ruolo di cortigiani del potere, hanno rappresentato allo stesso tempo una forza e una debolezza di questo tipo di governo che si basava essenzialmente su reti di azione.
La svolta centralizzatrice e “depersonalizzata”, iniziata con Carlo il Temerario, viene a intaccare la fiducia e mette in evidenza, con il suo fallimento, che gli spiriti non erano ancora pronti per una rivoluzione di governo di questo tipo. In tale contesto, la sua morte brutale provoca una rivolta quasi immediata. Approfittando della fragilità della sua erede Maria di Borgogna, i rappresentanti dei conti e dei ducati (Fiandre in testa) esigono l’abolizione del Parlamento di Malines e proclamano il ritorno in forza degli usi e costumi locali nel quadro del Grande Privilegio della Primavera del 1477. Come primo provvedimento Guillaume Hugonet (Cancelliere delle Fiandre) e Guy van Brimeu, signore d’Humbercourt, i due ufficiali ducali che incarnavano la politica centralizzatrice giudicata iniqua, vengono processati e decapitati il 3 aprile 1477 sulla Vrijdagmarkt di Gand. A questo punto Maria di Borgogna (sposa di Massimiliano I d’Asburgo) può finalmente fare il suo ingresso e iniziare un nuovo principato come duchessa di Fiandra, del Brabante e di Borgogna (nominale), nel quale la “fede di Borgogna” andrà ben presto a rinforzare le pretese universali degli Asburgo, ricordate nel motto delle vocali AEIOU (Austriae Est Imperare Orbi Universo, ovvero Spetta all’Austria dominare il mondo).
La dissoluzione del Grande Principato alla morte del Temerario dimostra che, alla fine del Medioevo, una entità composita, sebbene solidamente costruita e basata su infrastrutture perfettamente regolate, non è stata sufficiente a tenere uniti popoli i cui usi e costumi culturali dimostrano ancora oggi di possedere contrastanti tendenze fra federalismo e centralizzazione. Come uno specchio messo di fronte all’Europa di oggi, l’epopea borgognona ci ricorda che lo Stato non è un organismo senz’anima e che senza spirito comunitario, voluto, pensato, e immaginato, il suo destino si limita, più semplicemente, ai miraggi vaporosi ed effimeri dell’illusione.

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Note
(1) Appannaggio. Territorio della Corona ceduti ai figli cadetti del re di Francia, ma che devono rientrare nel demanio reale in caso di rottura di successione. Luigi XI approfitta della morte del Temerario nel 1477 per riprendere, illegalmente, all’unica figlia erede, Maria, un ducato che egli assimila ad un appannaggio e rifiutando di riconoscere il dono effettuato da Giovanni II il Buono.
(2) Borsa. Il termine “borsa”, nel senso di piazza di scambio, viene dal nome della famiglia Van der Beurse che, a Bruges nei secoli XIV e XV, facilitava gli scambi fra i mercanti del Nord e del Sud, offrendo loro nella loro taverna, e successivamente sulla piazza Ter Beurse, un luogo protetto ed informato per le loro transazioni.