BENEDETTO MANDINA, INQUISITORE DA MELFI

di Michele Strazza -

 

Da un calcio di cavallo alla conversione: la parabola di Benedetto è quella di un predestinato. Come vescovo di Caserta, sul finire del XVI secolo, combatte la corruzione del clero e rischia pure un avvelenamento.

 

Nato a Melfi il 12 gennaio 1548 da Nicola, nobile di Rapolla, e Isotta, Benedetto Mandina si dedica agli studi giuridici a Napoli dove la stessa famiglia si trasferisce, specializzandosi in diritto canonico e penale.
Dopo essersi addottorato in “utroque iure”apre uno studio legale nella città partenopea, ma i successi professionali vengono subito interrotti a causa di un incidente. Un calcio di cavallo, infatti, lo costringe ad un riposo forzato per molti giorni che egli trascorre in profonde riflessioni culminanti nella decisione di interrompere ogni impegno professionale e di entrare nell’ordine dei Teatini. Negli ambienti napoletani della congregazione incontra Andrea Avellino di Castronuovo il quale, riconoscendone le singolari doti, diventa il suo mentore.
Ordinato sacerdote a Roma nel 1586, approfondisce gli studi di teologia e filosofia, attirando subito l’attenzione di diversi cardinali e dello stesso papa Gregorio XIV. E’ proprio quest’ultimo a proporgli le sedi vescovili di Novara, prima, e di Melfi, poi.
Benedetto Mandina rifiuta ma nel 1594, di fronte alla uguale proposta del successivo papa Clemente VIII per la diocesi di Caserta, è costretto ad accettare. Quella sede vescovile, infatti, versa in condizioni caotiche con un clero ignorante e corrotto.

benedetto_mantinaMentre si sta dedicando all’importante opera di risanamento morale, il papa gli prospetta un nuovo incarico. Viene, infatti, inviato in Polonia per convincere i principi polacchi a superare i propri dissidi con l’Imperatore e l’Ungheria e fare fronte comune contro la minaccia turca. Se, infatti, non si fossero mosse le armi dei principi polacchi, poteva succedere che i Turchi dilagassero in Europa, travolgendo l’Ungheria, la Transilvania, la Moravia e la stessa Polonia, facendo strage, riducendo i cristiani in servitù e le loro donne al mercimonio. Con l’aiuto di Dio la vittoria sarebbe stata sicura. Nonostante l’accorato appello pronunciato nell’orazione di Varsavia il 3 aprile 1596 (De foedere cum Christianis contra Turcam paciscendo) per la formazione di una lega cristiana per la guerra santa, l’alleanza non nasce a causa del perdurare dei motivi di conflitto.
Ritornato a Caserta, riprende la sua attività di risanamento morale, non dimenticando il restauro della locale cattedrale e l’assistenza ai più poveri. Le sue iniziative disciplinari nei confronti del clero, ma anche il suo eccessivo rigore nei confronti dei fedeli, finiscono, tuttavia, per inimicargli la città.
E qui, secondo le fonti della congregazione, sarebbe avvenuto un vero e proprio attentato alla vita del Mandina. Se dobbiamo credere a queste notizie, egli si accorge della presenza di un veleno mortale nel calice usato per la messa, riuscendo a salvarsi pur se a prezzo di una lunga convalescenza.

Nel 1598 è nominato ministro del Sant’Uffizio per il Regno di Napoli, iniziando, così, la sua carriera di inquisitore.
Partecipa ad importanti processi. E’ consultore a Roma nelle fasi finali del procedimento giuridico contro Giordano Bruno conclusosi con la condanna al rogo del filosofo l’8 febbraio 1600. In quello stesso anno è protagonista anche del processo contro Tommaso Campanella, subentrando al deceduto giudice vicario dell’Inquisizione napoletana. Questa volta, però, è il papa stesso che non vuole la condanna a morte e Mandina, pur convinto della simulazione della pazzia da parte del filosofo, non insiste per la pena capitale, optando per il carcere perpetuo.
Dopo diversi incarichi amministrativi assolti a Caserta e Napoli, la sua attività di inquisitore si scontra con il potente cardinale Camillo Borghese, allora segretario generale del Sant’Uffizio. Accusato di aver abusato del proprio potere in danno di un convento domenicano in terra d’Abruzzo, Mandina viene sollevato dall’incarico e, poi, costretto a lasciare Caserta per dimorare a Napoli nel convento di San Paolo Maggiore dove muore il 2 luglio 1604. Viene seppellito a Santa Maria degli Angeli.