ASSEDIO A TSINGTAO, LA SINGAPORE TEDESCA IN CINA
di Max Trimurti -
Nel settembre 1914 la colonia tedesca viene assediata dall’esercito e dalla marina giapponesi. Le ambizioni di Tokyo sulla porta di accesso alla Cina del nord si realizzano in poche settimane di feroci combattimenti.
Quando nel novembre 1897 l’ammiraglio Otto von Diederichs (1843-1918) fa sbarcare le sue truppe di fanteria di marina tedesca sulla penisola di Kiao Ciu nella Cina del nord, non può immaginare che quel modesto villaggio di pescatori sarebbe diventato nel giro di qualche anno una città moderna di 60 mila abitanti e che lì, 17 anni più tardi, il Reich guglielmino avrebbe capitolato davanti all’esercito giapponese.
La vetrina del colonialismo tedesco
Territorio concesso in affitto dalla Cina per 99 anni, l’enclave di Tsingtao è stato rapidamente posto dalla Germania sotto statuto coloniale e presenta la particolarità, fra tutti i territori ultramarini acquisiti da Berlino alla fine del XIX secolo, di rimanere sotto l’autorità della Marina imperiale. Sfruttando i gravissimi disordini che scuotono la Cina prima della caduta, nel 1912, della dinastia Manciù, le autorità tedesche iniziano con notevole rapidità e acuto senso degli affari a trasformare la piccola regione in un attrattivo centro industriale e commerciale, spesso paragonato alla vigilia della Grande guerra a Hong Kong o Singapore.
A partire dal suo porto, che accoglie dal 1911 più di 600 navi cargo all’anno, le potenti compagnie di navigazione della Germania del nord solcano le rotte dell’Estremo Oriente e dell’oceano Pacifico. Praticando dumping tariffario (abbassamento concorrenziale dei prezzi), le compagnie tedesche si impadroniscono di mercati fino a quel momento controllati essenzialmente dalle società britanniche. Vengono investiti 75 milioni di marchi nella costruzione di ferrovie nella ricca e vicina regione dello Shantung e, al di là, in direzione di Tientsin, Nanchino e Pechino. Parallelamente, le società tedesche acquisiscono le principali miniere di ferro e di carbone della regione. In tal modo si mette in opera un “circuito virtuoso di sviluppo”, con le industrie dell’interno che alimentano il traffico del porto, che, a sua volta, consente di approvvigionare la colonia di macchine utensili e prodotti finiti. Ogni anno migliaia di cinesi vengono a stabilirsi all’interno della concessione tedesca.
L’amministrazione imperiale tedesca costruisce, a fianco del vecchio villaggio cinese, una grande città europea moderna. E consacra una gran parte dei suoi investimenti alla creazione di un potente insieme fortificato, organizzato fronte al mare e anche sul fronte di terra, con due sistemi difensivi appoggiati sulle linee forti del terreno. La guarnigione della colonia, oltre a qualche poliziotto e doganiere, è essenzialmente costituita dal 3° Battaglione di fanteria di marina, una compagnia cinese inquadrata da ufficiali e sottufficiali tedeschi e da un battaglione (gruppo) di artiglieria di marina, per un totale di circa 1500 uomini in tempo di pace.
Infine, la rada serve da base alla squadra navale tedesca dell’Estremo Oriente che assicura, attraverso un pattugliamento permanente, la sovranità tedesca su un gruppetto di isole e di arcipelaghi. Questa squadra, agli ordini dell’ammiraglio Maximilian Johannes Maria Hubert Graf von Spee (1861–1914), effettua crociere per diversi mesi in tutto il Pacifico, minacciando le comunicazioni marittime britanniche e suscitando a Londra una viva preoccupazione.
Le ambizioni giapponesi
Dopo la vittoria con la Russia nel 1905 e il suo insediamento permanente in Corea – posta sotto statuto coloniale a partire dal 1911 – il Giappone è diventato una potenza regionale che non nasconde più le sue ambizioni sulla Cina del nord. L’impero del Sol Levante, legato al Regno Unito da un trattato di alleanza, dispone di ingenti e moderne forze terrestri, ma anche di una marina da guerra possente, che fa concorrenza in tonnellaggio con quella degli Stati Uniti o della Francia. Nel momento in cui in Europa si succedono le dichiarazioni di guerra nel corso del mese di agosto del 1914, il Giappone dichiara inizialmente la sua neutralità, ma il governo del primo ministro Shigenobu Okuma (1838-1922) fa sapere, in ogni caso, di tenersi pronto a intervenire a fianco della Gran Bretagna. Tuttavia, negli ambienti vicini al barone (danshaku) [1] Takaaki Katō (Hattori Sokichi) (1860-1926), ministro degli Affari Esteri, come anche nell’Alto Comando nipponico, il conflitto appena iniziato appare come una formidabile opportunità per accrescere sensibilmente e a basso costo, l’influenza nipponica sulla Cina continentale, mentre l’attenzione e gli sforzi delle potenze coloniali risultano orientati verso i fronti europei. Dall’8 agosto le navi giapponesi di passaggio lasciano il porto di Tsingtao e contemporaneamente le truppe giapponesi stazionanti in Corea vengono messe in preallarme.
Mentre le cancellerie occidentali lasciano correre delle voci sulla possibilità che la Germania possa riconsegnare Tsingtao alla Cina, fatto che darebbe a Pechino la possibilità di sfruttare le potenti fortificazioni con il risultato di disturbare non poco gli sforzi giapponesi nella regione, Tokio decide di intervenire direttamente. Con il pretesto della minaccia che le navi della squadra dell’Estremo Oriente farebbero pesare sulla pace e il commercio nel Pacifico, il Giappone esige, il 15 agosto 1914, che il Reich ritiri immediatamente la sua flotta da guerra e gli consegni la colonia. L’ultimatum è accompagnato da un termine di scadenza di otto giorni e, davanti alla mancanza di una risposta tedesca, il Giappone entra in guerra il 23 dello stesso mese.
Questo allargamento delle operazioni militari all’Asia, giustificato dalla sola volontà espansionista nipponica viene effettuato al di fuori da qualsiasi accordo con gli Alleati: i Britannici non ipotizzano di modificare il fragile statu quo cinese; i Francesi consacrano tutta la loro attenzione alla metropoli e ripiegano sull’Indocina; i russi completano il trasferimento dell’essenziale dei loro effettivi verso il loro fronte occidentale, polacco e galiziano. Il Giappone pensa, più semplicemente, di poter approfittare della guerra che si è scatenata dall’altra parte del mondo fra gli Stati coloniali europei per accrescere la sua influenza regionale e imporre un protettorato di fatto a una Cina in decadenza.
L’assedio della piazzaforte
A partire dal 27 agosto 1914 la marina giapponese organizza il blocco della piazzaforte. Le prime truppe nipponiche, al comando del generale Mitsuomi Kamio (1856-1927), sbarcano a partire dal 2 settembre a rispettosa distanza dalla città di Tsingtao, nella parte settentrionale della baia di Kiao Ciu. Il capitano di vascello tedesco Alfred Meyer Waldeck (1864-1928), governatore della città, nell’impossibilità di essere sostenuto dalla madrepatria, mobilità i residenti tedeschi e organizza la difesa. Alle truppe permanenti della guarnigione e ai riservisti si aggiungono gli equipaggi delle navi ormai bloccate nel porto e un contingente non trascurabile di cittadini austroungarici (marinai e commercianti, ma anche soldati delle compagnie di protezione del quartiere delle legazioni di Pechino). In totale, il capitano dispone di un po’ meno di 6 mila uomini, ai quale egli indirizza un proclama marziale che sottolinea la sua volontà di resistenza: «Se il Giappone vuole Tsingtao, che venga a prendersela. Esso ci troverà nei nostri posti di combattimento».
Sorpresi dalla rapidità dello spiegamento delle forze nipponiche e preoccupati di non lasciare al solo Giappone il beneficio di una vittoria sulla Germania, gli Occidentali reagiscono in ordine sparso. I Francesi, che dispongono di effettivi limitati in Estremo Oriente e sono in pensiero per la stabilità dell’Indocina, non sono in condizioni di inviare nessun combattente e si accontentano di proporre un simbolico sostegno navale. I Britannici mettono insieme in tutta fretta, partendo dalle loro concessioni cinesi e da Hong Kong, un piccolo Corpo di Spedizione di circa 1400 uomini, posto sotto il comando di un ufficiale generale, il cui ruolo è in primo luogo politico, e riuniscono una squadra di circa sei navi piuttosto obsolete. I Giapponesi, con circa 30 mila uomini schierati a terra [2] e la seconda squadra navale [3], al comando del vice ammiraglio barone Sadakichi o Teikichi Kato (1861-1927), composta da un centinaio di navi di tutti i tipi, forniscono, in definitiva, la quasi totalità degli assedianti e sono determinati ad appropriarsi di tutti i benefici dalla attesa vittoria.
Nel corso del mese di settembre 1914 la colonia tedesca viene totalmente investita, separata dall’entroterra cinese e isolata dal mondo esterno dal blocco navale. I Giapponesi, padroni del mare, sono anche padroni della terza dimensione, dove impegnano diverse squadriglie di aerei per sorvegliare i movimenti tedeschi. Essi schierano metodicamente le loro batterie d’artiglieria pesante e organizzano il terreno della loro base di partenza. Alla fine del mese, la piazza è completamente circondata e dopo le scaramucce iniziali e qualche scambio di artiglieria, comincia la battaglia.
Le ganasce della morsa si stringono
La battaglia ha inizio il 26 settembre, quando le truppe schierate sul terreno lanciano un assalto generale contro le difese esterne a nord della città. In 48 ore i Giapponesi, che surclassano numericamente i Tedeschi, si impadroniscono delle alture sulle quali possono schierare le loro artiglierie. A partire dal 28 settembre, la piazzaforte viene sistematicamente bombardata da centinaia di bocche da fuoco. Sottoposta a un vero e proprio diluvio di fuoco la colonia riuscirà, tuttavia, a resistere per sei settimane.
I pezzi giapponesi distruggono i diversi centri di resistenza e colano a picco le navi presenti nel porto. Gli edifici ufficiali crollano sotto i colpi. Le installazioni indispensabili alla vita delle truppe e della popolazione (centrale elettrica, sistema idrico, depositi ecc.), incendiati o gravemente danneggiati, diventano, a poco a poco, inutilizzabili. Per tutto il mese di ottobre 1914 la situazione tattica per i Tedeschi non smette di aggravarsi. Attacco dopo attacco, i Giapponesi si impadroniscono dei principali punti di appoggio tedesco e riducono al silenzio le batterie costiere. Il 31 ottobre, giorno dell’anniversario dell’Imperatore Guglielmo II, viene lanciata una nuova offensiva, appoggiata da un terribile fuoco d’artiglieria. Le artiglierie delle navi da guerra nipponiche si accaniscono con un diluvio di fuoco contro il ridotto centrale tedesco. Le ultime navi bloccate nel porto, i cui pezzi di grosso calibro erano rimasti operativi, vengono colate a picco.
La capitolazione
La prima settimana di novembre registra una serie di rovesci locali per i difensori, le cui capacità di resistenza diminuiscono giorno per giorno. Se la fanteria di marina moltiplica i contrattacchi nei punti più delicati, essa non dispone più dell’appoggio dell’artiglieria della piazzaforte e, soprattutto, comincia ad avere carenza di acqua. Costretti ormai a combattimenti di ritardo e logoramento, i Tedeschi danno fondo alle loro riserve di munizionamento, ma non possono più opporsi veramente al “rullo compressore” giapponese, che li schiaccia numericamente e materialmente.
Il 7 novembre 1914, di mattino, il governatore Meyer Waldeck fa issare la bandiera bianca e avvia le trattative con il comando giapponese. La situazione materiale degli assediati è talmente disastrosa che i negoziati si concludono rapidamente, con una capitolazione pura e semplice della guarnigione nel corso della stessa serata. Più di 4 mila uomini vengono internati in Giappone, da dove saranno in gran parte rimpatriati nel 1920. Il 5 dicembre 1914, il barone Funickehi assume ufficialmente le sue funzioni di governatore giapponese della piazzaforte. Tokio avvia, in tal modo, i suoi sogni di espansione territoriale nella Cina continentale.
Ricordo di Tsingtao
La capitolazione di Tsingtao, soprannominata “perla del’impero coloniale tedesco”, viene sentita come una umiliazione a Berlino, dove, tuttavia, si pensa che la sorte delle colonie verrà regolata sui campi di battaglia europei. A partire dal 14 dicembre 1914 il barone Takaaki Kato precisa, davanti al Parlamento giapponese, che «il Giappone non ha assunto impegni con nessuna potenza per quanto concerne la restituzione di Kiao Ciù alla Cina» e si considera «libero di esaminare la questione alla fine della guerra».
Nel 1919 il Trattato di Versailles, quindi gli accordi nippo-americani, riconosceranno il controllo del porto e della città al Giappone e i “suoi interessi particolari” in Cina. Nel 1922 il territorio verrà recuperato dalla Repubblica della Cina, per essere poi riconquistato dal Giappone nel 1938. Oggi, della presenza tedesca in questa regione, rimane agli occhi del mondo, un monumento, il Diederichsstein, qualche bell’edificio guglielmino e una marca di birra…
Note
[1] Il grado di barone (danshaku) faceva parte del sistema aristocratico giapponese denominato Kazoku. Il Kazoku (letteralmente “Magnifico/Esaltato lignaggio”) era il sistema ereditario aristocratico dell’Impero del Giappone, che è esistito dal 1884 al 1947. Discendente dal sistema dei Damyo e dei Samurai, il nuovo sistema, nato nel periodo Meiji, deriva dalla legge del 7 luglio 1884, proposta dal principe (koshaku), primo ministro, Hirobumi Ito (1841-1909), a seguito della sua visita in Europa. La novità sostanziale stava nel fatto che l’imperatore giapponese estendeva lo status di aristocrazia ereditaria anche alle persone che avevano reso eminenti servizi alla nazione. A tal fine la nuova legge stabiliva cinque gradi di nobiltà, derivati dal sistema inglese, ma con titoli derivati dalla vecchia nobiltà cinese: Principe o Duca (kōshahu), Marchese (kōshaku), Conte (hakushaku), Visconte (shishaku), Barone (danshaku).
Il grado più elevato, quello di principe-duca (koshahu), viene inizialmente assegnato alle cinque case-reggenti (go-seike) della dinastia Fujiwara (Konoe, Takatsukasa, Kujò, Ichijò e Nijò), mentre i capi delle altre case principali (Daigo. Hamuro, Kumamoto, Hirohata, Kazan’in, Kikutei, Koga, Nokamikado, Nakayama, Oinomikado, Saga, Sanjo, Saionji, Shijò, Tokudaiji e Shò; ad essi si aggiungerà anche la famiglia Yi o Lee, della dinastia imperiale coreana dei Joseon) ricevono il titolo di marchese (koshaku).
[2] Il Corpo di Spedizione giapponese impiegato contro Tsingtao era formato dalle seguenti forze: la 18ª divisione di fanteria formata dalla 23^ brigata di fanteria composta a sua volta dal 46° e dal 55° reggimento), più la 24^ brigata di fanteria (48° e 56° reggimento); il 22° reggimento di cavalleria, il 24° reggimento di artiglieria da campagna (composto da sei batterie ciascuna su sei pezzi), un battaglione di genieri, un battaglione di logistica, sezioni di eliografi e sanitarie e, probabilmente, un battaglione di artiglieria da montagna (formato da due batterie da quattro pezzi ciascuna). Risultava anche disponibile la 29ª brigata di fanteria (composta dal 67° reggimento di fanteria più un battaglione appartenente al 34° reggimento). La 6^ e 12^ divisione di fanteria fornirono al corpo di spedizione due battaglioni addetti alla logistica e ai servizi, due battaglioni del genio e due battaglioni di ferrovieri. L’artiglieria d’assedio era formata da un distaccamento di artiglieria navale e dai reggimenti di artiglieria pesante Miyama e Yokosuka, affiancati dai battaglioni di artiglieria pesante Shimonoseki e Tadanoumi. Nel corso dell’assedio di Tsingtao, i Britannici schierarono (oltre ad alcune unità della Marina) il 2° battaglione South Wales Borderers, rinforzato da due compagnie di fanteria del 36° Reggimento Sikh;
[3] La Seconda Squadra Giapponese era formata da cinque vecchie corazzate (prede belliche russe della guerra del 1905): Suwo, Iwami, Tango, Okinoshima, Mishima; dagli incrociatori corazzati Iwate, Tokiwa, Yakumo; dagli incrociatori leggeri Chitose, Tone, Mogami, Yodo Akashi, Akitsushima, Chiyoda, Takachiho; da 24 cacciatorpediniere, da quattro vecchie cannoniere; da 11 siluranti-dragamine e dalla portaidrovolanti Wakamiya. Completavano la Flotta, diverse navi da appoggio e 26 trasporti.
Per saperne di più
Artelt, Jork, Tsingtau: Deutsche Stadt und Festung in China 1897-1914 – Droste, 1984.
Burdick, Charles B., The Japanese Siege of Tsingtao – 1976
Rosselli, Alberto, L’assedio e la battaglia di Tsingtao, 1914, in “Storiaverità”, agosto 2012