ALCUNI ASPETTI DI STORIA RELIGIOSA POPOLARE

di Pier Luigi Guiducci -

Può capitare di osservare dei comportamenti religiosi atipici, che in nome di una “moda” o nel segno di un “rinnovamento” apportano modifiche eterodosse a rappresentazioni artistiche cristiane dotate invece di significati molto chiari. Ecco qualche esempio.

Nel cammino della Chiesa, ieri come oggi, può capitare di osservare in taluni ambienti dei comportamenti religiosi atipici. Questi, in nome di una certa “moda”, nel segno di un non chiaro “rinnovamento”, apportano modifiche a rappresentazioni artistiche cristiane che possiedono significati molto chiari. Si pensi, ad esempio, alle nuove raffigurazioni di certi crocifissi moderni. Unitamente a ciò, emergono pure delle convinzioni, delle abitudini, delle dinamiche religiose, che hanno alla base degli orientamenti, delle tesi, ove si profila una realtà eterodossa. Per tale motivo, sul piano storico, può essere utile indicare alcuni esempi, e spiegare dei contenuti chiave della dottrina cattolica.

I disegni di alcuni crocifissi

The Freedom of the Press, 1797 (coloured engraving)In taluni artisti moderni si è diffusa la convinzione che occorre rappresentare il Crocifisso in modo “nuovo”. Tale corrente di pensiero considera non adatto all’attuale periodo l’immagine di un uomo condannato, agonizzante sulla croce. In pratica, si vuole cancellare la rappresentazione di un “perdente”, di una “vittima”, di un “fallito”, di un “vinto”. Da tale posizione sono state realizzate opere “alternative”.
Sono stati messi in vendita dei nuovi crocifissi ove l’uomo che patisce, che agonizza, non esprime tragedia, dramma, e – soprattutto – non presenta un volto deturpato dai segni della Passione. Anche il legno della croce, strumento di morte, subisce una radicale modifica. Da una parte l’artista cancella l’aspetto del dolore, dall’altra disegna un soggetto anonimo che non “turba” nessuno, che può essere utilizzato anche come semplice oggetto di decoro ambientale o personale. Proprio con riferimento a quest’ultimo aspetto si osservano opere religiose ove predomina l’oro, l’argento, la pietra preziosa, e dove anche dei crocifissi di non modeste dimensioni divengono monili venduti per adornare il collo di figure femminili.
In tale contesto, rimangono significativi – sul piano storico – dei dati: il crocifisso rimanda a una Via Crucis ove anche un semplice fedele sa riflettere sulle cadute, le ingiurie, le provocazioni, le ultime parole di amore; ma, soprattutto, il crocifisso testimonia la Passio di un innocente e rimanda a un messaggio di salvezza che genera speranza; nel crocifisso, quindi, la vita di Dio si incontra con la vita dell’umanità, e ogni dolore non è un fatto privo di valore, da dimenticare, ma è un offertorio al Padre unito al sacrificio dell’unico Redentore.

Culto a Dio presente e devozioni personali

Oltre alle trasformazioni artistiche dei crocifissi, può essere utile ricordare un altro fatto. Nell’attuale periodo, le devozioni personali, pur significative (attestano un cammino dell’anima), sembrano – in taluni casi – assumere quasi un sopravvento sulla centralità del culto eucaristico. Alcuni studiosi cercano di interpretare tali comportamenti “leggendo” una dinamica di “immediata rassicurazione”, di “intesa privata”. In pratica, si considera la “concretezza” della vita di un santo o di una santa, e la “fama” a loro attribuita. Si pensi, ad esempio, ad Antonio da Padova (il taumaturgo), a Rita da Cascia (la santa dei casi impossibili), a Pio da Pietrelcina (il santo dei miracoli).
Anche se la Chiesa non ha mai devalorizzato il culto dei santi, può essere utile, però, ricondurre l’attenzione dei fedeli su un punto chiave: l’azione “taumaturgica” (= che attua miracoli) dei santi non è legata a qualità particolari del soggetto, a sue proprietà straordinarie. Piuttosto, costituisce uno strumento attraverso il quale “passa” la misericordia di Dio. In definitiva, il santo (o la santa) è colui che “intercede” rivolgendosi alla fonte del dono, della protezione, dell’assistenza spirituale: Dio stesso. L’anima in cammino verso la casa del Padre, infatti, ha in Dio il fine ultimo, e nella presenza del Signore risorto il riferimento quotidiano.
Da questa constatazione deriva un’evidenza. Chi entra in una chiesa deve essere consapevole che i suoi passi, il suo sguardo, il suo “motus animi”, si rivolgono verso colui che è la presenza per eccellenza: Gesù eucaristico mostrato (ostensione) in modo velato nel tabernacolo.
Tale sottolineatura è essenziale per non deviare verso forme di religiosità che potrebbero privilegiare solo degli atti esterni, fino ad arrivare – di fatto – a rituali scaramantici. In tal senso, la presenza di un tabernacolo in ogni chiesa costituisce il luogo centrale di una comunità cristiana. E rimane il luogo delle benedizioni e delle grazie divine.

La contemplazione della Santissima Trinità

Rappresentazione della SS. Trinità

Rappresentazione della SS. Trinità

La precedente riflessione, che evidenzia il primato di Cristo presente nell’Eucaristia, aiuta adesso a considerare una realtà divina ancor più estesa: quella che riguarda la Santissima Trinità. Nell’attuale periodo pare emergere, in talune occasioni, una tendenza a separare tra loro le tre Persone divine. In pratica, si accentua un’attenzione a una singola Persona divina togliendo di fatto l’intima comunione che la lega alle altre due Persone. E soprattutto, non si considera il fatto che la SS. Trinità opera sempre in modo congiunto. Non esistono azioni che esulano da una realtà comunionale.
Può quindi essere utile una prima considerazione riguardante Dio Padre. Pare, in alcuni momenti, di assistere a un depauperamento della contemplazione rivolta alla sua persona. Il Padre a volte è “visto” come una realtà incombente ma distante. Periodicamente, è “recuperato” – diciamo così – quando occorre commentare alcuni passi del Vangelo. Si pensi, ad esempio al “Padre nostro” (Lc 11,1-4). La mente, poi, tende a ricordare il padre che accoglie il ritorno del figlio prodigo (Lc 15, 11-32).
In particolare, nella tendenza ricordata, avviene di fatto un allontanamento da un dato-chiave. Quando i fedeli recitano il “Credo”, affermano fin dall’inizio una realtà consolante. Professano in particolare: “Credo in un solo Dio, Padre onnipotente …”. Il riferimento al “Creatore del cielo e della terra” avviene dopo, non prima. Questo significa che anche la Creazione costituisce una delle manifestazioni di Dio. Ogni sua azione, in sintesi, è una realtà dinamica, capace di creare in modo continuo. E tutto manifesta un’opera ove il “motus animi” è l’amore.
La tendenza, di frequente sottesa, a “separare” tra loro le tre persone della SS. Trinità ha avuto anche l’effetto di isolare – in un certo senso – la stessa figura di Gesù Cristo. Si trovano, al riguardo, delle presentazioni che assumono talvolta connotati eterodossi. Specie in alcuni testi per ragazzi, si insiste a presentare il Messia come l’amico, il fratello, il compagno. Nelle intenzioni di taluni autori, probabilmente, si vuole accentuare: la confidenza con Gesù (= l’amico), la comprensione che manifesta il Figlio di Maria (= fratello) e la compagnia del Nazareno lungo le strade della vita (= il compagno).
Tutto questo spinge a facilitare nel ragazzo un’immediatezza di incontro in una visione positiva. Si rischia, però, di perdere di vista una realtà essenziale: Gesù è prima di tutto il Figlio di Dio. È il Salvatore. È colui che rivela e testimonia il Padre facendo la sua volontà, e che promette e invia lo Spirito Paraclito (Spirito di Verità). Tale relazione divina (una natura in tre persone) è particolarmente significativa perché senza tali collegamenti si affievolisce (e alla fine viene meno) la visione del Disegno di Salvezza. Tale progetto divino è redentivo. Inoltre, si sviluppa con tre doni particolari: quello dello spirito, quello che riguarda la Chiesa e quello che fa riferimento ai sacramenti. Perdere di vista tale prospettiva sfigura l’annuncio cristiano, la Buona novella.
Nel contesto fin qui delineato, anche nei confronti dello Spirito Santo si osservano a volte dei ritualismi che rischiano di essere eterodossi. In particolare, nella vita della Chiesa sono emerse alcune esperienze di gruppo che non sembrano mantenere una sintonia con l’insegnamento cattolico. In tali vicende, c’è un’affermazione sulla quale è utile riflettere. Viene sottolineato in pratica che l’uso dell’invocazione è un passaggio obbligato per chiamare lo Spirito. Tali implorazioni devono essere di tipo continuativo. E devono provenire soprattutto da un’assemblea che ripete con profonda convinzione espressioni corali. Queste suppliche possono essere intercalate da preghiere, da riflessioni, da pause, da canti. Anche il gesto di alzare le braccia verso il cielo, anche il tono della voce, anche uno stato d’animo “proteso” verso l’alto, diventa un elemento importante per accentuare il “richiamo” espresso dal fedele, il “desiderio” di essere inondati dalla luce dello spirito.
Al riguardo, pur rispettando le buone intenzioni, può essere utile ricordare che lo Spirito Santo non è una persona divina che si trova “lontano” e che raggiunge i fedeli solo quando questi lo invocano. Lo Spirito è dono permanente nella Chiesa. È sempre presente nella Chiesa. Assiste ogni figlio di Dio. Guida alla verità. Opera all’interno del fedele, nella sua sfera spirituale. Ravviva nel viandante la carità in Dio. In tal senso, lo Spirito Santo non può avere “preferenze” di gruppi. Non è più “sensibile” verso alcune invocazioni e meno attento verso altre preci. Opera senza essere “chiamato”.
A questo punto, allora, è necessario comprendere il senso dell’orazione rivolta allo Spirito. In particolare, nelle espressioni liturgiche l’invocazione non è “chiamata” di un assente, ma è “adorazione” di Dio Presente. Lo stesso inizio dell’inno “Veni Creator Spiritus” esprime un atto di fede, di accoglienza e di sequela.

Alcuni fatti legati alla celebrazione eucaristica

Se la contemplazione della SS. Trinità è un fatto-chiave per ogni fedele, pure l’attenta comprensione del significato della messa [1] rimane un qualcosa di fondamentale. Per tale motivo, può essere utile far chiarezza anche su taluni comportamenti che non sembrano comprendere il mistero eucaristico nella sua pienezza.
A volte qualcuno si chiede: “ma fino a quando è buona (valida) la messa?”. È la domanda dei ritardatari che ha un presupposto non esatto. Tutta la celebrazione della messa, in ogni suo aspetto, costituisce un evento unitario perché l’Eucaristia è un sacramento. Avvicinarsi a quest’ultimo, implica preparazione, raccoglimento, conoscenza delle letture, orazione, partecipazione spirituale agli atti compiuti dal sacerdote. Nel momento in cui il rito viene spezzato (una parte “anche” non “valida” e in una fase “valida”) si compie una cancellazione impropria: si esclude cioè l’ascolto della parola di Dio. Nell’insegnamento della Chiesa, però è proprio la “Dei Verbum” a illuminare sulla celebrazione della “Fractio Panis”, conducendo ogni fedele al valore salvifico del sacrificio di Gesù, figlio di Dio.
Un’altra situazione, diversa dalla precedente, emerge in talune considerazioni di fedeli che hanno consegnato offerte per la celebrazione di una messa in suffragio dei propri cari. In tale contesto, può capitare che il sacerdote dimentichi di citare il nome del defunto durante il rito. Può anche succedere che il celebrante pronunci in modo errato il nome o il cognome di una persona deceduta o di una famiglia che ha ormai lasciato la vita terrena. In tale realtà, sono state diverse le contestazioni rivolte al sacerdote nella convinzione che nessun beneficio spirituale sarà recato al loro caro o ai loro cari.
Tale convinzione, che si sostiene con un ragionamento di tipo giuridico, non tiene conto però di un concetto chiave: la Chiesa è corpo mistico [2]. Questo significa che ogni iniziativa umana, ma anche ogni intenzione umana, ogni desiderio, ogni preghiera per i defunti, si colloca all’interno del cuore di Dio ove tutto viene accolto, e da dove la grazia divina si diffonde anche verso ogni anima del Purgatorio. In concreto: un celebrante può scordare un nome, ma non lo dimentica il Signore. Perché Lui vede nei cuori. E un sacerdote può anche pronunciare in modo errato il nominativo di un defunto, ma il figlio di Dio lo conosce perfettamente. Per tale motivo, si può anche ripetere il nominativo del defunto (se questo rasserena il fedele) in un’altra celebrazione, ma rimane un fatto: quello che sfugge agli uomini non sfugge a Dio.

Le nuove corone del Rosario

Se la celebrazione eucaristica è l’evento centrale della vita della Chiesa, non sono comunque da devalorizzare anche degli itinerari di preghiera che favoriscono un avvicinamento della mente e del cuore a Dio, alla Madonna, ai santi. In tali percorsi, il fedele può utilizzare anche immagini, testi liturgici, canti religiosi ecc. Si può ricordare pure l’uso delle corone del S. Rosario [3]. A tal riguardo, sul piano anche storico, rimane utile considerare un dato. Nel procedere della Chiesa, la corona del Rosario è considerata un “iter perfectionis” e non un mero strumento per ricordare quante Ave Maria sono state recitate. “Iter” significa strada, percorso. Infatti, attraverso questa preghiera mariana si voleva (e si vuole) favorire un pensiero spirituale rivolto alla Madonna, una breve riflessione su un dato mistero della salvezza, e un mantenere la mente verso colei che è madre della Chiesa.
In periodi recenti, però, questo atto di amore e di affidamento verso la Vergine è stato in più casi sostituito da una prassi. Si tratta dell’acquisto di rosari di grandi dimensioni che vengono fissati al muro con chiodi. In tali situazioni, c’è un uso della corona mariana che devia dall’insegnamento della Chiesa. L’oggetto artistico, che facilita una preghiera personale e corale, perde il suo ruolo di supporto all’ascesi spirituale, e si riduce a una funzione di “addobbo”, di “abbellimento”, di fede ostentata senza (talvolta) una vita religiosa, fino a diventare un oggetto “portafortuna”, “beneaugurante”, una “protezione da avversità”.
Diventa necessario, a questo punto, recuperare una catechesi mariana che aiuti a far riscoprire il vero significato del culto verso la Madre di Dio. Non è infatti l’oggetto in sé che costituisce una “difesa”, un “elemento rassicurante”, una “protezione”, ma è il cammino di ogni fedele che costituisce un quotidiano atto di fede, di adorazione, di contemplazione, di orazione, e di affidamento. È in tale contesto che la filialità verso la Vergine ha un senso, e si traduce in un’interazione feconda e in una preghiera che utilizza anche la corona del Rosario.

La questione su alcuni testi musicali dell’Ave Maria

Oltre la corona del Rosario, anche un testo musicale religioso può favorire un itinerario della mente verso Dio. Al riguardo, esistono esempi positivi molto noti. La cronaca, però, ha riferito di talune vicende che sembrano generare tensione. Di che si tratta? Sono confronti non sereni tra sacerdoti e coppie prossime al matrimonio. La questione del confronto (a volte acceso) rimane legata al fatto che dei presbiteri si mostrano contrari a far eseguire in chiesa l’Ave Maria di celebri autori (parole e musica). La reazione di alcune coppie, ampliata dai media [4], ha creato disorientamento tra i fedeli. Da qui, l’utilità di comprendere meglio l’insegnamento ecclesiale.
Il testo musicale al quali si fa in genere riferimento è l’Ave Maria del compositore francese Charles François Gounod [5].
Nella sua forma originale l’opera è per violino con pianoforte. Questo autore la pensò sovrapposta al Preludio No. 1 in do maggiore dal I Libro del Clavicembalo ben temperato (BWV 846), composto da Johann Sebastian Bach [6] circa 137 anni prima. Bach era legato al credo evangelico-luterano. Per facilità del lettore si riportano qui di seguito le espressioni latine.

“Ave Maria, gratia plena, / Dominus tecum, /
benedicta tu in mulieribus / et benedictus fructus ventris tui, Iesus. /
Sancta Maria, sancta Maria, / Maria, ora pro nobis nobis peccatoribus, /
nunc et in hora, in hora mortis nostrae. / Amen! Amen! “

Quando nel 1859 Gounod rese nota a Parigi la composizione, ci si accorse di un fatto. L’Ave Maria era priva di un riferimento chiave per la Chiesa Cattolica: il riconoscimento di Maria “Madre di Dio” (si tratta di un dogma di fede [7]). Infatti, nella seconda parte della preghiera l’invocazione è: “Santa Maria, Madre di Dio, prega per noi peccatori…”. Per tale motivo l’esecuzione della musica di Gounot non è vietata dalle disposizioni canoniche, mentre – al contrario – il testo non deve essere eseguito durante le celebrazioni eucaristiche. Per superare tale situazione, alcuni autori hanno voluto preparare una composizione simile a quella di Gounod includendo il riferimento alla “Madre di Dio” [8].

L’Ave Maria di Schubert

Anche il compositore austriaco Franz Schubert [9] musicò un’Ave Maria. In realtà, sul piano storico, lo spartito non è religioso. La composizione non era dedicata alla Madonna. Al centro della vicenda si trova, al contrario, l’eroina di un poema scozzese.
In particolare, Schubert elaborò un canto: Ellens Gesang III o Inno alla Vergine – D 839 Ave Maria-Jungfrau mild, Op. 52, No. 6, 1825. Tale lavoro si trova inserito in un lavoro di sette lied [10] tratti da un poema del poeta scozzese Walter Scott [11]: La Signora del Lago. Nell’opera di Scott emerge anche una dinamica di affidamento: la protagonista (Ellen), in difficoltà, invoca la Vergine Maria. Si riporta qui di seguito il testo originale dell’opera di Scott.

“Ave Maria! Vergine dolce, / esaudisci la preghiera di una vergine, /
da questa rupe aspra e selvaggia / giunga fino a te la mia invocazione. /
Fino al mattino dormiremo sicuri, / per quanto crudeli possano essere gli uomini. /
O Vergine, considera gli affanni di una vergine. / O Madre, ascolta una figlia che ti invoca! /
Ave Maria”.

In tale contesto, è utile ricordare che le parole iniziali pronunciate da Ellen ( “Ave Maria”) non hanno alcun collegamento con l’omonima preghiera recitata dai fedeli nelle chiese. Il testo latino della orazione, in particolare, è stato in seguito adattato alle note di Schubert. Si riporta qui di seguito il testo dell’Ave Maria di Schubert secondo un adattamento in italiano.

“Ave Maria, Vergin del ciel, / Sovrana di Grazia e Madre Pia /
deh, accogli ognor la fervente preghiera, /
non negar a questo straziato mio cuor / tregua al suo dolor.
Sperduta l’alma mia ricorre a Te /e pien di speme si prostra ai Tuoi piè
ti invoca e attende che Tu le dia / la pace che solo Tu puoi donar.
Ave Maria”.

Si riporta qui di seguito il testo dell’Ave Maria di Schubert secondo un adattamento in latino.

“Ave Maria, gratia plena, / Maria, gratia plena, /
Maria, gratia plena.
Ave, Ave, Dominus, / Dominus tecum.
Benedicta tu in mulieribus, / et benedictus,
et benedictus fructus ventris, / ventris tui, Jesus.
Ave Maria!”.

L’insegnamento della Chiesa

Nell’ambito fin qui delineato, può essere utile – adesso – cercare di comprendere l’insegnamento della Chiesa Cattolica sul rapporto tra composizioni musicali e celebrazioni eucaristiche. L’orientamento di base è semplice: ogni lavoro musicale deve facilitare nel fedele la comprensione dei diversi momenti liturgici della messa. Si tratta, in concreto, dei riti di inizio, delle letture, dell’offertorio, della consacrazione, della comunione, e del congedo. Per raggiungere tale obiettivo diversi autori si sono impegnati nel tempo a offrire composizioni musicali adatte a supportare la liturgia eucaristica. Si passa dal Movimento Ceciliano (‘Gregoriano’), ai compositori di canti popolari religiosi (padre Pietro Janin, don Luigi Guida ecc.), fino alle più recenti opere (Comunità di Taizé, Marcello Giombini, GEN Rosso, GEN Verde, Marco Frisina ecc.) [12].
In tale contesto, sul piano pastorale, opere scritte non per celebrazioni eucaristiche non vengono respinte dalla Chiesa. Semplicemente sono collocate prima dell’inizio della celebrazione del sacramento del matrimonio o subito dopo la fine della messa. Ricordo al riguardo un episodio simpatico. Quando morì un mio ex allievo che era stato un grande appassionato della montagna, il coro eseguì durante la messa i canti liturgici adatti al momento. Poi, dopo la benedizione finale, cantammo tutti “Quel mazzolin di fiori” ricordando in tal modo le camminate alpine del nostro amico.

Il significato di una processione: i panni stesi

Processione della “Madonna de’ noantri” (Roma, Trastevere)

Processione della “Madonna de’ noantri” (Roma, Trastevere)

In aggiunta a quanto fin qui annotato, può essere utile ricordare anche il senso di tappeti stesi o di lenzuoli poggiati ai balconi in occasione del passaggio di una processione. Nel suo significato più profondo una processione non è una manifestazione di trionfalismo, e non è un’ostentata prova di “forza cattolica”. Al contrario, una processione eucaristica indica: “Gesù che passa”. E come già descritto nei Vangeli, il Signore presente nell’eucaristia percorre con i fedeli le strade, incontra la gente, trasmette la propria grazia a quanti credono in lui. In questo senso, chi partecipa a una processione eucaristica compie un atto pubblico di fede, e conferma un proprio impegno ecclesiale.
Anche una processione mariana, o con statue di santi, esula completamente da un contesto folcloristico per assumere un significato essenziale: quello della sequela, dell’esempio.
La Madonna è colei che ha seguito il Figlio di Dio nelle diverse fasi della sua missione redentrice. E i Santi, nella loro vita terrena, sono coloro che hanno testimoniato l’adesione all’annuncio del Vangelo anche con il sacrificio della vita.
Per questi motivi, i fedeli che partecipano a una processione con delle statue religiose si allontanano di fatto da scelte fideistiche [13] per affrontare l’oggi di Dio inginocchiati sulla terra del proprio fiat vocazionale.
Nel contesto descritto, anche dei tappeti stesi sui balconi o dei panni poggiati alle ringhiere assumono un significato che pare a volte dimenticato. Se è Gesù che passa, se è la Madonna che diventa pellegrina, se sono dei santi a incoraggiare i fedeli, allora è significativo rispondere anche con un messaggio “dalle case”, dall’interno delle abitazioni, dalle Chiese domestiche. Il tappeto (oggetto usato nei salotti, luoghi dell’incontro con chi arriva dall’esterno,) e il panno esposto (simbolo della vita quotidiana e della stessa intimità familiare), significano allora: “Vieni, Signore Gesù!”, “la nostra casa è aperta per te”.

Note
[1]“Messa”: termine che deriva dal latino missa. Tale espressione viene pronunciata dal celebrante quando congeda i fedeli: “Ite, missa est”. Nei tempi apostolici la celebrazione eucaristica era chiamata “fractio panis” (lo spezzare del pane).
[2] Pio XII, Lettera Enciclica Mystici Corporis Christi, in: Discorsi e Radiomessaggi di sua Santità Pio XII, V, Quinto anno di Pontificato, 2 marzo 1943 – 1° marzo 1944, pp. 267-324. Tipografia Poliglotta Vaticana.
[3] Rosario (dal latino rosārium, “rosaio”). Dal XIII secolo indicò le preghiere che formano come una “corona”, nell’accezione latina di corōna (ghirlanda di rose, alla Madonna).
[4] Redazione, Ultime dal matrimonio: Albano non può cantare l’Ave Maria per gli sposi, in: ‘BrindisiOggi it’, 14 agosto 2012.
[5] Charles François Gounod (1818-1893).
[6] Johann Sebastian Bach (1685-1750).
[7] Concilio Ecumenico di Efeso (il terzo). Fu convocato dall’imperatore Teodosio II nel 431.
[8] Il Volo – Ave Maria (Concerto di Natale 2014 al Senato) – Bing video.
[9] Franz Peter Schubert (1797-1828).
[10] Lied: canzone (o romanza).
[11]Walter Scott (1771-1832). Scrittore, romanziere, poeta.
[12] Cf anche: S. Militello, Canto e musica, San Paolo, Cinisello Balsamo 2021.
[13] Scelta fideistica: il fedele non si impegna e “lascia fare” tutto a Dio.

Per saperne di più
AA.VV., Devozioni, pratiche e immaginario religioso, a cura di R. Millar e R. Rusconi, Viella, Roma 2011. Benedetto XVI (Joseph Ratzinger), Guardare al Crocifisso, Jaca Book, Milano 2021. L. Berzano – A. Castegnaro – E. Pace, Religiosità popolare nella società post-secolare. Nuovi approcci teorici e nuovi campi di ricerca, EMP, Padova 2015. Conferenza Episcopale Italiana, Ufficio Liturgico Nazionale, Repertorio Nazionale di Canti per la Liturgia, CEI, Roma 2013. G. Gambassi, La Madre di Dio, “stella” della musica, in: ‘Avvenire’, mercoledì 14 agosto 2019. B. Palumbo, Piegare i santi. Inchini rituali e pratiche mafiose, Marietti 1820, Bologna 2020. D. Piazzi, Il giorno del Signore. Processione eucaristica, Queriniana, Brescia 2005. D. Priori, Sertum Mariae. Rosario meditato, Edizioni Palumbi, Teramo 2022. K. Rahner, La Trinità, Queriniana, Brescia 2008.