Cattedra: Ma l’inflazione…?

di Paolo M. Di Stefano -

Gli economisti in tutto il mondo sembrano concordi non soltanto sulla impossibilità di modificare l’attuale sistema economico, tanto da cercare in tutti i modi (peraltro pochi e scontati!) di rivitalizzarlo, ma anche sul significato di precisi elementi che affermano costitutivi del sistema stesso.
L’inflazione è uno di questi.
La sua presenza e il suo livello sono ritenuti segnale inequivoco della salute del sistema stesso, tanto che in Italia si è accesa una fiamma di speranza, quasi una certezza, alla notizia del suo aumento, atteso dopo lunghi tempi di deflazione, malattia – questa- ritenuta mortale. Un aumento limitato, forse insufficiente, ma pur sempre un segnale di ripresa. Si dice.
E’ da ricordare che l’andamento dei prezzi è di solito assunto come costitutivo della cosiddetta “legge della domanda e dell’offerta”: è direttamente proporzionale all’andamento della domanda e inversamente proporzionale a quello dell’offerta.
Che appare vero, almeno in linea di principio: ferma restando l’offerta, se la domanda tende ad aumentare, i prezzi tendono a salire; ferma restando la domanda, se l’offerta sale, i prezzi tendono a scendere.
Nella realtà quotidiana del “mercato” i prezzi dei prodotti (beni e servizi) esprimono o dovrebbero farlo l’attuale equilibrio tra domanda e offerta.
Occorre non dimenticare mai – anche se siamo in pochissimi a sostenerlo e se quasi nessuno dei così detti uomini di marketing lo spiega – che il prezzo di un qualsiasi bene o servizio è anch’esso un prodotto, e proprio perché tale ha bisogno di essere fabbricato, comunicato, conosciuto e reso apprensibile.
Il che spiega a grandi linee tutto quanto accade su di un qualsiasi mercato.

In materia sono state scritte intere enciclopedie, anche se troppo spesso ci si è dimenticati di mettere la comunicazione in ogni suo aspetto, segnatamente la formazione e la pubblicità, in relazione con gli elementi costitutivi della “legge”.
Che è cosa grave, perché sia la domanda che l’offerta sono a loro volta prodotti della “cultura”: non esiste bisogno al mondo che non sia il prodotto di quello che siamo, di come pensiamo, delle decisioni che prendiamo e del loro perché.
I prezzi “al consumo” sembrano in ascesa, e la cosa ha fatto gridare al miracolo: l’economia dà segni di ripresa!
E’ probabilmente il caso di ricordare che, sempre ammesso che sia così, per il nostro tipo di economia il segnale è positivo soltanto se l’aumento dei prezzi dipende da un incremento della domanda. Se questo accade, significa che “la gente” ritiene di poter ricominciare a soddisfare alcuni dei bisogni di cui è portatrice oppure (o anche) a soddisfare in grado maggiore quelli che già soddisfa ma in grado più modesto.
Alla crescente richiesta, l’offerta può rispondere:
-           lasciando che i prezzi crescano in virtù di quella “asta occulta” che si scatena mano a mano che il prodotto scarseggia, così beneficiando del maggior utile procurato dal prezzo più alto,
-           oppure può immettere sul mercato quantitativi maggiori di merce, con questo scegliendo la via del maggior profitto attraverso (soprattutto, ma non esclusivamente) il maggior quantitativo venduto.
Una offerta consapevole a mio parere risponde alla crescente domanda cercando di mediare tra aumento del prezzo e incremento delle quantità.
Quando, invece, l’aumento dei prezzi è determinato da una decisione unilaterale dell’offerta, in presenza di domanda stagnante o semplicemente bassa, è probabile che quest’ultima tenda a contrarsi ulteriormente, scoraggiata dal prezzo “alto”.

E credo che occorra non dimenticare mai che la valutazione del prezzo come “alto”, “basso” o “giusto” dipende dall’atteggiamento della domanda, dalla sua cultura, dalle sue disponibilità, dalle sue valutazioni. E’ questo che spinge un imprenditore colto o almeno consapevole a “formare la domanda” alla ricerca dell’equilibrio migliore possibile tra “profitto cercato” e “utilità creata” per il potenziale acquirente.
A me non sembra di aver sentito o letto considerazioni di questo tipo, per quanto a mio parere necessarie ed opportune per indirizzare l’economia e le attività future. E non a caso mi sono occupato in modo ritenuto eretico di quel marketing al quale tutti gli operatori economici italiani fanno riferimento e appello, in genere senza sapere di che cosa parlano.
Per ora, il mio parere – non sono un economista, ma solo uno che pensa, e non ho il dono della infallibilità- è che il nostro sistema economico sia in agonia: lo denunzia anche la circostanza che il mercato sembra ostentare una nuova ricchezza. Significa che, avvilite le categorie socio economiche inferiori, i pochi ricchi hanno iniziato a sfruttare le categorie di livello superiore, in un processo che probabilmente sfocerà in una forma di cannibalismo. Quando gli attuali detentori della ricchezza si affronteranno direttamente, il sistema economico attuale sarà morto.
Una sua nuova vita – perché è inevitabile che una nuova vita vi dovrà essere – sarà per forza di cose diversa in tutto o in parte.
E allo stato attuale delle cose, dovrà esserlo in assenza assoluta di una pianificazione gestionale del fenomeno economico, dal momento che non ne abbiamo una e non pare che la cerchiamo.

E sarà, la novità, costituita da una nuova guerra nella quale vincerà il più forte, colui che sarà anche il meno dotato di senso della morale e della equità.
Perché una cosa è certa: solo un alto senso della morale, dell’etica, dell’equità e del diritto possono e potranno opporsi alla forza bruta. Ma per riuscire, devono trovare una qualche rispondenza a tutti i livelli.
Significa che anche la forza si rivelerà di una brutalità di grado diverso, e quindi diversa in sé, e qualche probabilità che ciò accada non ostante tutto è possibile intravedere all’orizzonte. Sarà forgiata, questa “forza diversamente bruta”, da una immissione nel DNA delle persone, dei popoli, degli Stati, delle esperienze maturate nei secoli precedenti e che opereranno magari a livello inconscio sì da determinare una “competizione economica” di livello più alto di quanto non sia oggi e di quanto non sia stato mai.
E’ proprio così impossibile che nel DNA dei nostri nipoti sia un giorno iscritto l’elemento che porta alla consapevolezza che solo una distribuzione equa della ricchezza consente una qualità di vita soddisfacente per il singolo, per le nazioni, per la gente tutta?
Che sarebbe già di per sé un seme di un’economia diversa.