CATTOLICI E PROTESTANTI: LA FRATTURA

di Massimo Iacopi -

 

Carlo V, al momento del suo accesso al trono, nel 1519, veniva percepito come l’imperatore di una Cristianità unita e presto estesa a tutto il mondo. Il suo proposito non teneva però conto della volontà di affermazione degli Stati, che decisero di basarsi sulle Chiese “nazionali”.

 

Ecco arrivato il momento di riunire la Cristianità [1] sotto la volontà di Dio”. È in tal modo che si esprime Mercurino da Gattinara (1465-1530) “Cancelliere di tutte le terre e dei regni di Dio”, quando si indirizza a Carlo V (1500-1558), all’indomani dell’elezione al trono imperiale nel 1519 e identificando allora la Cristianità con l’Europa.
Questo sogno di un’Europa cristiana unita sotto l’egida dell’imperatore corrisponde a diversi filoni di tradizione. Prima di tutto la nozione d’impero, legata all’ancora vivo ricordo di Roma, che riuniva sotto la sua egida il mondo mediterraneo e occidentale. Ma anche la reminiscenza della breve rinascita di questo impero ai tempi di Carlo Magno (742-814). Carlo V, del resto, veniva presentato, come indica il suo nome, come un nuovo Carlo Magno. Ed egli si fa incoronare dal pontefice a Bologna nel 1530, ricevendo, in tal modo, anche la consacrazione imperiale romana.
In secondo luogo, esiste la nozione di repubblica cristiana, che può interpretarsi come una reazione allo spezzettamento feudale. In tale contesto, l’espansione turca nel XV secolo (Costantinopoli viene conquistata nel 1453) rappresenta una minaccia per l’impero ed amplifica la volontà d’unione di tutti i Cristiani nella grande opera della crociata. Per rafforzare ancora questa Europa cristiana unita nello stesso ideale, nel momento in cui Carlo V viene eletto imperatore, occorre aggiungere il segno e l’influenza dell’Umanesimo [2], specialmente delle idee politiche di Erasmo da Rotterdam (1467-1536): per lui, pacifista militante, la repubblica cristiana dovrebbe essere una federazione di stati pacificati: “Non c’è pace, anche ingiusta, che non sia superiore ad una guerra ingiusta”. Questa federazione di stati pacificati che egli si augura vivamente, la intravede arbitrata da un’autorità suprema che potrebbe essere l’imperatore Carlo V, il sovrano dalle 17 corone, alle quali si aggiungono i nuovi territori scoperti e conquistati in America.

Ideale e realtà

Ma l’ideale è molto distante dalla realtà. La realtà della metà del XVI secolo è rappresentata dalla frantumazione geografica dell’Europa, divisa dall’affermazione degli stati territoriali, che corrispondono a basi nazionali (Francia, Inghilterra, i principati tedeschi, …). Ebbene, per potersi affermare, gli stati hanno bisogno della Chiesa, di una chiesa “nazionale”, indipendente da Roma. Questo è uno dei fattori, e non il minore, che darà forza alla Riforma [3] (l’Inghilterra che rompe con Roma negli anni ’30 del XVI secolo ne rappresenta l’esempio tipico) e scatenerà gli scontri confessionali. In tal modo, alla fine del regno di Carlo V, l’impero di colui che si considerava il “miles Christi di una Europa cristiana unita, si presenta come un insieme esploso in tanti pezzi.
In effetti, alla morte di Martin Lutero (1483-1546), il Luteranesimo copre i due terzi della Germania: la Sassonia, il Württemberg, i paesi del Reno (a meno dei principati ecclesiastici) e tutta la Germania del nord. La sua sorte è nelle mani dei principi, nei quali Lutero ha riposto la sua fiducia, non solo perché proteggano le comunità protestanti contro i loro avversari cattolici e in particolare contro l’imperatore Carlo V, ma anche perché impongano la vera dottrina ai loro sudditi e che facciano rispettare l’ortodossia.
Nel 1555 la pace di Augusta che pone fine alle trentennali guerre di religione in Germania, sancisce la frattura politico-religiosa della Germania (o piuttosto del Sacro Romano Impero) in due campi, cattolico e luterano (non c’è spazio per altre confessioni), con l’applicazione del principio Cuius regio, eius religio (“Di chi la regione, di lui la religione”, cioè la religione del principe è la religione dei sudditi). Anche la Scandinavia è passata al luteranesimo: intorno alla metà del XVI secolo la Svezia, la Danimarca, la Norvegia adottano confessioni di fede ispirate a Lutero.
In quello stesso periodo, la dottrina di Giovanni Calvino (1509-1564) fornisce un nuovo slancio al movimento riformato. Nel giro di pochi anni si diffonde in Inghilterra (Prayer Book del 1552): dal 1534, il re Enrico VIII (1491-1547), scomunicato dal Papa, riesce a far confermare dal parlamento la sua supremazia ecclesiastica, segnando la nascita dell’Anglicanesimo. Esso viene imposto in Scozia (Confessio scotica del 1560, redatta da John Knox). Il Calvinismo entra nella riforma francese, diventando la sua confessione di fede e la sua disciplina ecclesiastica (Sinodo di Parigi del 1559). Nei Paesi Bassi, grazie all’azione di Guy de Bres (1521-1567), il calvinismo dà origine a uno spirito innovatore diffuso che, da 40 anni, esitava fra Lutero e l’Anabattismo (Confessio belgica del 1560).
Nel Sacro Romano Impero, dopo Augusta, il Calvinismo progredisce. Nel 1563 l’elettore palatino Federico III di Sassonia (1463-1525) adotta questa confessione e fa redigere un catechismo approvato dal Sinodo di Heidelberg. In Ungheria, la Confessio hungarica (1562), alla quale ha aderito la maggior parte della nobiltà magiara, è di ispirazione calvinista. La stessa dottrina penetra in Polonia, in Lituania e in Boemia (1576).

Confessionalizzazione

Per dare conto di questa rivoluzione politico-religiosa che attraversa l’Europa, gli storici tedeschi hanno forgiato la nozione di “confessionalizzazione”. Fra la fine del decennio 1520 e l’inizio del secolo XVIII, tutta l’Europa viene interessata da questo movimento.
L’idea centrale è che ogni confessione, luterana o calvinista, deve organizzare un sistema di difesa della sua identità di fronte alle altre e, quindi, diventare una chiesa-istituzione, con coincidenza fra azione politica e azione religiosa: si tratta di modellare la società in tutti i suoi settori (politico, culturale, economico). Questo è il motivo per il quale il sovrano non può restare al di fuori dei conflitti religiosi. Né, d’altra parte, tollerarli all’interno del suo territorio: da qui la necessità di una politica di confessionalismo con l’annesso dell’intolleranza come arma e fonte del potere.
Si potrebbe immediatamente obiettare il caso della Francia dell’Editto di Nantes (1598), che istituisce, se non la tolleranza, almeno la concordia fra le confessioni. Ma, nei fatti, l’evoluzione del XVII secolo conferma il processo di confessionalizzazione, poiché i regni di Luigi XIII (1601-1643) e di Luigi XIV (1638-1715) sono marcati dagli sconfinamenti che subisce l’editto, fino alla sua revoca, nel 1685.

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Note
[1] Alle origini della Chiesa, il termine designa i discepoli della religione di Cristo con le sue caratteristiche dogmatiche e rituali. Nell’epoca medievale esso designa i regni cristiani che dominano allora la maggior parte dell’Europa occidentale, anche le comunità in terra non cristiana. La chiesa romana elabora allora il concetto di uno spazio politico-religioso a vocazione universale.
[2] Il termine designa il movimento degli umanisti del Rinascimento e dei letterati che condividono l’effervescenza delle idee nate dalla riscoperta della lingua e della letteratura antica, greca e latina. Gli umanisti pongono l’uomo al centro della loro riflessione. Anche l’umanesimo legato alla riscoperta della letteratura condivide questo ottimismo nei riguardi dell’uomo.
[3] Il termine designa, a partire del XVII secolo, i cambiamenti introdotti nella dottrina e la disciplina cristiani da parte dei teologi protestanti del XVI secolo, specialmente da Lutero e Calvino. “Riformazione” è il termine apparso dal XVI secolo e Calvino impiegherà molto presto l’aggettivo “riformato”.