MARY DALY, UNA TEOLOGA FEMMINISTA
di Michele Strazza -
Intellettuale americana e studiosa di teologia, a partire dagli anni ’60 cercò, tra rotture e riconciliazioni, il percorso di un cristianesimo al femminile: la sua vicenda merita di essere conosciuta.
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Mary Daly nacque il 16 ottobre 1928 a Schenectady (New York). Unica figlia di genitori cattolici, irlandesi ed appartenenti alla classe operaia, fu subita attratta dagli studi di religione.
Dopo avere frequentato il College of Saint Rose e la Catholic University of America, laureandosi in Lingua inglese e in religione al Saint Mary’s College dell’Indiana, si trasferì a Friburgo per studiare Teologia, poiché nessuna università americana concedeva tale dottorato a una donna. L’Ateneo di Friburgo, invece, essendo statale, non poteva legalmente escludere le donne.
Interessantissimi i passi in cui la giovane studiosa descrisse la sua esperienza nella Facoltà frequentata da preti e seminaristi, chiedendosi cosa significasse «Sedere in un’aula ad ascoltare lezioni in latino impartite da preti domenicani in lunghi abiti bianchi, le cui lezioni talvolta avevano più senso quando non si capiva la lingua che quando la si capiva. […] nelle aule affollate avveniva spesso che intorno a me restassero dei posti vuoti, perché i miei “compagni” avevano paura delle tentazioni che avrebbero potuto suscitare in loro lo star seduti vicini a una femmina».
A Friburgo conseguì una seconda laurea in Teologia e, successivamente, una terza laurea, in Filosofia. Nel gennaio del 1965, dopo avere letto un articolo dell’intellettuale cattolica Rosemary Lauer, insegnante di filosofia alla St. John’s University di New York, di critica alle chiusure paternalistiche della Chiesa nei confronti delle donne, pubblicò A Built-in Bias (“Un pregiudizio insito”), attaccando il comportamento sessista della Chiesa. L’articolo attirò l’attenzione di un editore londinese che le propose di scrivere un libro sull’argomento.
Nell’autunno dello stesso 1965 raggiunse Roma per assistere ad alcune sedute del Concilio Vaticano II, seduta nel settore riservato alla stampa. Quell’esperienza la convinse ancor di più della necessità di una riforma profonda di una Chiesa fondata sul maschilismo imperante.
Tornò a Friburgo e, poi, negli Stati Uniti, per insegnare dal 1967 nel Boston College, un Istituto tenuto dai Gesuiti. L’anno dopo, nel 1968, la giovane teologa pubblicò The Church and the Second Sex.
La risposta della direzione della scuola non si fece attendere. Il suo rapporto di lavoro venne cambiato in un contratto a termine. L’anno successivo fu licenziata, suscitando un’accesa protesta di studenti e studentesse, mentre la stampa cominciò a seguire la vicenda. Il contenzioso con l’amministrazione si chiuse con la vittoria della Daly che riuscì ad ottenere un nuovo contratto a tempo indeterminato.
Mary Daly non condivideva l’affermazione di Simone de Beauvoir secondo cui l’ideologia cristiana aveva contribuito non poco alla schiavitù della donna. Eppure, si rendeva conto che quanto sostenuto dalla scrittrice francese aveva una base di verità. Dallo studio dei testi sacri e degli scritti dei padri della Chiesa emergeva una forte contraddizione tra l’insegnamento evangelico, improntato all’uguaglianza, e la visione misogina del Vecchio Testamento e di tutta la tradizione della Chiesa. Di qui la sua esortazione agli apparati ecclesiastici per il riconoscimento dei propri errori e per una riforma interna.
Questa visione riformista della studiosa americana, però, venne presto abbandonata per l’approdo ad una impostazione più radicale. Nel 1975 diede alle stampe la seconda edizione del suo libro con l’aggiunta di una Prefazione autobiografica e di una Introduzione postcristiana.
In tali aggiunte ella affermò come parlare di “femminismo cristiano” fosse una contraddizione logica, in quanto l’aggettivo “cristiano” risultava in contrasto con il sostantivo “femminismo”. In poche parole, secondo l’autrice ogni tentativo di conciliare cristianesimo e femminismo era illusorio.
Contestando, dunque, il suo stesso libro, Mary Daly arrivava alla conclusione dell’impossibilità di liberare la donna in nome di una ideologia, quella cristiana, e di una struttura, cioè la Chiesa, che, per secoli, erano state le principali responsabili dell’oppressione della donna stessa.
Erano, altresì, inutili tutti i tentativi di interpretazione dei passi biblici in chiave femminile, dato “il carattere prevalentemente patriarcale” dell’intero testo sacro.
Questa impostazione radicale era già espressa nel suo secondo libro Beyond God the Father. Toward Philosophy of Women’s Liberation (1973) nel quale critica lo stesso concetto di “Dio Padre”, come espressione del maschilismo biblico.
Pur sapendo che Dio è al di sopra di qualsiasi connotazione sessuale, la studiosa americana non si esime dall’opporsi ad una concezione simbolica che, determinando l’immaginario collettivo, finisce col rafforzare una mentalità maschilista. Di qui la necessità di abbattere tale figura patriarcale, distruggendo, allo stesso tempo, tutte le sue derivazioni collegate di autorità e dominio.
L’alternativa è, per la Daly, quella di un Dio quale “Assoluto in divenire”, al cui “disvelamento” l’umanità stessa partecipa.
Nei confronti, invece, del tradizionale “patriarcato” bisogna lottare strenuamente. Esso, definito “una specie di stupro collettivo sia delle menti che dei corpi”, deve essere combattuto dall’unione delle donne, una “sorellanza anti-mondo e anti-Chiesa”, in chiave ecologica e cosmica.
Nel 1978 questi concetti sono ripresi e ampliati in Gin/Ecology. The Metaethics of Radical Feminism sul “ginocidio”, cioè la distruzione sistematica delle donne.
Contemporaneamente l’attenzione della studiosa si sposta sull’uso delle parole tipiche di un dizionario “fallocentrico” che deve essere scardinato. Poiché “esistere come essere umani è dare un nome al sé, al mondo e a Dio”, le donne sono state derubate del “potere di nominare”. Pertanto, la loro liberazione non potrà mai realizzarsi se non anche attraverso una operazione di liberazione del linguaggio in senso femminista.
I temi della liberazione linguistica ritornano, nel 1984, in Pure Lust. Elemental Feminist PhilosopHy, nonché, nel 1993, in Outercourse. The Be-Dazzling Voyage, una vera e propria sintesi filosofica autobiografica.
Dopo aver pubblicato i suoi ultimi lavori (Quintessence. Realizing the Archaic Future: A Radical Elemental Feminist Manifesto, Beacon Press, 1998; Amazon Grace: Re-Calling the Courage to Sin Big, Palgrave Macmillan, 2006), Mary Daly morì a Gardner, nello Stato del Massachusetts, il 3 gennaio 2010.
Dopo di lei furono numerose le teologhe che intrapresero, su suo esempio, il difficile cammino di un cristianesimo al femminile, nella costruzione di un nuovo ruolo della donna nella Chiesa. Tutte impegnate nella rivisitazione al femminile dei testi sacri e nella elaborazione teologica dei temi della “depatriarcalizzazione” e di un diverso protagonismo delle donne nella fede.
Per saperne di più
Daly M., La Chiesa e il secondo sesso, Milano, Rizzoli, 1982, p. 10. Il libro è l’edizione italiana dell’originale The Church and the Second Sex, London, Chapman, 1968.
Daly M., Beyond God the Father. Toward Philosophy of Women’s Liberation, Boston, Beacon Press, 1973. Per la versione italiana cfr. Daly M., Al di là di Dio Padre. Verso una filosofia di liberazione della donna, Roma, Editori Riuniti, 1990.
Daly M., The Church and the Second Sex. With a New Feminist Postchristian Introduction by the author, New York, Harper & Row, 1975.
Daly M., Gin/Ecology. The Metaethics of Radical Feminism, Boston, Beacon Press, 1978.
Gibellini R., Percorsi femminili nella teologia nordamericana, in “Il Regno”, n. 26 1981.
Schlüssler Fiorenza E., Verso una teologia liberata e liberatrice? Donne teologhe e teologia femminista negli USA, in “Concilium”, n. 5 (1978), pp. 37-51.
Strazza M., Le vicende del femminismo cristiano, in “Storia in network”, gennaio 2023.