LA RUSSIA NEL MEDITERRANEO, UNA STRATEGIA DIFENSIVA

di Massimo Iacopi -

 

L’intervento russo in Siria a difesa di Bashar el Assad, nell’autunno 2015, sorprese il mondo occidentale. In realtà, è dal XVIII secolo che il Cremlino cerca di far valere i propri interessi nell’area del Mediterraneo orientale.

Gli zar hanno da sempre ritenuto che lo spazio del Ponto e del Mediterraneo formassero un solo insieme, al cui interno la Russia aveva legittimamente il suo ruolo. Sin dai suoi inizi, la Rus di Kiev si organizza sul controllo della ”rotta dai Variaghi ai Bizantini”, vale a dire sul controllo delle vie fluviali e marittime che portano dal Baltico a Costantinopoli. Per lungo tempo, il Mar Nero é stato denominato mare russo, perché solo i russi vi navigavano. E’ proprio attraverso il Mar Nero che la Russia riceve il suo battesimo cristiano nel 988, a Chersoneso, l’attuale Sebastopoli, concretizzando, in tal modo, l’alleanza con l’Impero bizantino. Eredi del mondo greco ortodosso, i russi si sono da sempre recati in pellegrinaggio al Monte Athos, uno dei loro principali luoghi santi. Considerandosi i protettori dei cristiani d’Oriente, nei Balcani ieri, in tutto il medio Oriente oggi, essi hanno condotto – fra il XVI e il XX secolo – più di dodici guerre contro l’Impero Ottomano e i suoi vassalli, come i tatari di Crimea.

Sognare Costantinopoli

Va comunque sottolineato il fatto che la reale motivazione di queste guerre è stata sempre essenzialmente geopolitica. Nel Mediterraneo come nel Baltico la Russia si é sempre augurata di poter disporre di un libero accesso ai mari caldi, liberi dai ghiacci e al grande commercio internazionale. In questo contesto, il “sogno greco” della zarina Caterina II, che strappa agli ottomani e guadagna alla Russia la Crimea ed il sud dell’attuale Ucraina, corrisponde specularmente alla guerra del Nord di Pietro il Grande, per acquisire uno sbocco russo nel Baltico. Shesmé, località turca di fronte all’isola di Chio (5 luglio 1770), Patrasso (6-8 novembre 1872), Navarino (20 ottobre 1827) costituiscono episodi in cui la flotta russa ha riportato le sue più belle vittorie contro i turchi nel Mediterraneo. Successi che, però, suscitano immediatamente inquietudini fra le potenze occidentali. Associato ai britannici, nelle operazioni contro la Repubblica francese, l’ammiraglio Fedor Fedorovic Ushakov si impadronisce di Corfù nel 1799, caccia i francesi dalle isole Ionie, assalta con successo Napoli e propone il suo aiuto all’ammiraglio Orazio Nelson, in occasione di un loro incontro per l’attacco a Malta. L’ammiraglio inglese però, in segreto, mette in guardia Londra nei confronti della Russia, in quanto egli teme che San Pietroburgo possa insediarsi durevolmente nel Mediterraneo, sulla rotta delle Indie. I suoi timori non sono infondati: dal 1770 al 1900 la flotta russa dispone di un punto di appoggio nell’isola di Poros nel Peloponneso. Una base preziosa contro l’Impero ottomano, che la Russia pianifica di abbattere per arrivare a Costantinopoli, la città santa dell’ortodossia e, soprattutto, la chiave degli stretti turchi e dell’accesso diretto al mare Egeo. Costantinopoli costituisce l’obiettivo della guerra di Crimea, scatenata ufficialmente per il primato ortodosso sui luoghi santi di Gerusalemme. La stessa città è ancora l’obiettivo della campagna del 1878, nel corso della quale l’esercito russo è costretto ad interrompere la sua offensiva sotto la pressione dell’Inghilterra, proprio quando l’esercito ottomano è ormai in rotta e la strada per gli stretti ormai aperta. L’obbiettivo dell’Accordo di Racconigi (1909) vede San Pietroburgo impegnarsi a sostenere le pretese italiane su Tripoli, a patto che Roma sostenga quelle russe sugli stretti. Il sogno di Costantinopoli durerà fino alla Prima guerra mondiale, concretizzato da un accordo fra Parigi e Londra nel quale viene promessa la città degli stretti alla Russia, se questa non concluderà una pace separata con la Germania. Questo accordo rimarrà lettera morta con la Rivoluzione russa del 1917 e la conseguente capitolazione russa sul fronte orientale.

Il timore di un contenimento della Nato

Questo scontro russo-turco, multisecolare, deve essere ben presente nella memoria proprio oggi nel momento in cui Mosca e Ankara oscillano fra cooperazione di circostanza e forti tensioni, anche se gli obiettivi russi nel Mediterraneo sembrano oggi cambiati. La rotta degli Stretti non costituisce più, per la Russia, una rotta commerciale di importanza strategica. Se Novorossisk rappresenta il primo porto russo per il traffico dei containers, la maggior parte degli scambi russi transita oggi per il Baltico. Quanto agli altri porti russi nel Mar Nero, la loro attività risulta di bassa intensità e le loro capacità di stoccaggio e di approdo appaiono limitate. Per quanto precede, non sono oggi i fattori economici quelli che determinano la strategia russa nel Mediterraneo orientale, bensì piuttosto la problematica del terrorismo da un lato, e quello del contenimento della NATO dall’altro.
Vladimir Putin si è deciso ad intervenire in Siria perché la Russia non poteva tollerare l’insediamento di uno stato islamico nell’area e soprattutto non poteva perdere le facilitazioni navali, da sempre godute in Siria. In effetti, da un punto di vista della sicurezza, ci sono solamente 800 km fra la frontiera settentrionale della Siria e le creste del Caucaso. Mosca, cosciente del sostegno turco agli islamisti, aveva ipotizzato con una certa accuratezza e temuto, che la prossima tappa di questi fanatici, contrariamente alle loro dichiarazioni ufficiali, sarebbe stata Grozny in Cecenia, e non Gerusalemme. Nel 2015 nei ranghi dello Stato islamico e fra quelli dei guerriglieri del Fronte di Al Nosra risultavano dai 4 ai 7mila cittadini russi e degli ex Stati sovietici. In particolare, i foreign fighters russi hanno frequentemente fornito un largo contribuito al Fronte di Al Nosra, con la loro esperienza di combattimento, acquisita proprio contro i russi in Cecenia. Questi combattenti non avrebbero poi mancato di prendere la strada della Cecenia, con la benedizione dell’ambiguo capo di stato turco Tayiip Recep Erdogan utilizzando questa carne da cannone per consolidare la sua influenza in Trancaucasia oggi, in Ciscaucasia, forse, domani, con qualche deviazione in… Tripolitania. Secondo tale logica, in effetti, i colpi assestati dai russi nell’autunno del 2015 in Siria, hanno interessato prioritariamente e in grande rilevanza le forze di Al Nosra, la formazione con la maggiore presenza di islamisti originari dello spazio post sovietico. L’intervento discende da una strategia classica di difesa sul fronte esterno, tendente a distruggere l’avversario a distanza dal territorio nazionale.

L’annessione della Crimea

Seguendo lo stesso principio l’annessione della Crimea consente oggi al Cremlino di tenere le forze della Nato a debita distanza dal suo litorale sud. La Russia, con il ritorno della penisola nel suo ambito territoriale, dispone di una portaerei inaffondabile nel Mar Nero che consente il controllo di tutto il bacino del Ponto Eusino. Oltre alle infrastrutture navali di Sebastopoli la flotta del Mar Nero può ormai contare sulle basi e i cantieri navali di Eupatoria, Feodosia e di Kerch, associati alla base portuale di Novorossisk. Disponendo oggi della squadra più potente della regione – con un incrociatore, cinque fregate, quattro corvette, sette sottomarini Kilo, di cui sei di ultima generazione, navi che verranno progressivamente a disporre di missili 3M54/ 3M14-Kalibr e 3M55 Oniks – la Russia è in condizioni di dominare e distruggere tutte le forze navali a nord del Bosforo. Al potenziale di questa flotta, tuttavia, occorre aggiungere il sistema mobile costiero KP-300 Bastion-P antinavale (in funzione antiportaerei), basato a terra, con una portata di 300 km e gli aerei da combattimento, schierati principalmente in Crimea, dotati anch’essi dei missili analoghi ai predetti.
Il Mar Nero risulta, di fatto, vietato alle navi avversarie. Esso è bordato di basi missilistiche di difesa aerea con un raggio d’azione dai 300 ai 400 km in funzione di sistemi installati, che hanno trasformato lo spazio pontico, grazie a questi dispositivi complementari e ridondanti, in una zona di esclusione per gli aerei nemici in caso di crisi importanti. in Crimea Mosca ha schierato sistemi di difesa antiaerea allargata che iniziano a essere equipaggiati con missili (missili intercettori di ultima generazione del sistema S-400) 40N6 con portata di 400 km, corrispondente alla distanza che separa Sebastopoli dallo stretto del Bosforo. A questi sistemi vanno aggiunti gli S-300 delle basi di Gaoudauta in Abkhazia, di Gyumri in Armenia e gli S-400 Triumph della base di Hmeimim in Siria che coprono il Mar Nero e la maggior parte dello spazio aereo turco. Complessivamente, si tratta di un bastione difficilmente superabile o attraversabile.
Per i russi, tuttavia, al di là degli Stretti turchi il rapporto di forze si inverte. Bloccati dai turchi – che provvederebbero a chiudere il passaggio degli Stretti in caso di ostilità – la flotta russa dispone nel Mediterraneo del solo punto di appoggio di Tartous/Latakia: questo, sebbene rinforzato e in corso di potenziamento, non può essere paragonabile a una Gibilterra. La base russa in Siria non può sfidare a lungo la superiorità aeronavale della Nato nella zona. E’ pur vero però che Mosca, negli ultimi tempi, risulta sempre più presente nell’Africa del Nord. Ciò nonostante né l’Egitto né l’Algeria – fedeli clienti dell’ industria di difesa russa – sono da considerare come alleati sicuri, in grado di consentire al Cremlino di disporre della massima libertà d’azione nel caso di un conflitto importante. In definitiva, se la Russia nel Mediterraneo orientale non può comunque essere sottovalutata in ragione della sua potenza e per la sue capacità di proiezione, la sua strategia nell’area rimane peraltro essenzialmente difensiva.