ḤEIL HAYAM HAYISRAELI: LA SENTINELLA DI ISRAELE SUL MARE

di Giuliano Da Frè -

 

La Marina israeliana è sempre stato un attento guardiano di Israele: anche quando gli attacchi del nemico hanno saputo cogliere di sorpresa le forze militari (e di intelligence) della terraferma.

In Israele il riuscito attacco a sorpresa lanciato da Egitto e Siria il 6 ottobre 1973, giorno di inizio delle festività di Yom Kippur, viene definito anche come “la sorpresa d’ottobre”. Esattamente 50 anni più tardi, lo scorso 7 ottobre l’offensiva, terroristica e feroce, ma anche molto ben preparata, portata dalle milizie islamiche di Hamas con base a Gaza, si sono trasformate in una “seconda sorpresa di ottobre”. Strane coincidenze ai crocevia della storia e delle sue ricorrenze. In entrambi i casi (il primo analizzato e sviscerato in ogni sua parte, il secondo ancora fresco e in corso), l’intelligence e le Forze Armate di Israele, solitamente attente e reattive, sono state colte con la guardia abbassata. Con un’eccezione: la piccola ma aggressiva Marina israeliana, Cenerentola delle quasi leggendarie Israel Defense Forces (IDF, o Tzahal, in ebraico), già protagonista di diverse azioni spettacolari sin dal 1948, cui accenneremo; ma anche di due drammatiche perdite: quella del cacciatorpediniere Eilat, prima nave da guerra della storia affondata da missili antinave il 21 ottobre 1967, per mano di vedette lanciamissili egiziane di fabbricazione sovietica, e il sottomarino Dakar perduto per incidente con l’intero equipaggio il 25 gennaio 1968.
Il 7 ottobre 2023 la Marina israeliana è stata l’unico reparto militare di Tzahal a reagire con grande prontezza: distruggendo 3 imbarcazioni ad alta velocità e un trattore blindato che cercavano di forzare la barriera difensiva della spiaggia di Zikim, uccidendo decine di miliziani; e quindi nei giorni successivi catturando il vicecomandante delle forze navali di Hamas, per poi bombardarne (in concorso con artiglieria a lunga gittata e aviazione) le installazioni a Khan Yunis e nel porto di Gaza.
Mezzo secolo prima, i marinai israeliani si erano dimostrati altrettanto pronti.

Davide e Golia (in salsa marittima)

Una motomissilistica sovietica OSA-I impiegata da Siria ed Egitto.

Una motomissilistica sovietica OSA-I impiegata da Siria ed Egitto.

Il 6 ottobre 1973 Siria ed Egitto, pesantemente riarmati dall’Unione Sovietica dopo il disastro subito nel corso della guerra dei Sei Giorni del giugno 1967, e appoggiati (direttamente o indirettamente) da diversi altri Stati arabi, giocarono la carta della rivincita militare per ottenere un vantaggio politico.
In Sinai e lungo le alture del Golan le forze arabe, riorganizzate e ben addestrate e guidate in azioni accuratamente pianificate, misero in serie difficoltà Tel Aviv: le armate egiziane passarono il Canale di Suez, e quindi annientarono un primo contrattacco corazzato israeliano, mentre sul Sinai le divisioni siriane decimavano due brigate nemiche, arrivando a un passo dai ponti strategici sul Giordano.
Ma la flessibilità e la mobilità dell’apparato militare ebraico, subito rifornito dagli Stati Uniti attraverso un massiccio ponte aereo (parallelo a quello avviato da Mosca), ebbero ragione delle audaci ma troppo macchinose offensive avversarie. Sul Canale il controverso e brillante generale Ariel Sharon lanciò un contrattacco anfibio, prendendo alle spalle la 3a Armata egiziana, e arrivando a 100 chilometri dal Cairo. Nel Golan, la controffensiva scattò quando le forze siriane si erano esaurite nell’attacco iniziale, condotto con grande determinazione, ma su un terreno difficilissimo e con tattiche mutuate da quelle sovietiche, elaborate per le pianure europee. Le truppe di Tel Aviv respinsero il nemico, arrivando a tiro di cannone da Damasco.
In aria, dopo lo shock iniziale infertole dal fitto schieramento arabo di missili e batterie antiaeree acquistate dall’URSS, l’aviazione israeliana, ancora fresca degli allori conquistati nel 1967, ma che nelle prime giornate del Kippur aveva subito dure perdite, mise in campo nuove contromisure tecnologiche e tattiche, mettendo in difficoltà le difese avversarie.
Ciononostante, la guerra del Kippur (protrattasi sino al 28 ottobre, e brevemente riaccesasi sul fronte siriano nella primavera del 1974) costò a Israele quasi 2.800 morti, 8.000 feriti, alcune centinaia di prigionieri, nonché pesanti perdite materiali: 1.000 tank su 1.700 (600 dei quali recuperati) e 114 aerei su 445, con un costo economico stimato in 4 miliardi di dollari.
Lo Stato ebraico non trasse grande sollievo dall’aver inflitto all’avversario perdite ancora più considerevoli: 35.000 tra morti e feriti, 9.000 prigionieri, 2.400 carri e 400 aerei (rispettivamente i tre quarti e la metà delle disponibilità arabe), erano il prezzo pagato da aggressori che, nonostante tutto, con le vittorie iniziali e una determinazione ben diversa da quella mancata nel 1967, avevano conquistato sul campo un vantaggio politico, incrinando il mito dell’invincibilità delle forze armate ebraiche.
Un mito che era però stato ben difeso sul mare, dove si combatterono, pressoché ignorate dal grande pubblico, alcune battaglie di indubbio valore tattico e operativo, contro avversari non meno potenti.
Soprattutto la Marina egiziana disponeva di notevoli forze navali, avendo ereditato dopo il 1945 materiale inglese, cui si erano aggiunte, a partire dal 1954, ingenti forniture da parte di Mosca.
Alla vigilia dell’operazione “Badr” (l’offensiva araba del 1973) il complesso navale egiziano, al comando del viceammiraglio Fuad Abu Zikry (1923-1983), poteva quindi contare su ben 13 sommergibili: 7 classe “Whiskey”, battelli basati su progetti tedeschi degli anni ‘40, costruiti negli anni ‘50 e ceduti originariamente in 10 esemplari all’Egitto tra il 1957 ed il 1972, e 6 più recenti tipo “Romeo”, in servizio dal 1966-1969. Erano poi operativi 4 cacciatorpediniere classe “Skory”, da 3.100 tonnellate e con buon armamento antisom e artiglieresco, ma dotazioni elettroniche antiquate, cui si aggiungeva l’El Fateh, ex Zenith britannico (classe “Z”) costruito nel 1944 e ammodernato nel 1963-1964. Il gemello El Qaher fu invece affondato dall’aviazione israeliana il 16 maggio 1970, durante la cosiddetta “guerra d’attrito” iniziata poco dopo quella dei Sei Giorni, e proprio con un famoso episodio di guerra navale: ossia il citato affondamento dell’Eilat con missili antinave “Styx” lanciati da unità d’attacco egiziane (21 ottobre 1967).
La forza di superficie egiziana era completata da 3 fregate, 17 unità d’attacco lanciamissili e 36 motosiluranti, oltre a 18 dragamine, una ventina tra pattugliatori e cacciasommergibili e 15 unità anfibie, più il naviglio logistico. Le basi principali, con buone infrastrutture logistiche e manutentive, si trovavano ad Alessandria e a Port Said. La flotta era suddivisa in due squadroni: quello principale in Mediterraneo, l’altro in Mar Rosso.
Dal canto suo, la Marina siriana non disponeva di sommergibili, cacciatorpediniere e fregate, ma soltanto di unità leggere e ausiliarie: per l’esattezza di 9 motomissilistiche, 8 motosiluranti, 4 dragamine, 3 cacciasommergibili e il naviglio logistico, concentrate nelle basi di Tartous, Latakia e Minert el Beira.
Il grosso delle forze navali dei Paesi arabi era basato su unità leggere e veloci d’attacco: le motomissilistiche classi “Osa I” e “Komar”, e le motosiluranti tipo “Shershen”, tutte costruite negli anni ‘60 in Unione Sovietica.
Le “Osa-I” erano presenti in 11 esemplari nella Marina egiziana (che ne aveva perse 2 durante la guerra del 1967), mentre altre 6 prestavano servizio in quella siriana. Realizzate in più serie a partire dal 1959, per un totale di 280 esemplari (e ancora in servizio in tutto il mondo), erano unità d’attacco da 210 tonnellate, spinte da potenti ma non sempre affidabili motori diesel che consentivano di raggiungere i 36 nodi di velocità e una buona autonomia. Piattaforme stabili e con adeguato equipaggiamento elettronico (ma quelle cedute da Mosca ai paesi arabi erano prive di sistemi di contromisure), imbarcavano 4 lanciatori per missili antinave e due impianti binati da 30 mm.
Più piccole e instabili erano le “Komar” (7 egiziane e 3 siriane), che nella Marina sovietica, dove erano entrate in servizio in 110 esemplari iniziarono a essere radiate già nel 1968, dopo pochi anni di servizio. Entrambi i modelli di motomissilistica erano accomunati da un’arma che si era imposta al mondo proprio ai danni della Marina israeliana. A colare a picco il caccia Eilat, in navigazione a 10 miglia al largo di Port Said, era infatti stato il lancio di 3 missili antinave SS-N-2 “Styx-A” (per la terminologia NATO: per i russi P-15 “Termit”), effettuato dall’interno del porto e con assistenza sovietica da 2 “Komar”. Protagonista dell’evento, spartiacque nella tecnica di guerra navale (avviando una corsa tra missili e contromisure simile a quella combattuta tra cannone e corazza tra 1860 e 1940), fu un goffo e ingombrante ordigno pesante oltre 3 tonnellate e lungo 6,3 metri, in servizio dal 1958. Propulso da un turbogetto che garantiva una velocità subsonica, con una testata bellica di mezza tonnellata di esplosivo, lo “Styx” nella versione consegnata agli Stati arabi era equipaggiato con un sistema misto autopilota/guida radar attiva, e restava anche nel 1973 la punta di lancia nella panoplia dei sistemi d’arma navali siro-egiziani.
Israele però non aveva dimenticato la dura lezione subita con la perdita dell’Eilat e di 47 membri del suo equipaggio. Nata nel 1948 dal preesistente servizio navale del Pal’mach (Pal’yam), con una congerie di navi da guerra sui generis, comprendente vecchi mercantili, un rompighiaccio, l’ex yacht del presidente americano Teddy Roosevelt e una corvetta dotata di un cannone da montagna, la Marina israeliana negli anni ‘50 e ‘60 era stata potenziata con diverse navi di seconda mano ammodernate, compresi 2 cacciatorpediniere (Eilat e Yaffa, ex britannici classe “Z” e gemelli delle analoghe unità egiziane) e 2 sommergibili.
Dopo le vicende della Guerra d’attrito del 1967-1970, Israele decise di puntare soprattutto sul naviglio leggero d’attacco: le unità maggiori di superficie furono disarmate, tranne una vecchia corvetta impiegata per l’addestramento. Dei 5 sommergibili entrati in linea (tutti ex inglesi), i 2 in servizio dal 1958 erano già stati disarmati; degli altri 3, acquistati nel 1967-1968, come accennato il Dakar era affondato durante il viaggio di trasferimento dalla Gran Bretagna nel 1968. I superstiti Leviathan e Dolphin nel 1973 erano impiegati solamente per compiti addestrativi o di supporto alle forze speciali. Punta di lancia era così divenuta anche nella Marina israeliana la componente incentrata sulle unità leggere d’attacco. Già nel 1956 erano state acquistate Cantieri Baglietto di Varazze le piccole e velocissime motosiluranti classe “Ophir”, che si aggiungevano a motosiluranti e vedette anche di costruzione bellica ex anglo-americane.
Negli anni ‘60 Israele valutò il modello tedesco Schnellboote Type-55, realizzato per la Bundesmarine dal cantiere Lurssen di Brema, ma riprogettato dalle Constructions Mécaniques de Normandie (CMN), e da cui sarebbe derivato il leggendario tipo “Combattante”, realizzato in decine di esemplari.
Le prime 6 unità furono ordinate ai cantieri francesi nel 1965; con un armamento derivato dalle contemporanee motocannoniere italiane classe “Freccia” e ribattezzate classe “Saar-1”, le unità ebraiche erano armate con 3 complessi Breda-Bofors da 40 mm, in attesa di ricevere sistemi più paganti. Nel 1966 furono poi ordinate le 6 unità del secondo lotto (“Saar-2”), finanziate dal governo tedesco e predisposte a imbarcare il nuovo cannone da 76/62 mm “Compatto” della OTO-Melara, ribattezzato “Hanit”).
L’acquisizione delle unità, che aveva visto l’arrivo a Cherbourg di circa 200 tra marinai e tecnici israeliani, sotto il comando di una delle leggende della Heyl Ha’yam, il contrammiraglio Yochai Ben-Nun [1] fu alquanto avventurosa, poiché dopo il trasferimento delle prime 2 “Saar” il governo di Parigi aveva posto l’embargo alla vendita di armi ai Paesi mediorientali coinvolti nella guerra dei Sei Giorni. Altre 5 unità riuscirono più tardi a salpare le ancore alla spicciolata, approfittando di alcune sospensioni dell’embargo.
Le ultime 5, sequestrate dal governo francese nel 1969, furono riacquistate come “traghetti” da un’impresa norvegese (in realtà un paravento dei servizi segreti israeliani), e trafugate con la rocambolesca Operazione “Arca” dal porto di Cherbourg nella notte di Natale di quello stesso anno, arrivando alla base di Kishon il 31 dicembre. Tra il 1969 ed il 1970 tutte le unità furono riequipaggiate con missili “Gabriel” Mk-1 di produzione nazionale, asserviti alla direzione di tiro Argo NA-10, con radar RTN-10X di Selenia, come italiana era l’artiglieria imbarcata.
Alla vigilia della guerra di Yom Kippur la Marina israeliana, dal 1972 al comando del contrammiraglio Binyamin “Bini” Telem (1928-2008) aveva quindi standardizzato la sua linea d’attacco sulle 12 unità costruite in Francia, cui nel 1973 si aggiunsero le prime 2 “Saar-3” (o classe “Reshef”: 13 unità completate entro il 1980), cui si aggiungevano 9 vecchie motosiluranti e le vedette classe “Dabur” equipaggiate con mortai e siluri antisom.

La fionda di Davide

Unità lanciamissili israeliane in formazione nel 1973.

Unità lanciamissili israeliane in formazione nel 1973.

Sistemi d’arma e sensori acquistati in Italia sarebbero presto tornati utili alla Heyl Ha’yam. Lo scoppio della guerra, il 6 ottobre 1973, come accennato aveva colto di sorpresa anche gli eccellenti servizi di intelligence ebraici, tra l’altro impegnati all’epoca a fronteggiare azioni terroristiche palestinesi in Europa.
Non si farà tuttavia cogliere impreparata proprio la Marina israeliana: mentre a terra e in aria le forze ebraiche passavano alcune giornate da incubo, la piccola flotta di Tel Aviv combatté e vinse le sue battaglie su due fronti, e senza subire alcuna perdita.
Il primo scontro si svolse al largo delle coste siriane, all’altezza del porto di Latakia, nella notte tra 6 ed 7 ottobre, dopo che 5 motomissilistiche israeliane avevano preso il mare per sorprendere eventuali gruppi navali siriane. Al comando di un commodoro di 38 anni, Michael “Yomi” Barkai [2] le navi israeliane incrociarono al largo del porto siriano di Latakia, principale base navale avversaria. La squadriglia israeliana era suddivisa in due gruppi: e quando sugli schermi radar israeliani apparve il primo bersaglio, Barkai ordinò di aprire il fuoco con i pezzi da 76 mm, e al gruppo esterno di passare all’attacco. Il fuoco concentrato delle artiglierie mandò rapidamente a picco una motosilurante siriana. Subito dopo fu la volta di un dragamine d’altura da 750 tonnellate di essere avvistato e affondato da un “Gabriel” sparato dalla nuovissima Reshef a una distanza di 18 km (un secondo missile era finito in mare perché sparato troppo da lontano).
Nel frattempo 3 unità leggere missilistiche siriane (una “Osa” e 2 “Komar”) erano uscite da Latakia, partendo all’attacco nonostante l’inferiorità numerica, contando sulla grande gittata dei propri missili antinave “Styx”, che raggiungevano i 46 chilometri contro i 22 del “Gabriel” Mk-1. Ma la prima battaglia navale della storia combattuta tra navi che avevano nei missili la propria arma principale, andò malissimo ai siriani, che spararono in rapida successione 6 “Styx”, tutti però ingannati e deviati in mare dai sistemi lancia-artifizi tipo SLQ/B italiani e apparati jamming di realizzazione nazionale, sino ad allora mai provati in condizioni di combattimento. Allora le unità arabe si divisero: le “Komar”, senza più missili e prive di artiglieria leggera, si ritirarono cercando protezione nelle difese di Latakia. La motomissilistica “Osa”, cui rimanevano 2 ordigni, si fece coraggiosamente sotto, sparando un’ultima salva, anch’essa senza esito. A quel punto furono le unità di Barkai a contrattaccare, lanciando una salva di “Gabriel” che investì in pieno la scompaginata formazione siriana: le 3 unità, centrate dalle testate da 180 chilogrammi di TNT, furono distrutte, con gravi perdite tra gli equipaggi.
Nei giorni seguenti, i resti della Marina siriana (che dal punto di vista del valore dimostrato non aveva nulla di cui rimproverarsi) rimasero imbottigliati nei porti, vigilati dalle unità aeree e navali israeliane.
Il peso della guerra in mare si spostò così a sud, verso l’Egitto, la cui forza navale era ben più consistente, allineando, come accennato, 20 tra sommergibili, fregate e cacciatorpediniere, e una sessantina di unità leggere d’attacco. Forze che il governo cairota aveva pianificato di impiegare lungo tre direttrici. Innanzitutto, appoggiando l’attacco iniziale, che consisteva proprio nel varcare una via d’acqua (il Canale di Suez) la cui sponda orientale era controllata dalle fortificazioni israeliane della “Linea Bar-Lev”.
In secondo luogo, effettuare operazioni di blocco navale, per interdire i porti israeliani ed eventuali rifornimenti via mare, impiegando sommergibili e unità maggiori di superficie, in cooperazione con l’aviazione. Terzo, attaccare e possibilmente distruggere le forze navali israeliane.
Piani che ebbero successo relativamente al passaggio del Canale, mentre le operazioni di blocco si svilupparono efficacemente in Mar Rosso; le operazioni in Mediterraneo Orientale finirono invece in un disastro, aggravato dai risultati ottenuti dagli incursori israeliani del Kommando-Yami.
L’attacco attraverso il Canale riuscì grazie a una accurata preparazione iniziata nel 1971, conseguendo la sorpresa tattica e strategica. Nelle prime ore del conflitto una brigata d’assalto anfibio egiziana, ed equipaggiata con materiale da ponte sovietico e cingolati anfibi K-61GPT e PTS-M, capaci di trasportare rispettivamente 32 e 70 uomini, obici da 122 e cannoni controcarro da 100 mm, ruppe le difese israeliane, scarsamente presidiate, forzando il Piccolo Lago Amaro e costituendo una testa di ponte sulla riva orientale del Canale.
Quindi una seconda ondata di 8.000 uomini armati con numerosi missili portatili antiaerei SA-7 e controcarro RPG-7 passavano la via d’acqua a bordo di 1.000 gommoni d’assalto. I reparti anfibi erano stati preceduti dai genieri, che con pompe d’acqua ad alta pressione facevano saltare gli argini e i terrapieni difensivi. Unità di incursori, bene addestrati in URSS e distintisi già durante la Guerra d’attrito, dal 1972 avevano effettuato diverse ricognizioni lungo la sponda est del Canale, e alla vigilia dell’operazione “Badr” sminarono le aree d’attacco e distrussero le tubazioni dalle quali gli Israeliani pensavano di immettere benzina nella via d’acqua, creandovi una barriera di fuoco.
Questa parte del piano egiziano fu un indubbio successo: in meno di 24 ore si erano attestati al di là del Canale 27.000 uomini e 240 carri, in posizioni solide e alimentate da due ponti di barche ciascuna, pagando l’attacco con soli 208 morti.
Un altro successo degli strateghi egiziani fu l’azione di blocco in Mar Rosso. Qui già in agosto il Cairo aveva distaccato uno squadrone composto da 2 cacciatorpediniere ex sovietici classe “Skory”, con l’ordine di restare al di fuori del raggio d’azione degli israeliani, la cui aviazione aveva già sorpreso e affondato nel maggio 1970 due unità dello squadrone egiziano del Mar Rosso, ossia il caccia El Qaher e una motomissilistica tipo “Komar”. Le navi dovevano tagliare le linee di traffico per Israele tra gli stretti di Bab El Mandel ed il porto israeliano di Eilat. La piccola task force (operante a 1.000 miglia dal più vicino porto nazionale) si sarebbe appoggiata ai cantieri pachistani per eventuali lavori d’arsenale, e al porto yemenita di Aden per il sostegno logistico, nonché ai porti di Hodeidah, Berbera, Port Sudan.
Alle 14.00 del 6 ottobre 1973 (l’ora “H” dell’operazione “Badr”) fu attivato il blocco navale. Le operazioni dello squadrone sarebbero durate 7 mesi, osservate da unità americane, inglesi e francesi; il blocco infatti sarebbe stato utilizzato da Sadat anche dopo il “cessate il fuoco” come arma di pressione su Israele. Lo Stato Maggiore egiziano ha stimato in 18 milioni di tonnellate di petrolio il flusso diretto a Eilat bloccato dalla sua flotta, e in 48.000 tonnellate il naviglio mercantile affondato dalle mine posate dagli egiziani lungo gli accessi al porto israeliano.

Battaglia sul Nilo

Le unità israeliene di Barkai reduci dalla vittoria di Latakia del 7 ottobre 1973.

Le unità israeliene di Barkai reduci dalla vittoria di Latakia del 7 ottobre 1973.

La Marina israeliana ovviamente non rimase a guardare.
Nel Mar Rosso, al comando del capitano di vascello Ze’ev Almog dal 1972, le forze ebraiche condussero una serie di azioni che, se non riusciranno a impedire il blocco navale, porteranno comunque alla cattura o alla distruzione di 28 unità militari e mercantili egiziane. Almog [3] guiderà poi un raid contro il porto di Hurgada, nel Nord del Mar Rosso, conclusosi con la distruzione di una motomissilistica egiziana, e architetterà un attacco contro Marta Tlamat, piccolo sorgitore nel Golfo di Suez, compiuto con pesanti mortai imbarcati su un’unità anfibia.
Nel frattempo, in Mediterraneo le motomissilistiche del commodoro Barkai presero ad effettuare repentine puntate lungo la costa egiziana.
Nella notte tra l’8 ed il 9 ottobre 6 unità con la Stella di David incocciarono in 4 unità nemiche al largo delle foci del Nilo, all’altezza di Damietta. La battaglia che ne seguì fu altrettanto rapida (e per gli egiziani – letale) di quella di Latakia. In inferiorità numerica, le 4 navi di Sadat approfittarono della maggiore gittata dei 16 “Styx” imbarcati lanciandone subito 13 in quattro salve. Ma ancora una volta le contromisure elettroniche e d’inganno di marca italo-israeliana ebbero la meglio: solo un missile ne superò la barriera invisibile, per essere abbattuto dal 76/62 OTO-Melara “Compatto” di un’unità ebraica.
Il contrattacco israeliano fu invece devastante: accorciate le distanze (mentre altri missili egiziani venivano lanciati senza successo) le unità della Heyl Ha’yam spararono una salva di “Gabriel” che provocò l’esplosione di 2 “Osa” nemiche, immobilizzandone una terza, che verrà poi finita a colpi di cannone, mentre la quarta riusciva a prendere il largo. Il rifiuto russo nel fornire moderni sistemi elettronici aveva di nuovo fatto pendere l’ago della bilancia a favore di Israele.
La Heyl Ha’yam contrasse invece un grosso debito di riconoscenza con l’industria italiana per l’ottimo comportamento di artiglierie, radar di tiro e contromisure imbarcati sulle sue motomissilistiche, in piccole ma letali battaglie navali che hanno segnato una svolta nella guerra sul mare [4].
Poco dopo la Marina israeliana fece il bis, affondando al largo di Port Said un’altra “Osa” egiziana che aveva attaccato una motomissilistica israeliana. Nella stessa notte (10-11 ottobre) le unità ebraiche tornavano all’offensiva lungo la costa siriana, attaccando con missili e cannoni il terminale petrolifero di Banyas, la base navale di Minet el Beira, il porto di Latakia e quello di Tartous, affondandovi una motosilurante araba e un mercantile sovietico.
Azioni minori si registrarono poi a De Castro e Ras Arib, con nuove perdite per la Marina egiziana, inferte anche dagli incursori del Kommando-Yami. Di questo reparto, che affonda le sue radici nelle Plugot Yam (le compagnie di incursori navali del Pal’Mach addestrate dagli inglesi durante la Seconda guerra mondiale), si sanno con certezza soltanto pochi dati, per lo più “storici”; il riserbo è infatti ancora maggiore di quello riservato all’altrettanto leggendario reparto speciale dell’Esercito, lo Sayeret Mat’kal.
Nel 1948, forte anche dell’addestramento impartito da un ex sottufficiale della Decima Mas, Fiorenzo Caprotti, gli incursori del Kommando Yami affondarono nel porto di Bari un mercantile italiano carico di armi cecoslovacche dirette a Beirut. Carico poi recuperato e “dirottato” verso Israele con un’altra operazione da manuale, concepita dal mago dell’intelligence ebraica Isser Harel. Nell’ottobre 1948 un commando di incursori, guidato da Yochai Bin-Nun, attaccava con 3 MTM (barchini esplosivi ex italiani) il porto di Gaza, affondandovi l’ammiraglia egiziana, la corvetta Emir Farouk, e un dragamine.
Nel 1956 gli incursori combatterono assieme ai paracadutisti al Passo Mitla, mentre durante la guerra dei Sei Giorni e il successivo conflitto “d’attrito” (1967-1970), dopo alcuni insuccessi iniziali portarono a termine la distruzione delle postazioni radar egiziane di Ras el Adabia (21 giugno 1969) e dell’Isola Verde (19 luglio), e di 2 motosiluranti.
Durante la guerra del Kippur gli incursori israeliani si scatenarono, soprattutto contro la base navale egiziana di Hurgada, visitata una prima volta (senza esito) già nella notte del 9 ottobre. Due giorni dopo gli uomini-rana israeliani riuscirono però ad affondarvi una motomissilistica classe “Komar”, mentre una seconda veniva sabotata (assieme alle infrastrutture portuali) il 20 ottobre. Nelle 48 ore successive, nuove incursioni portarono alla distruzione di altre 2 “Komar”, compresa quella che esattamente sei anni prima aveva affondato l’Eilat.
Più movimentata l’incursione effettuata il 16 ottobre nella base egiziana di Port Said, che portò all’affondamento di una “Komar” e di 2 motosiluranti, contro però la perdita di due dei 6 incursori impiegati.
Il bilancio complessivo delle operazioni navali dell’ottobre 1973 è comunque chiaro nell’indicare vinti e vincitori.
Le forze affondarono o misero fuori combattimento una ventina di unità avversarie, comprese 6 motomissilistiche tipo “Osa I”, 7 “Komar” (la metà delle unità lanciamissili d’attacco in linea con le Marine siriana ed egiziana), 4 motosiluranti e un dragamine d’altura. Nessuna perdita invece per la Marina israeliana, che subì uno scacco solamente dove non era presente se non con un pugno di vedette, ossia in Mar Rosso. Qui la flotta egiziana operò con accortezza, impiegando unità maggiori e guerriglia di mine per bloccare Eilat, anche se l’intera missione fu marginale rispetto al nocciolo del conflitto, e troppo breve perché il blocco potesse avere un reale successo strategico.
Negli scontri di superficie combattuti tra unità missilistiche (i primi della storia, tecnicamente paragonabili alla prima battaglia combattuta tra corazzate ad Hampton Roads nel 1862, o quella di Coral Sea tra portaerei, nel 1942), la palma della vittoria spettò alla Heyl Ha’yam, con una decina di affondamenti all’attivo, mentre dei 52 missili complessivamente sparati dalle unità arabe, comportatesi comunque con grande aggressività e determinazione, o dalle batterie costiere, non uno raggiunse le navi con la Stella di David.

 

 

 

 

 

Note

[1] Nato nel 1924, Yochai Ben-Nun fu il fondatore degli incursori navali ebraici dello Shayetet 13, che nel 1948 guidò nel porto di Gaza affondandovi l’ammiraglia della Marina egiziana; nel 1956 catturò un caccia egiziano. A soli 36 anni fu posto alla testa della Heyl Hayam, dal 1960 al 1966, per poi dirigerne il reparto acquisizioni. Padre dell’istituto oceanografico israeliano, è morto nel 1994.
[2] Poi comandante dalla Marina dal 1976 al 1979, morto suicida nel 1999.
[3] Come il coetaneo Barkai, anche Almog fu comandante della Heyl Ha’yam dal 1979 al 1985.
[4] Test sul campo che hanno aperto all’enorme successo ottenuto negli ultimi 50 anni da artiglieria e sensoristica “made in Italy”, esportati in decine di paesi, comprese potenze navali come Stati Uniti, Giappone, Corea del Sud, Germania, Francia.

Per saperne di più
AA.VV. (a cura di John Keegan), Guerre in tempo di pace dal 1945, Istituto Geografico De Agostini, 1983
E. Cecchini, Guerra e politica nel Medio Oriente, Mursia 1987
G. Da Frè, I grandi condottieri del mare, Newton Compton 2016
G. Da Frè, Almanacco navale del XXI secolo, Odoya 2022
S. Dunstan, La guerra dello Yom Kippur, LEG 2018
M. Van Creveld, La spada e l’ulivo, Carocci 2004