Editoriale: Sei lo Stato? Allora non c’entri

di Paolo M. Di Stefano -

Gli svizzeri si sono mobilitati e lo hanno fatto alla grande. Il referendum sul tetto ai super stipendi ha visto un’affluenza del 53,6%, superiore alla media degli ultimi cinque anni.
E il 65,3% ha detto un “NO” tanto maiuscolo da sembrare uno di quei grattacieli assurti, oggi e nel mondo, a simbolo di ricchezza e di potere.
Per quanto possa sembrare strano, a me – che da anni sostengo che deve essere immaginata ed attuata una gradualità degli stipendi al fine di consentire non soltanto una più equa distribuzione della ricchezza, ma anche quella modifica all’attuale sistema economico che appare sempre più necessaria ed improcrastinabile – a me, dicevo, la cosa ha fatto piacere.
Intanto, perché mi sono sentito un po’ meno solo: qualcuno, evidentemente, la pensa come me ed ha avuto la forza di portare la proposta all’esame della gente.
Poi, perché “la gente” – “quella” gente – l’ha bocciata.
Che vuol dire che tutti coloro che pensano che una modifica del sistema economico nel senso indicato debba essere attuata hanno ragione. Chi è che diceva che, dal momento che non si è mai vista una verità conclamata da tutti, se tutti pensano in un modo ed io soltanto la penso diversamente, vuol dire che io ho ragione?

La verità è che l’attuale nostro sistema economico si basa sull’esercizio della forza diretta allo sfruttamento dei più deboli a vantaggio di alcuni che, proprio perché più forti, diventano più ricchi e incrementano le ricchezze attuali con l’esercizio del potere con esse acquistato e mantenuto e accresciuto. Il tutto, in un circolo virtuoso se visto dai ricchi e dai potenti; vizioso quando non delittuoso se visto dalla parte degli sfruttati.
Comunque, un circolo che da sempre ha dimostrato una sua validità, a mio parere inversamente proporzionale alla dimensione della comunità di riferimento. Più piccola questa è, maggiori sono le probabilità che esercizio del potere e uso della ricchezza abbiano ricadute positive anche sulla gente, oltre che sui protagonisti.
Che mi par cosa normale. In una qualsiasi famiglia, le risorse di cui il pater è a un tempo costruttore e detentore e conservatore determinano il benessere di tutti i componenti. Diretti, innanzitutto, e poi anche indiretti. La ricchezza permette non soltanto a capo di casa, moglie e figli di condurre e mantenere un tenore di vita soddisfacente, ma anche di mantenere in condizione abbastanza agiata parenti, amici e clientes. E addirittura qualche estraneo, se il paterfamilias è un uomo generoso e se questo giova alla sua immagine.
Naturalmente, in una scala mano a mano discendente, lungo la quale si dispongono i parenti, gli amici e i clientes. Al fondo, gli operai, i servi della gleba, gli schiavi e tutti coloro che realizzano quella “economia concreta o reale” di cui oggi tanto si parla e che produce i beni ed i servizi necessari alla soddisfazione dei bisogni.
Del pater e della sua famiglia agnatizia, poi quelli della famiglia cognatizia, e, a seguire, quelli degli amici e dei clientes. Ai “servi”, è comunque assicurata la sopravvivenza e forse anche la sicurezza, ovviamente non solo e non tanto nel loro interesse, quanto soprattutto in quello della famiglia.

Gli svizzeri sembrano aver preso il posto, nel mondo della nostra economia, del paterfamilias e sembrano essere sempre più tesi a difendere le ricchezze conquistate e ad accrescerle. Una scelta come un’altra, ed una scelta legittima.
Solo che, intanto, gli svizzeri non sono nella posizione del paterfamilias, dal momento che non rappresentano se non una minoranza numericamente non determinante del mondo così detto civilizzato. Di più: forse proprio perché minoranza, l’egoismo svizzero appare segno distintivo di una popolazione che pensa a se stessa ed al proprio benessere con priorità assoluta ed anche esclusiva.
E dunque, che il loro benessere si estenda al di fuori dei loro confini è quanto meno improbabile. Cosa che non interessa più che tanto agli svizzeri, dicevo, ma interessa e molto, invece, gli altri abitanti del pianeta. Il che, con molta probabilità, proietta quella immagine di egoismo e di cinismo che non li rende simpatici ad una parte del mondo, e che potrebbe anche avere un effetto boomerang e creare un motivo di debolezza. Cosa accadrebbe se si cominciasse a tagliar fuori la Svizzera dai rapporti economici con l’Europa, per esempio, o di Europa e Stati Uniti, oppure di Europa, Stati Uniti, Cina, ed altri Paesi dei diversi continenti? Che non sarebbe cosa difficile, soprattutto se la cultura dovesse orientarsi verso un ridimensionamento dell’importanza della ricchezza individuale e dell’economia dettata dalla finanza.
E isolare economicamente la Svizzera sembrerebbe anche abbastanza facile. Per esempio, non facendo più transitare le merci per il Paese; punendo immediatamente e con forza tutti coloro che si prestano a commercializzare prodotti fabbricati nella Confederazione ad imitazione di prodotti tipici di altre Nazioni, e confezionati con marchio adatto a confondere i consumatori; e via dicendo, fino a non permettere alla Svizzera di porsi quale partner nelle attività finanziarie di Stati, imprese e privati.

Roche, Nestlé, UBS pagano cifre da capogiro ai loro dirigenti. Significa che gli Svizzeri continuano a pensare che “se l’uomo vale, va pagato per quello che vale”. Che è bello e giusto, ma che non tiene conto di almeno tre fattori a mio avviso importanti.
Il primo: non è vero che l’economia prescinde dall’etica e dalla morale. E’ vero soltanto che i comportamenti che non ne tengono conto pagano, ed anche bene, ma sono destinati in tempi più o meno lunghi a dissolversi a fronte di un concetto di equità e di giustizia sociale che avanza per quanto a fatica e che conquista spazi sempre meno ristretti. L’egoismo personale tende a stemperarsi con l’elevarsi del livello della cultura dei popoli, delle nazioni, della gente, delle persone. Probabilmente non sarà mai cancellato del tutto, ma certamente farà apparire con evidenza sempre maggiore l’ingiustizia profonda dello squilibrio che disegna attualmente la distribuzione della ricchezza.
Sempre che non si continui ad insegnare, come anche noi in Italia facciamo, che l’economia vive e prospera in assenza di qualsiasi vincolo etico e morale (quando non anche giuridico) e che in presenza di una assoluta libertà il sistema economico si autoregola fino a raggiungere uno stato di equilibrio di soddisfazione di tutti.
Il secondo: la cosiddetta classe dominante è assolutamente autoreferenziale. E dunque, giudica il valore e la professionalità delle persone in base agli effetti prodotti sulle ricchezze di cui dispone. E poiché al momento e nel nostro sistema economico la ricchezza è prodotta dalla diseguaglianza e dalla appropriazione delle risorse delle categorie più deboli da parte dei detentori del potere, si generano effetti distorti proprio per la “bravura” dei responsabili delle imprese e delle banche, i quali ricorrono a qualsiasi mezzo pur di apparire creatori di ricchezza a vantaggio dei proprietari delle imprese. Forse che abbiamo già dimenticato i guasti procurati dall’inseguire la massimizzazione del profitto da parte dell’economia finanziaria? Bisogna proprio ripetere che la crisi nella quale ci dibattiamo dipende in gran parte proprio da quella economia finanziaria la quale, pur di massimizzare i profitti, ha elaborato una serie pressoché infinita di trappole e trabocchetti, ovviamente vendendole come risposta alle esigenze di una clientela, peraltro in gran parte avida e sprovveduta?
La quale – e questo è a mio parere il terzo elemento cui non si guarda con l’attenzione necessaria – fa vivere un sistema che tende a svilupparsi per forza propria ed a sfuggire ad ogni controllo. E questo non soltanto perché, nel mercato, ogni impresa sviluppa una sua forza di inerzia che in qualche modo ne assicura la vita talvolta addirittura “nonostante” la attività dei manager, ma tende a sovrapporsi alla valutazione di “professionalità”, attribuendo al manager di turno quanto dipende, invece, proprio dalla capacità di auto sopravvivenza. Cosa – la capacità di sopravvivenza dell’impresa – destinata ad estinguersi in tempi più o meno brevi, ma comunque tali da consentire al manager di “vendersi” come detentore di un potere sovraumano, quasi divino.

L’ingerenza dello Stato in tutto questo forse non solo non è obbligatoria e forse neppure opportuna, ma potrebbe essere il vero significato del risultato del referendum. Che non mi pare una cosa positiva: significa che anche gli svizzeri reputano che lo Stato debba essere, al massimo, soltanto un esecutore e al più un mediatore nella soddisfazione di bisogni personali, individuali. E che debba intervenire nel mondo dell’economia solo per consentire agli imprenditori di ridurre al livello minimo possibile i rischi d’impresa ed alle banche di “fare impresa” senza rischio alcuno.
Che è sbagliato, e lo è profondamente.
E significa anche che gli svizzeri ragionano a breve termine e sempre e soltanto per egoismo. Forse, per egoismo “di Paese”, ma pur sempre di egoismo si tratta. Scrive Danilo Taino (Corriere della Sera, 25 novembre, pag.15): «L’idea respinta dal referendum era demagogica, nel senso che faceva credere che le ingiustizie sociali (…) si possano risolvere con imposizione amministrativa».
E’ vero che le ingiustizie sociali non si risolvono con le sole imposizioni amministrative, ma è e rimane vero che una delle funzioni fondamentali di uno Stato moderno e delle sue leggi è proprio di “impostare” una cultura diretta ad eliminare per quanto possibile quelle ingiustizie, e quindi di cominciare da qualche parte affinché la cultura della “soddisfazione sociale” e del “bene comune” si diffonda. Come è vero che – sempre gli svizzeri – «…lo scorso marzo avevano approvato la proposta di dare potere di veto agli azionisti – cioè dei proprietari delle imprese – quando si decide il compenso dei top manager». Solo che “gli azionisti” sono in realtà un mucchio di gente che in genere conta molto poco nella gestione delle imprese e, sempre in genere, non è in grado proprio per cultura gestionale e per tipo di interesse (guadagnare e basta) di influenzare le decisioni dei veri manager.
Se non fosse stato così, credete veramente che non avrebbero scelto di limitare i guadagni dei manager così guadagnandosi (anche e forse) la possibilità di veder crescere i dividendi?

Un qualsiasi Stato moderno nasce e si sviluppa (o dovrebbe nascere e svilupparsi) con il compito principale di provvedere a soddisfare i bisogni della comunità che lo costituisce, di tutta la comunità, della sua componente ricca e potente così come di quella povera e indifesa. Non dovrebbe essere altrimenti: sarebbe come se un qualsiasi individuo decidesse di soddisfare i bisogni di cui è portatore soltanto per la parte che concerne l’accettazione o la affermazione, trascurando quelli che riguardano la sopravvivenza e la sicurezza.
Quando questo accade, si è in presenza di malattie anche gravi e spesso incurabili.
E si tratta di bisogni propri dello Stato in quanto “persona”, sussunti nella loro essenza di mediazione tra gli egoismi dei singoli individui e di rilettura in senso collettivo. Il che basta da solo a giustificare la così detta ingerenza dello Stato nella attività economica a qualsiasi livello.
E fa chiarezza, anche, nei rapporti – in genere confusi e forse volutamente tali – tra Politica ed Economia, in fondo riaffermando quella supremazia della Politica sulla Economia che è una conquista assolutamente moderna. Le prime entità assimilabili agli Stati null’altro erano se non i gruppi costituiti da padrone e compagni e servi con il compito di conquistare territori e ricchezze, di ampliarli, di difenderli e di mantenerli. E per far ciò, si è inventato di tutto, ivi compreso l’intervento divino per la dotazione della sovranità in capo al più ricco e potente. E non di rado, più furbo.
Significa che, almeno in termini temporali, l’Economia precede la Politica, ma non che questa é di secondaria importanza. La primazia della Politica si è avverata con la progressiva presa di coscienza della necessità di quella che possiamo chiamare “minore ingiustizia sociale”, anche al fine di limitare gli effetti della litigiosità tra individui tra di loro, tra individui e gruppo di appartenenza, tra gruppi tra di loro.
Con le conseguenze che tutti, io credo, conosciamo a livello sociologico.

Il passaggio della sovranità in testa al popolo a me pare la più importante di queste. E la Confederazione Elvetica è da più parti riconosciuta come esempio positivo di democrazia diretta. Ed è probabilmente così.
Allora, significa che il problema sta proprio nella cultura popolare: la giustizia retributiva e l’equa redistribuzione della ricchezza sono una conquista culturale, dalla quale gli Svizzeri sono ancora lontani.
Occorre provvedere, e l’Europa può far molto.

La cultura dello Stato è certamente carente in Italia. Mentre queste note vanno in rete, si attendono i risultati delle primarie del Partito Democratico. Una cosa soltanto sembra assolutamente certa: la mancanza assoluta di un “progetto di Stato”. I candidati sembrano competere sulla base di “pezze a colori” da cucire qua e là sullo sdrucito abito di un partito che si avvia a perdere per l’ennesima volta il treno delle innovazioni e della progettazione di quella via di equità e giustizia sociale che potrebbe e dovrebbe improntare la ricerca di un nuovo sistema economico e di rapporti diversi tra Politica ed Economia.
Le ambizioni personali sembrano ancora una volta vincenti.
Che, a pensarci bene, sembra la stessa identica cosa che anima l’azione della destra e del centro.
Il tutto, in spregio assoluto dello Stato e dei suoi poteri.
E non è certo un caso che Luigi XIV abbia ancora una volta fatto sentire la sua voce: lo Stato sono io.
Naturalmente, ha parlato attraverso il proprio rappresentante in questo Paese e in questi anni, e naturalmente non si è curato più che tanto dei comportamenti della sua reincarnazione, pregressi ed attuali. Se lo Stato sono io, qualcuno può impedirmi di valutare nel bene e nel male il mio comportamento?
Io legifero, io opero, io giudico. E in verità in verità vi dico: tutto ciò che io ho fatto e mi riservo di fare è nell’interesse di un Paese, il nostro, oggetto di sviscerato amore e di sacrifici enormi da parte mia.
Un seguito rilevante di clientes si è preoccupato e si preoccupa di diffondere il messaggio, anche andando in TV ad equiparare il nuovo Luigi XIV a Gandhi, oppure a Luther King, a Kennedy (…) insomma a tutti coloro che, in fondo, non sarebbero che prototipi. Celebri e celebrati, ma solo prototipi.

Una cosa è e rimane assolutamente vera: la legge non è eguale per tutti. Il mio professore di Storia del diritto Italiano, in epoca ormai preistorica, iniziò il suo corso universitario dicendo testualmente: «La legge non è eguale per tutti. Quindici giorni di carcere per un pregiudicato ladro di polli non sono niente; per me, sarebbero una jattura irreparabile».
A distanza di oltre sessant’anni devo riconoscere che il Docente, anche uomo politico e Ministro della Pubblica Istruzione (come allora si diceva), aveva ragione: la legge non è eguale per tutti. Ma non solo nel senso da Lui sostenuto.
I quindici giorni previsti per il ladro di polli devono diventare molti di più quando a delinquere è un uomo politico, e la pena va graduata a seconda dell’importanza del politico stesso.
E non importa se, vista dal suo angolo di visuale, l’azione commessa ha valore minimo: se io ho pagato in tasse qualche milione di euro, sottraendone allo Stato appena qualche centinaia di migliaia, quel che conta è che io ho frodato lo Stato.
Con qualche corollario: ma è possibile mai che non debbano essere perseguiti coloro che difendono a oltranza comportamenti del genere e ingiuriano la Magistratura ed il Capo dello Stato e tutti quelli che la pensano diversamente? Ed è mai possibile che cittadini onesti, perseguitati da un fisco che li tartassa ed al quale obbediscono, debbano essere invitati a difendere chi non vuole assolvere i propri doveri di contribuente? E perché mai dobbiamo continuare a consentire che uomini politici e dell’apparato paghino con i soldi pubblici i vizi privati?

Non ne quadra una! A maggior ragione, forse gli auguri per le prossime feste e l’anno nuovo sono necessari. Auguri!