Cattedra: Forse un apologo, forse un modo atipico per capire la politica

di Paolo M. Di Stefano -

Ho scoperto un dizionario, e non l’ultimo venuto, che inizia così: «b.B./bi*/ ° Prima lettera dell’alfabeto italiano (nome per esteso : bi,┼ e dial. be (2))…».
Ovviamente, ho pensato ad un errore, anche perché un secondo dizionario, non meno noto e affidabile, scrive invece «seconda lettera dell’alfabeto italiano e latino, derivata dal beta greco e questo dal bet fenicio (…)».
Colto da una specie di frenesia, ho aperto una serie imponente di dizionari e di sacri testi: tutti descrivono la “B” come seconda lettera del nostro alfabeto.
Ma, possibile che un vocabolario celebre avesse commesso un errore così marchiano come quello di riclassificare la lettera “B” come prima, pur mantenendola dopo la “A”? E possibile che l’errore fosse sfuggito ai severi e colti linguisti e correttori di bozze?
Tutto è possibile, è vero, ma l’idea che quel dizionario fosse stato vittima di un refuso tanto importante non sono riuscito e non riesco tutt’ora ad accettarla
Perché, si direbbe in Umbria, io sono un “boccalone”, e pur nella mia tarda età continuo a credere in cose forse scomparse, (o anche mai esistite) come la assoluta affidabilità dei dizionari.
E allora?
Notti insonni, ho trascorso, e incubi a migliaia hanno tormentato i miei risvegli.
Finalmente ho capito.
Un dizionario ha anche il compito, forse primario, di disegnare la lingua per quella che attualmente è, e dunque ha il dovere di modificarsi col trascorrere degli anni, accogliendo i nuovi lemmi, e giubilando quelli ormai morti, giustamente contrassegnandoli con una croce, esempio classico, questa, di una comunicazione visiva la quale, nella sua essenzialità, soccorre la lettera ed evidenzia ulteriormente l’avvenuto decesso del lemma.

I

E’ incontestabile – io credo – che da oltre venti anni la lettera “B” sia stata e rimanga quella più usata nel nostro Paese. Anche in assoluta solitudine, non completata da alcuna altra lettera. Un po’ la realizzazione di quel «…e ho detto tutto!» reso celebre da un film di Totò.
“B, e ho detto tutto!”
E dunque, onore al dizionario che ne ha riconosciuta la primazia e ne ha tratto le dovute conseguenze, in ciò dimostrando anche una capacità creativa non consueta per il settore.
“B” prima lettera dell’alfabeto italiano. Non tanto perché è la iniziale di molti attributi ritenuti nel bene e nel male adatti a meglio descrivere persone, azioni, circostanze, tempi e luoghi, quanto perché iniziale del nome del personaggio più citato in assoluto, e non solo in Italia, dalle cronache politiche e dai pettegolezzi variamente colorati delle cronache prevalentemente rosa, ma non solo.
Tanto è diventata importante, la lettera “B”, che da più di un linguista si ventila la proposta di modificare l’inizio di alcune parole fondamentali. Già sembra molto in uso il lemma “Bolitica”, e buone speranze si nutrono per “Barlamento”, “Bartito” e, soprattutto, “Bersona”, la cui introduzione nell’uso comune darebbe immediatamente il senso del modo di essere degli elettori italiani, irrimediabilmente sedotti dal fascino della lettera “B”.
Anzi, dal fascino “del B”, meglio se pronunciato “Be”.
Nulla in contrario, ovviamente: al progresso non è facile e forse neppure giusto opporsi. Ho solo una perplessità dovuta più che altro ad una deformazione professionale: credo inopportuno riconoscere ufficialmente l’evoluzione della parola pubblicità in “bubblicità”, peraltro già non del tutto inutilizzata.
Dal momento che il nostro Baese è sempre stato generosissimo verso la casta, è anche invalso l’uso di assegnare ad alcuni bolitici ormai in disuso la qualifica di brofessore universitario ed un insegnamento non troppo impegnativo, ma non poco retribuito.
Come sempre avviene, c’è chi si spinge molto più avanti e, conscio della conclamata capacità di leader del signor B, maestro e donno, parla di “Bresidente”, anche proponendo la qualifica come grado superiore a quello di presidente (uno dei pochi lemmi con P iniziale rimasti intonsi), per la verità detenuto – quest’ultimo – da troppi italiani nullafacenti e privati per ragioni diverse dalle cariche fin’ora occupate in Parlamento o in Senato, e quindi per ragioni di facciata e para-umanitarie non facilmente perseguibili. Ancora.
E visto che ci siamo, perché non riconoscere la natura divina del Bresidente anche ritoccando in Baradiso il nome della residenza di Dio?
Pensate con quale orgogliosa gioia il popolo del Bresidente gli darebbe ancora il voto, guadagnando così quel Baradiso da oltre venti anni promesso e ogni due per tre lasciato intravedere con la maestria del grande venditore: grandi descrizioni di benefici attesi quanto contrastanti tra di loro, e quindi in grado di soddisfare tutti.
Almeno in parte.
La sua.

II

Molti di noi conoscono la prontezza della politica a recepire i desideri della comunità ed a trasformarli in vere e proprie pianificazioni di gestione.
Gestione di cosa? Suvvia: di tutti e di ciascuno degli elementi che costituiscono lo scambio di beni e di servizi adatti a soddisfare i bisogni della comunità e, in via mediata, degli individui. E questo, ovviamente, grazie alla profonda cultura e preparazione gestionale di cui i nostri uomini politici sono dotati e delle quali hanno dato e danno prove numerose e varie.
Il che spiega almeno in parte quel Brogramma del Bartito del B che, a detta di alcuni analisti, ha oggi e in Italia le maggiori probabilità di vincere le prossime consultazioni elettorali. Si tratta, tra l’altro, di un saggio importante di un nuovo corso nella comunicazione politica: non solo per l’esemplare chiarezza, ma – cosa forse più importante – per la forza di convincimento che riesce a trasmettere grazie ad un esempio concreto di applicazione nella pratica quotidiana, esercitato, con sprezzo del pericolo e con spirito di sacrificio, sul suo proprio corpo.
A partire dalla intestazione e dal titolo.

“Bartito del B, brogramma.

Bunto brimo. Riclassibicazione ed uso della lettera “B”.
Nell’esclusivo interesse del Baese, e al bine di berseguire la soddisbazione dei bisogni dei cittadini, insieme alla obbortunità di trasmettere agli altri Baesi una immagine creativa dell’Italia, noi intendiamo broborre al Barlamento il testo di legge qui di seguito ribortato.
Art. 1. La lettera “B”è riconosciuta come brima lettera dell’albabeto italiano, oltre che come brima delle consonanti.
Art. 2. La lettera “B” sostituirà sembre e dovunque bossibile nell’uso orale e in quello scritto la consonante labiale, sia questa momentanea come la stessa “B”e come la “b”, sia essa continua come la “f” e la “v”.
Sembre quando bossibile, la lettera “B” sostituirà anche le labiali contenute all’interno dei vocaboli. Non sono breviste eccezioni, salvo quelle tassativamente indicate dalla bresente legge.
Art. 3. La bresente legge introduce la bigura del “Bresidente”( e dei relatibi Ubbici di “Bresidenza”) al bertice della gerarchia dello Stato, del cui organigramma rabbresenta il libello massimo.
Lo scobo della Bresidenza è l’assumere e l’esercitare tutti i boteri che deribano dalla natura umana degli indibidui, delle comunità e delle nazioni, in una con quelli inbusi nel Bresidente dalla natura dibina di cui è dotato.
E’ batto obbligo a tutti i cittadini, senza eccezioni di età, di sesso, di classe sociale e di cultura, di bensare al Bresidente sembre e soltanto con la “B” maiuscola.
Rimangono inalterate le attuali diciture di “presidente” e dei relatibi “ubbici di presidenza” ber tutte le cariche e le bunzioni al momento in essere.
Art. 4. A bar tembo dalla entrata in bigore di questa legge, è batto obbligo tassatibo a tutti gli ubbici bubblici di oberare le sostituzioni brebiste entro e non oltre quindici giorni liberi. Gli ubbici bribati, di qualsiasi tibo siano e qualsiasi combito sbolgano, dobranno adeguarsi entro nobanta giorni.
I mezzi di comunicazione di massa, segnatamente la stamba e i network di ogni tibo, sono tenuti alla biù stretta osserbanza a bartire dalla data dell’entrata in bigore di questa legge.
I singoli cittadini dobranno oberare nel senso brebisto dalla bresente legge anche nell’uso delle comunicazioni bribate e bamiliari.
Art. 5. Al bine di consentire l’acquisizione dei brincibi di comunicazione deribanti dalla bresente legge, è istituito un “Ubbicio Centrale di bormazione e Brebarazione il quale, oltre ad organizzare abbositi corsi di bormazione, stilerà e aggiornerà gli elenchi dei lemmi modibicati, brobbedendo a bortarli a conoscenza della bobolazione con tutti i mezzi ritenuti idonei.
E’ batto inoltre obbligo a tutti i cittadini di inbormarsi e di aggiornarsi.
Art. 6. Sanzioni. Chiunque bioli le norme esboste nella bresente legge sarà condannato alla reclusione da tre a cinque anni ed alla interdizione berbetua dai bubblici ubbici.”

Secondo i sondaggisti italiani più accreditati – e, per la verità, anche a parere di alcuni ricercatori di mercato operanti all’estero – il BdB avrebbe ottime possibilità di riscuotere il consenso dell’elettorato. Ed è questa la ragione per la quale la stampa e tutti gli altri organi di informazione ne hanno fatto oggetto di comunicazione e di dibattiti. Soprattutto i network televisivi, dei quali il BdB è sostanzialmente padrone assoluto, hanno riempito le case e le teste degli italiani di quella che è nota ormai come “questione del B”.

 III

 L’idea è vincente, almeno a giudicare dai corollari applicativi immediatamente realizzati da alcuni dei dirigenti delle imprese italiane più note, il ragionamento dei quali appare di una logica assoluta. Si basa, innanzitutto, sul principio di libertà, almeno per la parte che recita “tutto è permesso ciò che non è esplicitamente vietato”. Poi, trova un ulteriore supporto nel concetto stesso di creatività, che non è pura invenzione e creazione dal nulla, bensì “applicazione originale di principi esistenti e più che noti”, in genere. Infine, si appoggia al principio di autorità, che in Italia e nelle sue imprese suona più o meno così: “ io sono dirigente e tu no. Quindi, si fa così perché lo dico io”.

Un esempio, tra i mille possibili?
Alla Grandi Forni Caldi il Direttore Commerciale dottor Marco Antonio di Pippo ha dedicato tutto se stesso alla realizzazione e alla implementazione di quei sacri principi della gestione, in particolare per quanto riguarda il rispetto dell’Autorità.
E si sa che il primo segnale del rispetto dell’autorità è costituito dalla conoscenza perfetta delle generalità dei capi, di ciascun capo; e il cruccio maggiore del dottor di Pippo era costituito dalla pervicacia con la quale ci si rivolgeva a lui scrivendone il patronimico (ed anche pronunciandolo) con la “D” maiuscola, dimentichi dei quarti di nobiltà peraltro più che di sovente ostentati.
Finalmente, dal Brogramma del bartito del B l’ispirazione risolutiva.
E il dottor Marco Antonio di Pippo, capitano e valvassore, “venga” ha ingiunto alla segretaria, che in pochi secondi gli si é seduta di fronte, armata del rituale blocco e della altrettanto rituale matita, strumenti obsoleti ma i soli conosciuti dal direttore commerciale della Grandi Forni Caldi.
Il quale, a braccio, ha dettato quanto di seguito, in tono militaresco.

“Comunicazione interna punto Da Direttore Commerciale a Dirigenti virgola Funzionari e impiegati punto E per conoscenza e in deferente omaggio virgola al Direttore Generale punto e a capo Oggetto virgola comunicazioni indirizzate all’attenzione di questa direzione a capo lasciando uno spazio e mettendo un punto
I signori a margine virgola a seguito del ripetersi di spiacevoli episodi moltiplicatesi in questo ultimi mesi virgola sono invitati a prendere nota che la lettera tra virgolette d del cognome dello scrivente è una d minuscola e non una D maiuscola punto e a capo
A partire dalla data odierna virgola pertanto virgola si comunica che non saranno tollerati ulteriori episodi che lascino intravedere l’ignoranza delle più elementari norme di educazione punto e di seguito Tra l’altro virgola il d del cognome dello scrivente è una particella nobiliare che va sempre signorina sottolinei il sempre scritta in carattere minuscolo punto Firmato il direttore commerciale punto”

E la cosa sarebbe finita lì, se non fosse stato più che palese l’assoluto menefreghismo ostentato da quei Dirigenti, Funzionari e Impiegati cui era rivolta.
La maledetta “D” continuava ad essere pensata ed usata al maiuscolo.
E allora, ecco l’ordine di servizio, dal valore decisamente maggiore di una qualsiasi comunicazione interna, e dal testo brevissimo quanto esemplare nella sua chiarezza.

“Con ecorrenza immediata, si ispone l’abolizione ella lettera “d”, sia nella versione maiuscola che in quella minuscola. Si fa pertanto ivieto assoluto ell’uso i essa in ogni e qualsiasi forma i comunicazione, interna e esterna.
Contestualmente si ecìe l’organizzazione i corsi i aggiornamento ella comunicazione verbale e non verbale, rivolti a tutti i Irigenti e collaboratori, e le cui ate verranno comunicate appena possibile.
Firmato il Irettore Commerciale ottor Marco Antonio I Pippo”

E subito un primo ostacolo nella burocrazia statale: la Grandi Forni Caldi non può cambiare la ragione sociale in Grani Forni Cali, non tanto perché si tratta di un brand vecchio di quasi cento anni e di una storia ricca di successi internazionali, quanto perché le procedure stabilite dalle leggi vigenti sono lunghissime, costosissime e dal risultato assolutamente incerto.
Della questione “marchio” è stato investito l’Ufficio Legale, in una con l’Ufficio Brevetti Depositi e Marchi e con la Direzione Esportazione.
Ed anche i gruppi di pressione sembra abbiano preso a cuore la cosa.
Ovviamente contrari i sindacati, per una volta uniti: nessun lavoratore è disposto a perdere la “D”, maiuscola o minuscola che sia. E si tratta per un accordo su di una eventuale indennità sostitutiva o su di una sostanziale riduzione dell’orario di lavoro.
O su entrambe le cose.

 IV

 Le imprese italiane, quelle che concorrono a creare quel Made in Italy che appare come il solo patrimonio rimasto al nostro Paese, assieme al ricordo delle guerre puniche, si sono sempre vantate di essere all’avanguardia almeno per quanto riguarda la creatività e l’innovazione.
Anticipare i tempi vuol dire anticipare la concorrenza e dunque vincere su di un mercato sempre più competitivo e ormai quasi saturo.
E la Grandi Forni Caldi non è certamente l’ultima venuta.
Come un sol uomo, l’impresa è scattata verso un futuro luminoso e, soprattutto, ricco.
La prima mossa – come sempre accade, del resto, nelle imprese italiane marketing oriented – l’ha fatta la Direzione Pubblicità, modificando il proprio nome in Irezione Bubblicità e provvedendo a proporre l’elaborazione di cambagne bubblicitarie e promozionali i venita, nonché di cambagne Stamba elaborate a cura di un Ubbicio Stamba per l’occasione rinforzato da un buon numero di giornalisti brobessionisti e bubblicisti. E provvedendo, inoltre, a riorganizzare l’Ubbicio Esign e la Sezione Backaging. Il tutto, nonostante le riserve dell’ ormai Art Irector, dei Grabici , dei Botograbi, dei Coby Writer e di tutti coloro che si ostinano ancor oggi a leggere questi cambiamenti come un vero e proprio insulto alla propria professionalità.
Peraltro, i virus del “B” e quello del “senza D” hanno occupato la gran parte degli spazi aziendali, ‘sì che la Grandi Forni Caldi ha potuto far pubblicare da tutti i mezzi di comunicazione il seguente comunicato:

“Come sembre attenta alle necessità el mercato e alle obbortunità, la Grani Borni Cali ha brobbeuto a aggiornare la brobria organizzazione in armonia con le linee i eboluzione ella legislazione e con le nuobe tenenze el linguaggio economico e commerciale, ecisamente inbluenzato alla globalizzazione.
E questo ha batto nel suberiore interesse ei consumatori, la cui soisbazione ha sembre costituito l’obbiettibo bonamentale e unico ella sua attibità”.

 V

E pare sia nell’interesse dei cittadini – che dello Stato, della Politica e dei suoi prodotti sono i consumatori – che tutti i Partiti si sono messi in gara per offrire alternative a quanto il BdB ha scritto nel suo programma.

Naturalmente, la prima reazione si è avuta dal Partito Democratico che si è avventurato sulla strada della democrazia segnalando come ogni e qualsiasi operazione sulla lingua e sul vocabolario dovesse obbligatoriamente passare per il Parlamento, il solo organo tutore dei diritti dei cittadini e deputato a legiferare. Bollata come contraria alla democrazia la proposta di elevare la lettera B a leader del vocabolario, anche per le implicazioni internazionali, il Partito ha avvertito – del tutto inconsciamente, come al solito – il pericolo derivante dal non proporre anch’esso qualcosa di nuovo e di risolutivo, capace di attrarre il consenso maggiore possibile. E proprio in nome della democrazia e della libertà ha inaugurato un dibattito interno nel quale ogni corrente ha avuto la possibilità di dire la sua non solo sulla opportunità di modificare il linguaggio, ma anche e soprattutto su quale lettera abolire e quale,invece, valorizzare facendola salire sulla scala dell’ordine tradizionale. Naturalmente, non pochi sono stati coloro che hanno ricordato che la disposizione delle lettere dell’alfabeto è un valore assoluto e che la missione del PD è anche quella di difendere i valori, soprattutto quelli che più da vicino toccano il popolo lavoratore.
Al quale dell’alfabeto e della sua struttura non può interessare di meno.
Come al solito.
Comunque, il PD ha pensato di convocare un congresso apposito, del quale almeno una linea appare chiara: l’abolizione della lettera “C”, proposta naturale per facilitare il lavoro del probabile neo segretario e dei suoi, che della semi sparizione della “C” già hanno fatto una bandiera linguistica, garrula al vento dell’aspirazione.

Sull’altro versante, il M5S. Qui le discussioni sembrano ridotte all’osso. La questione non è che una ulteriore manifestazione della avvenuta irreversibile obsolescenza di una classe politica corrotta e ignorante, con la quale ogni collaborazione è impossibile. E dunque, qualsiasi proposta di modifica del vocabolario italiano va respinta nel modo più assoluto. Senza tentennamenti. Il M5S prosegue per la sua strada, e per le prossime elezioni il programma è chiaro: tutti a casa, il potere al M5S in modo esclusivo e assoluto.
Poi si vedrà.
Certo è – sottolinea il Movimento – che anche il vocabolario è il frutto di un esercizio del potere distorto e disonesto, esercitato dalla casta contro ogni interesse della gente. E dunque, meglio sarebbe mandare tutti a casa ed abolire il vocabolario.
Almeno le consonanti, che non solo sembrano essere le più forti tra le lettere dell’alfabeto, ma che addirittura in molti casi si raddoppiano, conculcando il diritto delle vocali ad affermarsi.
L’esperto di comunicazione del Movimento ha affermato: «Si. A me sembra anche economicamente geniale. Si potrebbe realizzare un notevole risparmio di spazio e quindi di carta. Dunque, un’idea ecologica che con i tempi che corrono appare indispensabile alla vita della comunità».

Che tradotto significa: “I. A e ea ae eooiaee eiae. I oee eaiae u oeoe iaio i aio e uii i aa. Ue, u’ iea eooia e, o i ei e ooo aae iieaie a aia ea ouià.”