ULSAN, LA PRIMA BATTAGLIA NAVALE DI TSUSHIMA

di Giuliano Da Frè -

Nell’agosto 1904 le unità navali di Giappone e Russia affilano le armi nello stretto di Corea per contendersi gli spazi marittimi in Estremo oriente… Sarà la prova generale della battaglia di Tsushima del 1905.

Quando all’improvviso, nonostante i segnali d’allarme si susseguissero da tempo, l’8 febbraio del 1904 scoppiò la guerra russo-giapponese, la flotta zarista nel Pacifico fu sorpresa frazionata in due raggruppamenti. Una situazione rischiosa, se si considera l’importanza straordinaria che ebbe il controllo degli spazi marittimi, nel corso di un conflitto alla fine deciso dalla storica battaglia navale di Tsushima del 27-28 maggio 1905. Uno scontro combattuto non lontano da dove, meno di un anno prima, si era svolta un’altra, meno celebrata battaglia tra le navi giapponesi e russe; detta di Ulsan o, appunto, “prima battaglia di Tsushima”, il 14 agosto 1904.

La divisione di Vladivostok

Il viceammiraglio Kamimura

Il viceammiraglio Kamimura

Il grosso della flotta, agli ordini del viceammiraglio Oskar Stark, era concentrato nella base avanzata di Port Arthur: qui, nella prima notte di guerra, le torpediniere nipponiche danneggiarono gravemente due delle 7 corazzate presenti in rada, oltre a un moderno incrociatore, mentre altre 2 unità russe, distaccate dal grosso, venivano affondate in uno scontro davanti al porto di Chemulpo.
Un terzo distaccamento russo era invece all’ancora a Vladivostok, dove nel 1860 era sorta una grande base navale, anche se durante i mesi invernali il porto risultava bloccato dai ghiacci: l’affitto di Port Arthur, attraverso l’accordo imposto al governo cinese nel 1898, puntava infatti a porre rimedio a tale problema, grazie a questa nuova (sebbene male attrezzata) “base estiva”.
Allo scoppio della guerra, in pieno inverno, Vladivostok ospitava soltanto 4 incrociatori, riuniti in una divisione al comando del contrammiraglio Ewald von Stackelberg, quasi subito sostituito dal capitano di vascello (poi contrammiraglio) Nikolai Reitzenshtein. Le unità erano i tre incrociatori corazzati Rossia, Gromoboi e Rurik, e l’incrociatore protetto Bogatyr, oltre a 17 tra cacciatorpediniere e siluranti leggere, e alcune navi ausiliarie.
La divisione di Vladivostok era nella posizione migliore per minacciare le vitali linee di comunicazione tra Giappone e Corea, dove l’armata nipponica si andava rapidamente concentrando grazie ai trasporti via mare e al dominio locale delle acque, conseguito dalla flotta dell’ammiraglio Togo nel corso delle prime, fortunate azioni belliche. Quest’ultimo tuttavia, nonostante i successi iniziali, non era riuscito a distruggere la squadra di Port Athur, ed era ora costretto a un’estenuante operazione di blocco per coprire le linee di comunicazione con la madrepatria. Da nord, inoltre, gli incrociatori russi avrebbero potuto creare una seria minaccia a questa vulnerabile vena iugulare, anche perché il locale comando navale si sarebbe dimostrato molto più attivo rispetto a quello di Port Arthur. Inoltre, all’inizio della guerra, a controllare tale settore era stata distaccata la più debole delle squadre che componevano la Flotta Combinata nipponica, ossia la 3a del viceammiraglio Shichiro Kataoka, formata dalle corazzate e dagli incrociatori di tipo più vecchio.
Già la mattina del 9 gennaio, la divisione russa uscì in mare penetrando nello Stretto di Tsugaru; quindi, si mise incrociare lungo le rotte avversarie a partire dall’11 febbraio, affondando un trasporto armato nemico, e costringendo altri mercantili in rotta per la Corea a rientrare rapidamente in porto. Avarie di macchina all’incrociatore corazzato Rurik comportarono tuttavia il ritorno a Vladivostok già il 14 febbraio.
L’azione russa, al di là dei modesti risultati ottenuti, aveva comunque creato notevole allarme nell’alto comando giapponese: le vittoriose operazioni di terra potevano essere alimentate soltanto via mare, mentre sul territorio nazionale l’armata completava la mobilitazione delle riserve da inviare in Corea. Fortunatamente, per una decina di giorni la divisione di Vladivostok rimase inattiva (le navi stavano procedendo alla messa a punto dei motori, vera bestia nera della flotta zarista), limitandosi a far uscire di pattuglia alcuni cacciatorpediniere. Il 24 febbraio la divisione di Vladivostok riprese il mare, senza però trovare traccia di forze nemiche. Nei tre giorni successivi Reitzenshtein compì alcune crociere di vigilanza del tutto infruttuose, rientrando alla base il 29. In quello stesso giorno, allarmato per l’attivismo russo, Togo decise di sostituire le vecchie navi di Kataoka (più utili a sorvegliare Port Arthur) con l’efficiente 2a Squadra del suo braccio destro, viceammiraglio Hikonojo Kamimura, forte di 6 moderni incrociatori corazzati e 4 protetti, più le siluranti, e che subito si impegnò in una azione contro Vladivostok.
All’alba del 6 marzo, Kamimura giunse in vista della base nemica, cogliendo di sorpresa i Russi; l’ammiraglio nipponico decise di approfittarne, e avanzò rapidamente nella baia dell’Ussuri, per poi bombardare le posizioni nemiche lungo il cosiddetto Corno d’Oro. Il cannoneggiamento, iniziato poco dopo le 13, proseguì per un’ora e mezza, senza ottenere risultati materiali sensibili (anche se Kamimura era convinto di aver ridotto al silenzio le batterie russe, che invece non avevano reagito), al di là di un effetto negativo sul morale della popolazione. Il comandante militare della regione, l’anziano ed energico generale Linevich, prese invece immediate misure per rafforzare, nel limite degli scarsi mezzi disponibili, la base, mentre le uscite in mare venivano sospese.

I raid dell’ammiraglio Bezobrasov

Il contrammiraglio Karl P. Jessen

Il contrammiraglio Karl P. Jessen

Nei quattro mesi successivi dalla base di Vladivostok, ora passata al comando dell’ambizioso viceammiraglio Pyotr Bezobrasov, i Russi effettuarono diverse uscite. Il 23 aprile, approfittando della nebbia che aveva costretto Kamimura ad abbandonare il pendolamento tra Vladivostok e Gensan (occupata dai Giapponesi), il contrammiraglio Karl Jessen – nuovo comandante della divisione – aveva compiuto un veloce raid con 2 incrociatori proprio contro quest’ultimo porto, affondandovi un bastimento. Il 15 maggio, tuttavia, il moderno incrociatore protetto Bogatyr, uscendo dal porto urtò uno scoglio, riportando danni di tale entità da restare fuori gioco fino alla fine della guerra.
All’inizio di giugno, il vicerè russo in Estremo Oriente Alekseyev (rifugiatosi a Vladivostok prima dell’inizio dell’assedio di Port Arthur) decise di alleggerire la pressione sulla Squadra del Pacifico, da 4 mesi bloccata da Togo. La divisione di Vladivostok fu quindi incaricata di creare una diversione per dare la possibilità all’ammiraglio Withöft, comandante delle unità rimaste a Port Arthur, di uscire in Mar Giallo contro Togo, che sarebbe stato costretto a dividere le proprie forze.
Bezobrasov prese il mare il 12 giugno coi 3 incrociatori rimastigli, per colpire le linee di comunicazione nipponiche lungo la costa meridionale della Corea. La divisione doveva arrivare in zona operazioni (restandovi per un paio di giorni) passando per il canale orientale dello Stretto di Tsushima, per poi rientrare a Vladivostok transitando nel canale occidentale o, se questo fosse stato bloccato, puntare su Port Arthur.
Teoricamente, a coprire Tsushima restava la 2a Squadra di Kamimura, che però in quei giorni critici era sparpagliata, e con 2 incrociatori fuori uso per riparazioni. Lungo il canale orientale era quindi di pattuglia solamente l’omonimo incrociatore protetto Tsushima, che la mattina del 15 giugno avvistò i fumi delle navi russe; la nave inviò un radiomessaggio urgente a Kamimura, che però non rispose, e poi alla stazione di Tsutsu, con l’incarico di ritrasmettere l’allarme generale: “Tre unità della divisione di Vladivostok in direzione sud vicino a Okinoshima”. Anche questa volta, a causa di alcune interferenze (non dimentichiamo che la guerra russo-giapponese vide il primo impiego bellico delle comunicazioni radio), i messaggi dell’incrociatore giapponese non giunsero a destinazione. Lo Tsushima inoltre aveva perso di vista la divisione russa, quando ottenne risposta dall’ammiraglio Kamimura e dal suo vice, il contrammiraglio Sotokichi Uriu comandante la 4a Divisione. Quest’ultimo ordinò a tutte le navi di dirigere contro il nemico; ma si era perso del tempo prezioso, e a pagarne lo scotto sarebbero stati i trasporti nipponici.
Alle 9 del mattino i Russi avvistarono infatti l’Izumi Maru, un cargo di 3.200 tonnellate carico di feriti reduci dal fronte; l’incrociatore Gromoboi lo attaccò costringendolo alla resa dopo che la nave aveva subito gravi danni, e una trentina di vittime: altri 100 uomini affondarono con l’Izumi Maru, pur di non arrendersi al nemico.
Nel frattempo il Rurik aveva fermato la Sado Maru, con a bordo un battaglione del Genio ferrovieri: l’incrociatore russo consentì al personale di mettersi in salvo, quindi silurò la nave lasciando rapidamente la zona perché richiamato con urgenza da Bezobrasov; e la Sado Maru, pur gravemente danneggiata, poté essere salvata. In effetti, Bezobrasov si era lanciato all’inseguimento di un terzo bersaglio, il più ghiotto: si trattava infatti del grande trasporto armato da 6.000 t. Hitachi Maru, con a bordo un migliaio di riservisti del 1° Reggimento della Guardia imperiale e di altre unità, nonché 18 preziosi obici d’assedio Krupp da 280 mm, attesi per distruggere le difese di Port Arthur.
I Giapponesi si diedero alla fuga fidando nelle potenti macchine del mercantile: ma furono ben presto centrati da diverse granate, che ne uccisero il comandante, il suo secondo e l’ingegnere capo, questi ultimi entrambi inglesi. Col locale macchine sconquassato, e le sovrastrutture in fiamme, la Hitachi Maru fu immobilizzata senza scampo, e il comandante del reggimento d’élite, colonnello Genjiro Suchi, dopo aver distrutto la bandiera si suicidò, imitato da molti ufficiali e soldati sopravvissuti al bombardamento. La nave affondò con 1.091 vittime, e appena 147 superstiti.
Bezobrasov, pago dei danni inferti al nemico e allertato dall’intercettazione del traffico radio giapponese, con l’avvicinarsi delle navi di Kamimura, si ritirò rapidamente lungo il canale occidentale dello stretto di Tsushima.
La più brillante azione navale compiuta dai Russi durante tutta la guerra, ebbe conseguenze gravissime, anche perché la perdita dei 18 costosi e preziosi pezzi pesanti d’assedio trasportati dalla Hitachi Maru, provocò un fatale ritardo nelle operazioni contro la piazzaforte, portate avanti col sacrificio di migliaia di soldati giapponesi, che si immolavano contro le intatte difese russe senza un adeguato appoggio dell’artiglieria.
Su Kamimura si abbatté quindi una tempesta: giornali e opinione pubblica ne chiedevano la testa – non solo metaforicamente: un bello spirito fece recapitare al viceammiraglio una corta daga per compiere il rituale suicidio -, mentre la folla prendeva a sassate la sua casa di Tokyo; tra gli stessi vertici militari e politici le critiche non mancavano. Ma Togo confermò la sua fiducia nel suo burbero e abile subordinato, ben sapendo quanto fosse difficile tenere sotto controllo quello scacchiere, ricco di vie di comunicazione e spesso investito da nebbie e piovaschi, di cui un nemico ardito poteva valersi facilmente a proprio vantaggio. E se la divisione di Vladivostok non era sempre stata in passato utilizzata in maniera giudiziosa, era certo uno dei reparti meglio comandati ed addestrati della flotta russa, e avrebbe presto dato ancora filo da torcere a Kamimura.

La battaglia di Ulsan (14 agosto 1904)

Schema della battaglia

Schema della battaglia

Meno di due settimane dopo l’incursione di Bezobrasov, il 27 giugno 1904 una flottiglia di 8 cacciatorpediniere russi lasciava Vladivostok per compiere un’incursione contro Gensan, dove affondò due piroscafi nemici, mentre il 1° luglio anche la divisione incrociatori prendeva il mare, per poi ripiegare essendo stata avvistata dalla squadra di Kamimura.
Il 17 luglio gli incrociatori russi riuscirono però ad eludere ancora una volta la vigilanza dell’ammiraglio giapponese, e dopo aver attraversato il Mar del Giappone e lo stretto di Tsugaru, penetrarono nel Pacifico, dove in una crociera di cinque giorni lungo le coste orientali delle isole nipponiche affondarono 9 piroscafi, riuscendo quindi a rientrare indisturbati a Vladivostok, il 1° agosto.
L’azione, che provocò una nuova ondata di proteste contro l’apparente incapacità di Kamimura, mise in luce un’altra minaccia potenziale legata alla divisione di Vladivostok, i cui potenti incrociatori corazzati a grande autonomia, costruiti appunto per i raid contro il traffico nemico, erano in grado di circumnavigare tutto il Giappone, doppiarne l’isola meridionale di Kyushu, per poi penetrare in Mar Giallo, cadendo così alle spalle della squadra di Togo. Quest’ultima, dopo sei mesi di logorante blocco davanti a Port Arthur, era in cattive condizioni di efficienza, con molte navi danneggiate, e decimata dalle mine russe, con la perdita di 2 corazzate moderne e diversi incrociatori, mentre le unità di Withöft erano state in parte rimesse in efficienza, e schieravano 6 navi da battaglia contro le 4 rimaste al comandante nipponico.
Togo ordinò allora a Kamimura di abbandonare il blocco di Vladivostok e di posizionarsi nello stretto di Corea, con l’obbiettivo di inseguire più agevolmente la divisione russa nel caso in cui avesse tentato di penetrare in Mar Giallo.
L’occasione di misurarsi, per queste due efficienti forze navali distaccate, sarebbe presto arrivata.
Il 10 agosto Withöft, dopo aver a lungo tergiversato, uscì da Port Arthur con l’intera 1a Squadra del Pacifico, per eseguire l’ordine perentorio dello zar Nicola II, e raggiungere Vladivostok. Lasciando la rada che per sei mesi aveva ospitato la flotta, l’anziano e titubante contrammiraglio russo inviò, tramite una veloce torpediniera, un messaggio al comando di Vladivostok, perché facesse uscire la divisione al fine di creare una minaccia anche a tergo dei Giapponesi.
A Bezobrazov il telegramma arrivò tuttavia solamente la mattina dell’11 agosto, quando ormai da diverse ore la squadra russa di Port Arthur, scontratasi con Togo nel Mar Giallo, aveva subito una sconfitta più strategica e morale che tattica: poche infatti furono le navi perdute dai Russi (l’incrociatore protetto Novik e un paio di torpediniere), anche se 2 incrociatori, cinque cacciatorpediniere e la corazzata Tsesarevich, ammiraglia di Withöft – ucciso nello scontro – si rifugiarono in porti neutrali, finendovi internate.
All’oscuro della tragica sorte toccata alla 1a Squadra, i 3 incrociatori corazzati di Vladivostok presero il mare al comando del contrammiraglio Karl Jessen diretti verso lo stretto di Corea. Jessen, 52 anni, già comandante tra il 1898 e il 1902 del migliore degli incrociatori corazzati russi, il Gromoboi, e promosso il 1° gennaio 1904, il 10 marzo 1904 aveva sostituito Reitzenshtein quale comandante della divisione, guidandola in molti dei riusciti raid che avevano portato Kamimura sull’orlo della disgrazia.
All’alba del 14 agosto giunse con la sua divisione 36 miglia a nord-est dell’isola di Tsushima; e all’altezza di Ulsan, porto della penisola coreana, le vedette russe avvistarono numerose colonne di fumo.
Era Kamimura, con i moderni e potenti incrociatori corazzati Izumo, Azuma, Tokiwa e Iwate, e due incrociatori protetti, di ritorno nel Mar del Giappone dopo aver incrociato a sud dell’isola Quelpart allo scopo di intercettare le navi russe che dopo lo scontro del 10 agosto non erano rientrate a Port Arthur.
Le navi giapponesi avvistarono quelle russe quasi contemporaneamente, e Kamimura virò per riconoscerle. Jessen sapeva di essere inferiore al nemico, poiché solo 2 dei suoi incrociatori erano altrettanto validi, e disponeva di appena 12 cannoni da 203 mm contro i 16 del nemico, sebbene vi fosse una sostanziale parità nei calibri inferiori, e nel livello di addestramento e nel morale: quindi invertì la rotta, inseguito dai Giapponesi che si preparavano al combattimento, ma con l’obbiettivo di aprirsi la strada combattendo.
Entrambi gli ammiragli ordinarono quindi di serrare le distanze, e alle 5.23, portatosi a 8.500 metri di distanza dai Russi, Kamimura aprì il fuoco coi massimi calibri. Jessen reagì con altrettanta energia, ma Kamimura fece ben presto concentrare il fuoco sul più lento e obsoleto Rurik, che iniziò ad incassare colpi su colpi fino ad essere costretto, mezz’ora dopo l’inizio della battaglia, a rallentare per un’avaria di macchina.
L’ammiraglio russo coprì abilmente l’incrociatore danneggiato con le altre due unità (peraltro anch’esse danneggiate e in fiamme), manovrando in modo da allontanare la divisione nipponica, e costringendo Kamimura a sospendere il fuoco per una buona mezz’ora. Alle 6.30 però i cannoni nipponici erano nuovamente in punteria, e tornarono a bersagliare l’azzoppato Rurik, centrandone quasi subito il timone mentre era alla banda, durante un’accostata: l’unità iniziò quindi ad evoluire lentamente in circolo, trasformandosi in un eccellente bersaglio.
Jessen tentò di contrattaccare, e per un’altra ora protesse il Rurik, che però fu nuovamente colpito più volte. Alla fine, verso le 8, il valoroso ammiraglio russo decise di sganciarsi, prima che i danni a bordo delle altre 2 unità divenissero irrimediabili, e mentre la sua abile azione tattica aveva aperto un prezioso varco di cui approfittare per riprendere la rotta verso Vladivostok. I due incrociatori russi si slanciarono sulla rotta nord a tiraggio forzato, con alle calcagna Kamimura, che però non riuscì, o non volle – le sue navi avevano in effetti sofferto danni di varia entità, e sulla carta facevano appena un nodo in più delle unità avversarie – accorciare le distanze, limitandosi ad un poco efficace tiro in caccia da lunga distanza. E dopo circa due ore, con la sua nave di bandiera Izumo rallentata da un’avaria di macchina, e le altre unità a corto di munizioni, Kamimura decise di lasciar abbandonare la caccia, accontentandosi della vittoria ottenuta sul Rurik, che nel frattempo era stato autoaffondato, dopo che un ultimo colpo ne aveva disintegrato la torretta corazzata di comando, uccidendo sul colpo il capitano e i suoi collaboratori. Il giovane ufficiale rimasto in comando (uno dei quattro sopravvissuti, su 22), comprendendo che non c’era più nulla da fare, diede infatti l’ordine di aprire le valvole Kingston per auto-affondare l’unità, che lamentava più di 500 tra morti e feriti, sui 750 uomini imbarcati.
L’azione incompleta valse all’ammiraglio giapponese nuove critiche: non da Togo, anch’egli dimostratosi prudente quattro giorni prima contro Withöft. Il comandante in capo nipponico lottava contro la 1a Squadra del Pacifico pensando già alla ben più poderosa 2a Squadra russa, all’epoca ancora in allestimento, ma che poteva essere nel Mar Giallo all’inizio del 1905, se avesse compiuto una rapida traversata, sorprendendo la flotta nipponica logorata dal lungo servizio, o addirittura ancora impegnata nell’assedio, se la piazzaforte non fosse ancora caduta, col rischio di trovarsi in una tenaglia. Kamimura aveva quindi avuto ragione nel non insistere, avendo comunque danneggiato la divisione nemica, evitando i rischi di un eventuale contrattacco con siluranti, o i campi minati posti a difesa di Vladivostok.
Per contro Jessen si era battuto con valore e grande abilità tattica, dimostrando quello che una divisione navale russa poteva fare se ben addestrata e ben guidata: le sue navi avevano messo a bordo di quelle nemiche un buon numero di colpi, anche se i danni erano stati limitati dalla pessima qualità delle granate russe, e dall’ottima corazzatura degli incrociatori nipponici, realizzati in Francia e Gran Bretagna.
Il capace contrammiraglio russo fu dapprima designato ad assumere il comando dei resti della 1a Squadra prendendo il posto del defunto Withöft; ma essendo impossibilitato a recarsi a Port Arthur rimase a Vladivostok, assumendone il comando al posto di Bezobrasov il 2 gennaio 1905. D’altra parte, la divisione di Vladivostok, con un incrociatore affondato, un altro inutilizzabile e i due più potenti gravemente danneggiati (il Rossiya aveva ricevuto più di 30 colpi a bordo, con 44 morti e 156 feriti, mentre il Gromoboi era stato centrato venti volte, subendo 87 morti e 170 feriti) e con pochi pezzi di rispetto per ripararli adeguatamente, non avrebbe più giocato un ruolo nel prosieguo della guerra.

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Per saperne di più

G. Da Frè, I grandi condottieri del mare, Newton Compton, Roma 2016
G. Jukes, La guerra russo-giapponese, LEG, Gorizia 2014
C. Pleshakov, L’ultima flotta dello Zar, Corbaccio, Milano 2008
A. Santoni, La battaglia di Tsushima, Ed. Dell’Ateneo, Roma 1985
F. Thiess, Tsushima, Einaudi, Torino 1966