STORIA E CINEMA: IN NOME DEL POPOLO SOVRANO

di Umberto Berlenghini -

 

Il Risorgimento è stato l’equivalente dell’epopea western. Ma il nostro cinema non è quasi mai riuscito a trasformarlo in una narrazione capace di unire il registro epico a quello popolare. Fa eccezione la trilogia di Luigi Magni, conclusa nel 1990 con questo film. In cui Alberto Sordi interpreta un nobile reazionario che sputa su Roma.

“Il Risorgimento sta all’Italia come l’epopea western sta agli Stati Uniti”. È questa in sintesi l’equazione sulla quale alcuni critici cinematografici si sono trovati concordi nel rimpianto di aver visto il nostro cinema tenersi alla larga da quel fondamentale periodo storico, salvo alcune pregevoli eccezioni. Conchita Airoldi, importante produttrice con un passato di attrice – diretta da Giuliano Montaldo, Nanni Moretti e Edward Dmytryk – ha l’autorevolezza per spiegarci questo mancato connubio fra il cinema italiano e il Risorgimento, essendo stata coproduttrice di Noi credevamo che Mario Martone ha diretto nel 2009. Airoldi parte da lontano: si chiede come la Storia in generale e il Risorgimento in particolare vengono insegnati nelle scuole, se il metodo faccia appassionare gli studenti oppure, più verosimilmente, se i ragazzi siano preda di sbadigli anche a causa dell’approccio agiografico che molti libri hanno nei riguardi del Risorgimento. Questo stato delle cose ha impedito e impedisce la crescita di un pubblico interessato a un eventuale “cinema del Risorgimento”. Inevitabile per Airoldi fare un passo indietro di venti anni rispetto al film di Martone e partecipare al racconto di In nome del popolo sovrano, di cui è stata produttrice esecutiva con Dino Di Dionisio.

Accanto ad Airoldi si inserisce Giancarlo Governi, storico dirigente Rai e autore tv, che ad Alberto Sordi ha dedicato programmi e libri. Governi è stato testimone di come nacque l’idea del film scritto da Luigi Magni e Arrigo Petacco e diretto dallo stesso Magni. Grazie alla passione che Bettino Craxi aveva per il Risorgimento e in particolare per Giuseppe Garibaldi, dopo aver favorito la realizzazione della fiction di Rai2 dedicata all’eroe dei due mondi e diretta da Magni, il leader socialista raccomandò a Petacco di scrivere qualcosa sulla figura di Ugo Bassi, un sacerdote che, nella metà dell’800, combatté il potere temporale dei papi. Forti di quel suggerimento, Petacco e Magni si recarono negli uffici di Rai2 dove ad attenderli c’era il direttore Giampaolo Sodano, il capostruttura Stefano Munafò e Giovannella Gaipa, pronta a ricevere l’incarico di delegata alla produzione. Governi ricorda l’entusiasmo di Magni per l’opportunità di chiudere la sua trilogia sul Risorgimento romano dopo Nell’anno del signore (1969) e In nome del Papa Re (1977).

indps2Fu allestito un cast numeroso, costituito da star, primi fra tutti Alberto Sordi e Nino Manfredi, e da attori giovani o già affermati: Luca Barbareschi, Serena Grandi, Jacques Perrin (doppiato da Massimo Ghini), Elena Sofia Ricci, Massimo Wertmüller, Carlo Croccolo, Luigi De Filippo, Roberto Herlitzka, Gianni Garko, Lorenzo Flaherty, Dario Cassini, solo per citare i più celebri. Flaherty, che interpretava un giovane ufficiale francese, parla con entusiasmo e nostalgia di quell’esperienza che definisce unica e che porterà con sé per sempre. Allora Flaherty era impegnato nelle riprese di un tv movie a Campo Imperatore, così quando fu chiamato da Magni, che gli propose di girare le sue scene di notte, si adattò a dormire in automobile durante le trasferte da e per Roma.
Airoldi sottolinea che tutti gli attori accettarono immediatamente di far parte di quel cast, in ossequio al prestigio e alla nota simpatia di Magni. Contrariamente a ciò che si pensò all’epoca, la scelta di Perrin non fu per merito del suo ruolo in Nuovo Cinema Paradiso: dell’attore parigino infatti Magni non aveva dimenticato la performance ne Il deserto dei tartari, che Valerio Zurlini aveva diretto nel 1976. Airoldi ricorda che Sordi, fuori dal set, si divertiva a gigioneggiare (“era un battutista pronto a ridere delle proprie freddure”). L’attore mangiava con grande appetito e obbligava Airoldi a soddisfare le sue richieste culinarie, facendo arrivare sul set un catering da un ristorante scelto da lui. Oggi divertita, allora un po’ meno, Airoldi racconta le peripezie che era costretta a fare con Sordi nel tentare di riavere il proprio telefono cellulare, improvvidamente prestato all’attore il quale, bontà sua, passava ore a conversare con amici e parenti ignorando, o forse no, che all’inizio degli anni ’90 una telefonata via cellulare aveva un costo ragguardevole.

Sulla famigerata avarizia di Sordi Airoldi non si sbottona più di tanto, limitandosi a ricordare che per tutto il periodo delle riprese Sordi non le offrì nemmeno un caffè: un atteggiamento sorprendente, pensando al noto buongusto che l’attore aveva per le belle donne. Ne In nome del popolo sovrano Sordi interpreta il marchese Arquati, esponente reazionario della nobiltà papalina romana, che nel finale rivolge a Roma un’invettiva che termina con uno sputo nel vuoto: era ciò che Magni pensava della sua adorata città, sempre meno eroica e sempre più intrallazzatrice. A proposito del rapporto fra Sordi e la religione, Paola Comin, suo ufficio stampa degli ultimi dieci anni di vita, ricorda che nella sua villa l’attore aveva una Madonnina che salutava prima di lasciare la sua dimora. Da bambino Sordi era stato chierichetto e i fedeli seduti in chiesa furono i suoi primi spettatori: il ragazzino Sordi amava interpretare in maniera plateale le normali mansioni di chierichetto, cosa che gli faceva guadagnare dei dolorosi ceffoni da parte del sacerdote.

Nella linea produttiva di In nome del popolo sovrano entrò anche Angelo Rizzoli jr, il quale investì Enzo Porcelli della carica di suo delegato. Porcelli si limitò a poche presenze sul set, sufficienti però a farlo stare in pensiero ogni volta che Sordi, finite le riprese, faceva ritorno nella sua villa di Castiglioncello dove ad attenderlo c’era suo fratello Giuseppe. Fu proprio in quel periodo, esattamente il 24 agosto 1990, che Giuseppe morì a Livorno dopo un breve e inutile ricovero in ospedale: come con Aurelia e Savina, le due sorelle, anche con Giuseppe il legame di Alberto era forte e profondo. Dopo la scomparsa del fratello, Alberto vendette immediatamente la villa di Castiglioncello, per non dover tornare mai più in quelle zone.

Scheda del film
In nome del popolo sovrano, di Luigi Magni – 1990 – 110’ (versione tv 140’)
Con Luca Barbareschi, Nino Manfredi, Jacques Perrin, Alberto Sordi
Produzione Erre Produzioni/Rai2; distribuzione Artisti Associati. Prima cinema 20 dicembre 1990; prima tv Rai2 24 e 26 marzo 1992 (versione tv). David di Donatello 1991 migliori costumi a Lucia Mirisola; Nastro d’Argento per le migliori musiche a Nicola Piovani.
Roma 1849. Pio IX si reca esule a Gaeta dopo l’avvento della Repubblica Romana. Pochi mesi dopo le truppe francesi e quelle austriache tentano di riconquistare la città per imporre la restaurazione del potere temporale che anche una parte dei cittadini, specie i nobili, vogliono vedere ripristinato. Il marchese Arquati (Sordi), nobile papalino, ha una nuora che è l’amante del capitano Giovanni Livraghi (Barbareschi), rivoluzionario milanese, accorso in aiuto dei repubblicani e grande amico del frate barnabita Ugo Bassi (Perrin), anche lui contrario al potere temporale e sostenitore dei diritti del popolo. Fra i romani insorti spicca Angelo Brunetti detto Ciceruacchio (Manfredi), che con il giovane figlio prende a cuore la causa repubblicana. Dopo vari scontri i repubblicani vengono sconfitti e costretti a fuggire verso nord. Livraghi, Bassi e Ciceruacchio non ce la fanno e vengono arrestati: ad attenderli c’è il boia di Pio IX.

 

 

Fonti
Claudio G. Fava, Alberto Sordi, Gremese 2003
Conversazione dell’autore con Conchita Airoldi, 11 febbraio 2020
Conversazione dell’autore con Giancarlo Governi, 11 febbraio 2020
Conversazione dell’autore con Enzo Porcelli, 13 febbraio 2020
Conversazione dell’autore con Paola Comin, 19 marzo 2020
Dichiarazione di Lorenzo Flaherty, Sciabalon, 18 aprile 2020