SETTEMBRE ROSSO: IL TERRORE PRIMA DEL TERRORE

di Giancarlo Ferraris -

Istigata da Danton, la folla inferocita entra nelle carceri francesi e massacra più di 1500 persone: detenuti comuni, aristocratici, borghesi, popolani e sacerdoti sospettati di attività controrivoluzionarie. L’orgia di sangue, giustificata dall’opinione pubblica, sarà subito strumentalizzata da Robespierre e dai Giacobini.

Ossessioni e psicosi

La Rivoluzione francese è stata un evento pieno di contraddizioni. Gli storici sono ormai concordi nel considerarla madre delle migliori democrazie del mondo occidentale e al tempo stesso madre delle più spietate e sanguinarie dittature del Novecento: accanto alla proclamazione di sacrosanti principi e diritti, condensati nel celeberrimo slogan Liberté, egalitè, fraternité, essa ha generato anche il Terrore, non solo quello tradizionalmente legato alla figura di Maximilien Robespierre e all’immagine della ghigliottina, ma anche e soprattutto quello rappresentato dagli stermini di massa dei cosiddetti controrivoluzionari attuati con sistemi crudelissimi.
La prima pagina nera, o forse dovremmo dire rossa per il tanto sangue versato, della Rivoluzione francese fu però quella degli eccidi che avvennero nel 1792 a Parigi e in altre città di provincia, eccidi passati alla Storia come i “massacri di settembre” e che anticiparono quelli del periodo del Terrore. Ma vediamo di contestualizzare l’evento.
Alla fine di agosto del 1792 la situazione della Francia rivoluzionaria, in guerra da diversi mesi contro la Prussia e l’Austria, era drammatica. Le truppe prussiane e austriache erano penetrate nel territorio francese, avevano espugnato la fortezza di Longwy e stavano per conquistare quella di Verdun, ultimo caposaldo capace di difendere Parigi, suscitando nella popolazione della capitale la sensazione che il tradimento fosse ovunque e che la monarchia, dichiarata decaduta dopo l’assalto del popolo parigino al palazzo delle Tuileries il 10 agosto, fosse sul punto di riacquistare l’antico potere. L’Assemblea Nazionale Legislativa e la Comune di Parigi, i due organi che guidavano la Francia rivoluzionaria, adottarono misure eccezionali: migliaia di cittadini furono reclutati per essere inviati al fronte, molte abitazioni vennero perquisite alla ricerca di armi e di sospetti, attorno alla città si approntarono opere difensive.
Il 2 settembre Georges-Jacques Danton, uno dei leader più popolari della Rivoluzione, pronunciò un discorso infuocato dalla tribuna dell’Assemblea:
«Signori, è veramente motivo di grande soddisfazione per i ministri di un popolo libero, dovergli annunciare che la patria deve essere salvata. La commozione è in tutti, ognuno si scuote e si sente ardere dalla brama di combattere. Sapete che Verdun non è ancora in mano ai nemici. Sapete che la guarnigione ha promesso di uccidere il primo che proponga di arrendersi. Una parte del popolo sta per marciare verso le frontiere, una parte scava trincee, e una terza ancora, armata di picche, si accinge a difendere all’interno le nostre città. Parigi fornirà ogni possibile aiuto a tutti questi sforzi. I commissari della Comune stanno per proclamare solennemente l’invito ai cittadini ad armarsi e a marciare in difesa della patria. In questo momento, signori, potete veramente dichiarare che la capitale ha ben meritato dell’intera Francia; in questo momento l’Assemblea Nazionale sta per divenire un vero e proprio comitato di guerra. Vi chiediamo di concorrere con noi a dirigere questo sublime movimento di popolo, nominando commissari che ci aiutino a varare questi grandi provvedimenti. Chiediamo che chiunque rifiuterà di servire con la propria persona o di consegnare le proprie armi, sia punito con la morte. Chiediamo che i cittadini siano istruiti per dirigere i loro movimenti. Chiediamo che siano inviati corrieri in tutti i dipartimenti per informarli dei vostri decreti. Le campane che a momenti stanno per suonare a martello non sono un segnale di allarme, bensì la carica contro i nemici della patria. Per vincerli, signori, ci occorre audacia, ancora audacia, sempre audacia, e la Francia sarà salva».
La Francia era pronta alla lotta, ma a Parigi, il fulcro della Rivoluzione, il sentimento del sospetto accese e ingrandì gli odi e i timori suscitando ossessioni e psicosi: sui muri apparvero manifesti terribili che incitavano al massacro dei nobili, degli ecclesiastici e di tutti coloro i quali erano stati incarcerati per motivi politici mentre si andavano diffondendo voci di una certa indulgenza da parte dei giudici verso i responsabili di complotti volti a colpire la Rivoluzione e a restaurare la monarchia. A ciò si aggiunsero i funerali dei rivoluzionari caduti nella giornata del 10 agosto, che esaltarono e scossero il popolo timoroso dei traditori, veri o presunti che fossero, e ansioso di farsi giustizia da solo.

L’evento

Il massacro della principessa di Lamballe

Il massacro della principessa di Lamballe

I massacri di settembre si svolsero tra domenica 2 e mercoledì 5, principalmente a Parigi, in sette prigioni: all’Abbaye-aux-Bois, all’Hôtel des Carmes, alla Prison de la Force, all’ex seminario di Saint-Firmin, alla Conciergerie, allo Chàtelet e alla Salpêtrière. Eccidi si verificarono anche nelle città di Orléans, Meaux e Reims. Nella capitale venne istituito un Tribunale del Popolo presieduto da Stanislas-Marie Maillard, un ufficiale della Guardia Nazionale, il quale cercò, vanamente, di arginare le esecuzioni che vennero messe in atto non da criminali, ma da rivoluzionari di estrazione piccolo-borghese quali sanculotti, guardie nazionali e federati cioè militi volontari provenienti dalle province che usarono per compiere le loro carneficine quasi esclusivamente armi bianche.
Le vittime accertate furono 1531. Per tre quarti erano detenuti per reati comuni, il resto aristocratici, borghesi e popolani incarcerati anche perché solo sospettati di essere nemici della Rivoluzione, oltre a molti preti refrattari cioè quegli ecclesiastici che non avevano aderito alla Rivoluzione e che erano considerati l’anima della controrivoluzione nelle province; questi ultimi furono per la precisione 191: 3 vescovi, 127 appartenenti al clero secolare, 56 al clero regolare e 5 laici. Tra le vittime illustri dei massacri di settembre ricordiamo François-Joseph de La Rochefoucauld e Pierre-Louis de La Rochefoucauld, vescovi rispettivamente di Beauvais e Saintes, e Maria Luisa Teresa di Savoia-Carignano, meglio conosciuta come la principessa di Lamballe: su quest’ultima, che era un’intima della regina Maria Antonietta, i rivoluzionari inferirono con una crudeltà incredibile torturandola, decapitandola, squartandola e portando poi la sua testa infilzata su una picca in trionfo per le vie di Parigi fin sotto la prigione del Tempio, dove era detenuta la famiglia reale. Sembra che la regina, informata da una guardia su che cosa stesse accadendo, svenisse per il fortissimo trauma subito.

Considerazioni finali

La domanda, come si è soliti dire, sorge spontanea. Perché l’Assemblea Nazionale Legislativa e la Comune di Parigi non intervennero per fermare i massacri? Danton, che era ministro della giustizia, Robespierre e il sindaco di Parigi Jérôme Pétion rimasero totalmente indifferenti davanti agli eccidi mentre il ministro degli interni Jean-Marie Roland scrisse che su di essi era meglio stendere un velo. Una risposta, crediamo esaustiva, al di là delle ragioni di opportunità politica miste anche a una buona dose di paura della folla inferocita, la offrono François Furet e Denis Richet nella loro opera sulla Rivoluzione francese:
«L’antico panico secolare di tutti i diseredati del mondo sgorgò ancora una volta dalle tenebre dell’inconscio, dilatandosi nel delirio della violenza collettiva. A proposito di questi massacri, Jean Jaurés (storico della Rivoluzione francese, N.d.A.) scrisse che “la paura non è una forza rivoluzionaria”, e probabilmente aveva ragione, giacché concepiva la rivoluzione come un fenomeno di lungo periodo, come un’inevitabile fase di transizione a un livello superiore di progresso umano. Ma fatto sta che, già molto prima del 10 agosto, quella rivoluzione dell’intelligenza e della necessità era riuscita a imporsi solo suscitando forze la cui dinamica obbediva ad altre leggi; ciò che conta, nel breve periodo, è la rivoluzione della miseria, dell’impulso e della violenza punitiva, e la prima è impotente senza la seconda. Che cosa si può dunque rispondere a Robespierre quando giustifica i massacri: “Volevate una Rivoluzione senza rivoluzione? Quale popolo riuscirebbe mai a scuotere il giogo della tirannide a questo prezzo?”».
L’opinione pubblica rivoluzionaria nel suo insieme non approvò i massacri di settembre, ma li giustificò. Immediata e atrocemente cinica fu la strumentalizzazione politica dell’evento da parte di Robespierre e dei giacobini, i quali dirottarono il furore popolare verso i girondini, la fazione moderata della Rivoluzione, facendo così del terrore popolare il cardine delle loro manovre politiche. Una tesi particolare, infine, sostiene che i massacri di settembre furono organizzati dai rivoluzionari più radicali per evitare che nella composizione delle successive assemblee parlamentari prevalessero gli elementi moderati.

Per saperne di più
P. Caron, Les Massacres de Septembre, Paris, 1935
F. Furet – D. Richet, La Rivoluzione francese, trad. it., Bari, 1974
A. Spinosa, Luigi XVI: l’ultimo sole di Versailles, Milano, 2008
G. Walter, Les Massacres de Septembre: étude critique, Paris,1932