Senti che Storie…

di Af -

Una rubrica di notizie, spigolature e curiosità per leggere lo “stato” della Storia attraverso i media italiani e internazionali.

 

Un gigante del pensiero occidentale

A Palmiro Togliatti è stato recentemente dedicato un volume nella collana Bompiani “I classici del pensiero occidentale”. Il Migliore sarà così in compagnia di Montesquieu, Unamuno, Spinoza, Kant, Massimo il Confessore, Platone, Esiodo, Aristotele, Proclo, Gregorio Magno ecc. Per par condicio l’editore ha pensato di uscire in contemporanea anche con un volume dedicato a Giovanni Gentile e all’attualismo. Non conosciamo le logiche che conducono alla promozione di un esponente politico al grado di “pensatore”. Forse ha ragione Luciano Canfora, che sul Corriere della sera spiega come Togliatti e Gentile appartengano a quella nuova categoria di intellettuali «accomunati dal convincimento secondo cui filosofare è, a pieno titolo, l’agire politico sorretto dalla consapevolezza di tradurre in atto una concezione del mondo». Una concezione incarnata nei propri Messia di riferimento, e cioè Stalin e Mussolini. Speriamo quindi che nella raccolta togliattiana di “Scritti e discorsi 1917-1964” siano stati inclusi l’intervento alla Camera del marzo 1953 con cui il segretario del Pci definiva Stalin «un gigante del pensiero», così come le appassionate accuse di «fascismo» agli insorti ungheresi pubblicate su Unità e Rinascita nel novembre 1956.

Razza Vs Genere

Nei primi giorni di dicembre, la medaglia del Nobel vinta dallo scopritore del DNA, James Dewey Watson, è stata battuta all’asta da Christie’s per oltre 4 milioni di dollari. Watson è uno dei più autorevoli scienziati del secolo appena trascorso ma anche uno dei più dibattuti per le sue affermazioni sull’inferiorità genetica dei neri. Affermazioni che gli sono costate la condanna morale dei suoi colleghi e l’emarginazione dagli ambienti accademici. Negli stessi giorni in cui la notizia faceva il giro del mondo, su periodici e quotidiani italiani si potevano leggere entusiastiche recensioni a un volume (Taddia e Pievani, Il maschio è inutile) che dichiara l’uomo cromosomicamente inferiore alla donna.

Il mondo debole

«Un’accozzaglia di banalità  pretenziose e di osservazioni scucite senza capo ne coda». «Una ridda di figure, movimenti, ideologie e istituzioni all’insegna del chi più ne ha più ne metta». Un criterio interpretativo basato sul concetto della “transnazionalizzazione dell’umanità”, sorretto «da una sfocata ideologia illuministico-progressista affissata sulle “magnifiche sorti” rappresentate dalla “pace”, dai “diritti umani”, dall’“ambientalismo”, dall’“ecoturismo”  e dal “femminismo”». E il tutto, «come se non bastasse, intramezzato da uno strampalato sinistrismo da campus americano». Insomma, «una poltiglia concettuale» che fa seriamente dubitare della lucidità intellettuale degli autori. Non le ha mandate certo a dire Ernesto Galli Della Loggia recensendo sul Corriere del 6 dicembre Il mondo globalizzato. Dal 1945 a oggi, volume collettaneo con cui Einaudi sta mettendo mano a un ambizioso progetto dedicato alla Storia del mondo. Galli Della Loggia rimprovera agli autori – nessuno dei quali italiano, a testimonianza dell’automarginalizzazione del sistema culturale nostrano – una visione ingenua, a-problematica e politicamente corretta della storia degli ultimi 60 anni. Che segna a suo modo l’ennesima vittoria di una certa cultura americaneggiante sulla tradizione accademica europea. Insomma, la debolezza del pensiero degli autori come specchio del mondo in cui viviamo.

Ammenda revisionista

Da diverse ristampe a questa parte lo storico Mario Isnenghi conclude il suo ormai classico Il mito della Grande guerra – pubblicato in prima edizione nel 1970 – con una postfazione riparatrice. Tra i diari di guerra e la letteratura delle trincee utilizzati per descrivere quel mito (si va da Marinetti a Prezzolini, da Gadda a Soffici, da Jahier a Malaparte) Isnenghi omise volutamente Il mio diario di guerra di Mussolini.  Un’esclusione, scrive oggi, motivata dall’«improponibilità specifica del personaggio all’epoca». Ma l’ammenda di Isnenghi non finisce qui. Con periodare ampio e articolato lo storico spiega che se non fosse stato appunto per l’“improponibilità” del personaggio, avrebbe dovuto dichiarare ciò che pensava ma che non osò dire – per opportunità culturale e politica, aggiungiamo noi. E cioè che il diario mussoliniano era un «raro testo di raccordo tra il mondo degli ufficiali e quello dei soldati, della partecipazione e dell’obbligo, della coscienza politica delle minoranze e dell’agnosticismo dei più». Chapeau! Dall’omissionismo al revisionismo il passo non è né agevole né breve.