SE C’È DI MEZZO IL SACRO CUORE DI GESÙ…

di Pier Luigi Guiducci –

Un episodio legato al centenario dell’Università Cattolica e all’opportunità – messa in dubbio da molti, compreso il ministro Giovanni Gentile – di intitolarla al Sacro Cuore. La questione fu risolta nel 1924 al cospetto di papa Pio XI.

7 dicembre 1921: è inaugurata a Milano l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Gesù. Fu un momento importante per la Chiesa e per i fondatori. Questi erano il francescano Agostino Gemelli, il medico Ludovico Necchi, mons. Francesco Olgiati, la dirigente dell’Azione Cattolica Armida Barelli e l’industriale tessile Ernesto Lombardo.
È noto al grande pubblico lo sviluppo significativo dell’Ateneo. Più in ombra rimane la fase che preparò l’evento del 1921. I problemi principali riguardarono  i rapporti con le autorità del tempo (e il conseguente riconoscimento giuridico), i confronti con chi avversava l’iniziativa cattolica, l’aspetto finanziario, il sistema organizzativo. A tutto questo si aggiunse un interrogativo: con quale nome indicare l’Università Cattolica?
Dagli scritti di padre Gemelli e da quelli di Armida Barelli si individua l’orientamento. L’Ateneo doveva essere intitolato al Sacro Cuore di Gesù. Su tale scelta si rifletteva il dato biblico, l’insegnamento della Chiesa (Enciclica Annum Sacrum di Leone XIII, 25.5.1899), e l’omiletica francescana (es. san Bernardino da Siena). Nella mente di padre Gemelli si doveva insistere su un’idea: come nell’unica Persona di Cristo sussistono vera divinità e vera umanità, così anche il cristiano, nella sequela Christi, vive in Dio (intimità divina), e utilizza i doni ricevuti da Lui (volontà, intelligenza, capacità organizzativa, spinta a un lavoro comune nella Chiesa).

Due anni dopo la morte della Barelli, Irma Corsaro (sua collaboratrice nell’Azione Cattolica) ne scrisse una biografia (1955, Vita e Pensiero). Padre Gemelli, il cui primo incontro con la Barelli risaliva all’11 febbraio del 1910, preparò una prefazione. Qui, si trovano dati sulla fondazione della Cattolica. Nel testo c’è anche questa memoria:
«Si era nell’autunno del 1919 e il Comitato promotore della Università si adunò per la prima volta (…) a Milano. ln quella riunione (…) venne in discussione, per prima cosa, il nome da dare all’Università che doveva nascere. La Barelli ed io, già da tempo, avevamo prospettato: “del S. Cuore”. È facile immaginarne le ragioni, ma il gran nome suscitò nell’adunanza una levata di scudi. Vi fu (faccio di proposito citazioni anonime) chi disse che tale denominazione poteva andar bene per un asilo infantile, ma non per una Università; vi fu chi disse che il titolo di cattolica era così comprensivo che non era necessario specificare; vi fu chi propose, per conciliare le varie tendenze, di intitolare l’Università al grande santo Ambrogio e di chiamarla “Ambrosiana”.
Io, di fronte ad una presa di posizione cosi generale, cosi recisa, cosi pronta, mi sentii intimidito e mi dissi in cuore: cominciamo male; se anche sul nome non sono d’accordo coloro che ho chiamato a collaborare, che sarà quando si tratterà di determinare i caratteri e la struttura della nascente Università? E mi sono lasciato prendere da timore. Guardai la signorina Barelli, come per dire: “Vede a che punto siamo?”. Aveva il viso fermo e serio, come quando si trattava di prendere gravi decisioni; prese la parola per ultima; con impeto e calore difese la nostra tesi; non c’era nessun dubbio: la nuova Università si doveva chiamare del “Sacro Cuore”, a Lui intitolarsi, a Lui consacrarsi.
Tutti ascoltarono; ma era evidente, dalla espressione dei volti, che gli intervenuti non si lasciavano persuadere. “Ragioni sentimentali”, disse uno, ed era persona molto qualificata; “non è opportuno” disse un altro che considerava, e rettamente, le difficoltà in mezzo alle quali nasceva la Università; “non è prudente”, rincalzò un terzo che prediligeva sempre le soluzioni medie, ed aggiunse: “non bisogna urtare”».

Questa memoria è significativa. Dimostra che la scelta del nome del nuovo Ateneo non costituì una questione semplice. Padre Gemelli non fa nomi, ma le resistenze ci furono. Diventa allora interessante conoscere la fine della vicenda. Annota padre Gemelli nella prefazione: «Toccava a me rispondere; confesso che, di fronte ad uomini di così alto valore, che avevano nella vita una funzione ufficiale riconosciuta, ad uomini di maggior ingegno di me, mi sentii disarmato; cercai di ribattere ad una ad una le ragioni; ma certi sorrisi a fior di labbra mi fecero intendere che le mie ragioni non erano valutate; mi trovai privo di parole, quando uno affermò: “Ma lei che conosce, anche meglio di noi, il mondo degli uomini di scienza e di cultura, lei non deve sostenere una simile tesi, fatta per rovinare l’idea grandiosa e bella fin dall’inizio”.
In realtà, me lo dissi in cuore, i convenuti, ad eccezione di due, non erano convinti della possibilità di iniziare una Università cattolica; dei due una non era in condizione di poter misurare ciò che ci proponevamo di fare e di valutare quanto arduo l’attuare il disegno; l’altro, monsignor Olgiati, era troppo legato a me da comunione di pensiero e di affetto, per dubitare e per discutere.
Ci fu un momento di silenzio; il disagio apparve evidente; temetti che ci saremmo sciolti senza nulla concludere. Ruppe l’incanto la signorina Barelli, che disse: “Il Sacro Cuore vuole cosi; vuole che la intitoliamo a Lui; noi lo abbiamo promesso: dobbiamo farlo; se lo faremo avremo il Suo aiuto; se non lo faremo, saremo abbandonati alle nostre povere forze e falliremo”. Nessuno osò replicare; anche quelli che dubitavano che fosse un progetto realizzabile fecero obbiezioni più di forma che di sostanza. La battaglia fu vinta esclusivamente per il coraggio e per la fede della signorina Barelli».

La questione “del Sacro Cuore” non cessò del tutto. Nel 1924 padre Gemelli spingeva per ottenere, da parte dello Stato, il riconoscimento giuridico dell’Ateneo come Università libera. Su tale vicenda lo stesso francescano fornisce dati (prefazione cit.):
«Lunghe trattative con i Membri del Consiglio superiore della Pubblica Istruzione, moltissimi dei quali erano contrari; difficoltà gravi con i funzionari del Ministero; in fondo il solo ad essere favorevole era Giovanni Gentile, il quale, però, non era più Ministro della Pubblica Istruzione, messo da parte da Mussolini, e sostituito con il senatore Casati; il Gentile era però Presidente del Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione.
Un giorno un telegramma del Gentile mi chiamò a Roma; i più riottosi si erano piegati; relatori avevano accettato di dar parere favorevole; bisognava affrontare la votazione. Il Gentile mi disse che le obbiezioni residue si concentravano sul primo articolo dello Statuto che suonava, come suona ancor oggi: “L’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano… ha lo scopo di contribuire allo sviluppo degli studi e di preparare i giovani alle ricerche scientifiche, agli uffici pubblici e alle professioni liberali con una istruzione superiore adeguata ed una educazione morale informata ai principi del Cattolicesimo”. Il resto dello Statuto pareva buono e degno di approvazione. Il Gentile mi disse che egli era disposto ad accettare anche quel primo articolo dello Statuto perché era bene che una Università cattolica si dichiarasse tale non solo nel nome, ma anche nello Statuto. Ma vi erano gli irriducibili. È da ricordarsi che non erano ancora stati stretti i Patti del Laterano; eravamo nel regime delle Guarentigie; molti consiglieri erano vecchi liberali, per struttura mentale nemici del Cattolicesimo o meglio incapaci di comprenderne le alte idealità.
Il Gentile, dopo una conversazione in cui si pesò il pro e il contro, mi disse: “Piuttosto che far bocciare dal Consiglio superiore lo Statuto e la erezione dell’Università, è meglio che rinunciamo al primo articolo; diamo ad esso una struttura anodina”. Da notarsi che il Gentile, come Ministro nel 1923, mi aveva un giorno chiamato a Roma per collaborare alla elaborazione degli articoli della legge 23 novembre 1923 che riformava le Università e che istituiva le Università libere; io rivedevo gli articoli riferentisi a queste e proponevo le modificazioni che ritenevo opportune, il che feci in alcuni giorni di indefesso lavoro nelle sale del Gabinetto del Ministro.
Udita la proposta del Gentile, tornai in aeroplano a Milano; radunato in fretta il Comitato promotore, tutti furono concordi nell’accettare la proposta del Gentile per arrivare in porto: unica opposizione mosse la signorina Barelli. Io ebbi un’idea: sul trono di Pietro sedeva da due anni Pio XI, che ci aveva consigliato in ogni passo. “Andiamo da Lui, dissi; Lui ci dirà la volontà di Dio”.
La signorina Barelli, Necchi ed io andammo a Roma e fummo immediatamente ricevuti dal Pontefice. (…) Lunga discussione; alla fine della quale su quel nobile volto vidi passare il sereno, il cruccio, l’affanno, le speranze, le nubi nere, che ruppe dicendo: “Il bene di veder riconosciuta la nostra cara Università come Università libera, e di rompere una vecchia tradizione, è tale e tanto grande, che è prudente accettare il consiglio del Gentile, tanto più che si è impegnato, come Presidente, a condurre il Consiglio ad approvare lo Statuto”.
Aveva appena finito di parlare, che la signorina Barelli scoppiò in singhiozzi senza dire verbo; le lagrime le bagnavano il volto; tutti eravamo commossi; non osavamo parlare; lei sola, tra le lagrime, con voce rotta disse, dopo di aver calmata la prima emozione: “Padre Santo, noi faremo ciò che Lei deciderà; ma La prego considerare ancora: questo articolo conserverà in futuro il carattere cattolico dell’Università? La prego: ci dica ciò che dobbiamo fare; con il coraggio datoci dalla Sua benedizione noi affronteremo la battaglia e vinceremo”.
Noi tutti avevamo le lagrime agli occhi e le aveva anche Pio XI. Nuovo e più lungo silenzio. Poi: “È vero; ha ragione la signorina Barelli; è la voce della fiducia nel Sacro Cuore che parla in lei; accetto il suo parere; bisogna pensare anche all’avvenire; perciò affrontiamo la battaglia; lei, Padre, vada, riferisca e io domattina celebrerò la S. Messa perché sia fatta la volontà di Dio”. Il Gentile ascoltò, commosso anche lui, il mio racconto della udienza pontificia e disse: “Tentiamo la battaglia”. Mentre il Consiglio superiore della Pubblica Istruzione era radunato, io nella vicina chiesa di S. Maria sopra Minerva, pregavo. Un inserviente fidato, che mi doveva avvertire, ad un certo momento venne di corsa in chiesa mi scosse un poco ruvidamente, mentre io ero immerso nella preghiera, e mi disse: “Tutto approvato; e bene; venga, Padre; il Presidente Gentile la vuol vedere subito per combinare il da farsi”».