QUANDO IL VAPORE SOLCAVA I MARI DEL MONDO

di Mario Veronesi -

La nascita delle prime navi a vapore risale al XVIII secolo, ma è a partire da XIX che questo sistema di propulsione viene applicato in modo diffuso in tutto il mondo, prima alle marine mercantili e poi anche alle navi da guerra.

Uno-dei-primi-battelli-di-Jouffroy

Uno dei primi battelli di Jouffroy

Gli inizi dell’800 videro i mari e i maggiori fiumi solcati da navi mosse da un’innovata tecnologia: la propulsione a vapore. Il vapore impose un nuovo sviluppo cantieristico, nuove tecniche di costruzione delle imbarcazioni, nell’utilizzo delle navi da guerra, ed un’attenzione particolare verso la formazione degli equipaggi. La conoscenza e l’addestramento di professionisti in questa nuova tecnologia, comportò uno sforzo economico e amministrativo alle varie marinerie europee, sia mercantili che militari.
Le navi a vapore furono il risultato della naturale applicazione della macchina a vapore inventata da James Watt (1736-1819). Nel 1707 il francese Denis Papin risalì la Fulda, un affluente dell’Elba su di una curiosa imbarcazione mossa dal vapore, poi fino quasi alla fine del secolo vi furono soltanto progetti. Nel 1780 un altro francese, Claude de Jouffroy, navigò sul fiume Saône con un battello a vapore lungo 46 metri, ma purtroppo i suoi esperimenti furono interrotti dalla rivoluzione francese. Pochi anni dopo, nel 1788, l’americano John Fitch risalì il fiume Delaware da Filadelfia a Burlington a bordo di un battello a vapore. Nel 1802 William Symington realizzò invece una chiatta a vapore, il Charlotte Dundas, dotata di una macchina Watt a doppio effetto, destinata a rimorchiare legname sul fiume Clyde.

Robert Fulton

Robert Fulton

Il primo agosto 1807 il Clermont di Robert Fulton salpò da un molo presso il Greenwich Village (New York) per un viaggio di 270 miglia, durato 32 ore, verso Albany. Questo episodio viene considerato il primo vero viaggio di una nave mossa dal vapore. Inizialmente si pensava che le navi a vapore potessero navigare solo sui fiumi o al massimo sotto costa, e quindi il loro sviluppo fu molto più veloce negli Stati Uniti, ricchi di lunghe vie d’acqua interne: appena cinque anni dopo il viaggio del Clermont erano in servizio negli Stati Uniti ben 50 battelli dello stesso tipo. Le velocità raggiunte da queste navi erano notevoli: la più veloce dell’epoca, nel 1860, il Daniel Drew era capace di tenere una velocità media di 22 nodi. Si trattava di imbarcazioni molto grandi: il New World, per esempio, lungo 116 metri, aveva una ruota a pale di 14 metri di diametro e disponeva di quasi 700 cuccette. In Europa si cominciarono a costruire navi a vapore solo nel 1812, quando Henry Bell varò il Comet, lungo 12,2 metri e largo 3,2 metri.
Durante la guerra anglo-americana del 1812-15 il Congresso degli Stati Uniti autorizzò Fulton a costruire una nave da combattimento a vapore. Il risultato fu un’imbarcazione molto particolare, costituita da due scafi appaiati della lunghezza di 50 metri, con una larghezza totale di 19 metri e una grande ruota propulsiva di 5 metri di diametro sistemata tra i due scafi. In uno di questi fu collocata una caldaia e nell’altro la macchina, mentre due alberi a vele latine fornivano la propulsione in caso di emergenza. L’armamento consisteva in 30 cannoni da 32 libbre e in pompe capaci di gettare acqua bollente sulle nave nemiche per impedirne l’abbordaggio e per bagnare le munizioni (di solito disposte sul ponte). La morte di Fulton (24 febbraio 1815) impedì il completamento di questa originale nave, che aveva già fatto le prove di macchina.

Il Savannah, artefice della prima traversata atlantica

Il Savannah, artefice della prima traversata atlantica

In Europa si moltiplicarono gli sforzi per dotare le flotte, soprattutto mercantili, del rivoluzionario “vapore”. I più intraprendenti furono i Francesi e gli Inglesi, seguiti dal governo di Napoli che nell’agosto 1818 varò il vapore Ferdinando I, una nave lunga 40 metri, larga più di 6, con una portata di 243 tonnellate. La macchina aveva una potenza effettiva di 50 Hp, pesava 50 tonnellate e raggiungeva i 4,5 nodi. Il Ferdinando I partì da Napoli il 27 settembre 1818 per Livorno, Genova, Marsiglia: fu la prima navigazione a vapore italiana. La Marina Borbonica, in quel periodo la terza in Europa, nel 1848 disponeva di 22 navi a vapore.
Nel 1819 il piroscafo Savannah, un battello a ruota americano, realizzò la prima traversata dell’Oceano Atlantico a vapore in 29 giorni e undici minuti. Era una nave di tipo misto, vale a dire a vela e con il vapore come sistema ausiliario: si pensava, infatti, che se avesse compiuto l’attraversata solo a vapore la quantità di carbone da imbarcare avrebbe appesantito la nave e ridotto notevolmente la sua velocità. Questi dubbi vennero meno nel 1838, quando il piroscafo inglese Great Western conquistò il primato nella traversata atlantica con la sola propulsione del vapore.
La navigazione di lungo corso tra la Gran Bretagna e l’India cancellò anche le ultime perplessità in merito alla propulsione a vapore. Dopo questa prova s’impose definitivamente la supremazia del vapore sulla vela e si fondarono grandi compagnie di navigazione che usarono esclusivamente navi a vapore. La più grande nave del tempo fu la Great Eastern varata in Inghilterra nel 1859, lunga 211 metri, con 27.400 tonnellate di stazza, capace di trasportare 4.000 passeggeri, con più di 400 uomini d’equipaggio. La Francia nel 1820 fece costruire a Rouen due piroscafi, denominati Coureur e Caroline.

La prima nave da guerra a vapore concepita come unità militare fu una corvetta a ruote della marina francese, Le Sphinx, progettata dall’ingegner Hubert, e costruita a Rochefort nel 1829. La sua impresa più nota fu il rimorchio da Alessandria d’Egitto a Le Havre del pontone Luxor adibito al trasporto dell’obelisco egiziano che fu poi eretto a Parigi in Place de la Concorde. La Marina militare britannica ebbe il suo primo piroscafo nel 1821, che divennero sette nel 1827, mentre altri 60 si aggiunsero alla flotta tra il 1828 ed il 1840.
Questo nuovo tipo di forza propulsiva non era ancora ben vista negli ambienti marittimi militari. In particolare gli ufficiali di marina detestavano quelle macchine ingombranti, il fumo, la polvere di carbone, così estranei alla loro pratica esperienza in mare. Sotto l’aspetto militare le navi a vapore presentavano un grande punto debole nelle ruote propulsive, facile bersaglio per il tiro nemico, così come nella macchina collocata sopra la linea d’acqua. Per le navi da guerra ci voleva qualcosa di più sicuro, e l’elica risolse il problema. Già sperimentata dall’americano Stevens e dal francese Sauvage, fu portata allo stato operativo da John Ericsson. L’invenzione dell’elica è stata attribuita contemporaneamente a due uomini, Francis Petit Smith e John Ericsson, che nel 1836 ottennero entrambi i brevetti per eliche a vite. II brevetto di John Ericsson, ingegnere statunitense d’origine svedese (1803-1889), incluse una ruota a pale controrotante, per installazioni a doppia e singola elica.

L’elica di John Ericson fu applicata per la prima volta sulle navi da guerra in Francia nel 1842, precisamente sulla fregata La Pomone, da 36 cannoni, con l’alberatura di una fregata; a vapore poteva viaggiare a 7,5 nodi, a vela a 12. La Pomone fu realizzata nel 1846. Due anni dopo la Gran Bretagna rispose con la Termagant, fregata ad elica da 24 cannoni. In quell’anno la Royal Navy, dopo aver varato altre due pirofregate, l’Aboukir da 2.627 tonnellate e l’Indefaticable da 2.043, disponeva (come unità a vapore) di 20 fregate, 7 guardiacoste, 31 corvette, 15 cannoniere, 40 trasporti e 16 postali. La Francia ne possedeva 86.
In Italia, la prima Marina militare ad avere navi a vapore fu quella napoletana che nel 1843 acquistò dalla Gran Bretagna i primi piroscafi, mentre tra il 1841 e il 1846 furono costruiti nel cantiere di Castellamare di Stabia le pirofregate da 6 cannoni e 300 Hp Archimede, Ercole, Carlo III, Sannita. Dai cantieri britannici furono acquistate le similari Ruggero, Tancredi, Guiscardo, Roberto, Stromboli e gli avvisi Maria Teresa, Peloro, Lilibeo; dalla Francia gli avvisi Palinuro e Miseno.
Le prime navi a vapore entrate a far parte della flotta sarda furono la pirofregata Carlo Alberto, acquistata in Gran Bretagna e il Vittorio Emanuele, costruita nel cantiere navale genovese della Foce. La Marina sarda acquistò a Londra nel 1834 l’avviso Gulnara e nel 1847 l’Authion, mentre nei cantieri della Foce di Genova furono varati l’avviso Ichnusa e le pirocorvette Tripoli e Malfitano.

ll Napoleon davanti a Tolone nel 1852

ll Napoleon davanti a Tolone nel 1852

La quasi identità tra le macchine a vapore fisse e quelle marine provocò problemi di ingombro e di peso piuttosto rilevanti, infatti, data la scarsa compattezza degli apparati, metà dello spazio disponibile della nave era occupato dalle macchine e dalle caldaie. Le prime macchine imbarcate erano del tipo ad azione diretta, composte da due cilindri verticali, uguali tra loro, posti lateralmente, con gli stantuffi che agivano direttamente sull’asse delle ruote. Dal 1845 cominciarono ad essere utilizzate le macchine a cilindri inclinati, che rappresentarono un miglioramento nell’esercizio, ma non certo riguardo il peso e l’ingombro. Nel 1848 William Penn perfezionò la macchina a cilindri oscillanti, che rimase poi tipica per i vapori a ruote.
L’impiego dell’elica come propulsore provocò profonde modifiche nelle macchine marine. Mentre nei bastimenti a ruote l’asse era trasversale alla nave ed era collocato sopra la linea d’acqua, in quelli ad elica l’asse era nel senso della chiglia e si collocava sotto la linea di galleggiamento. Con le ruote la frequenza poteva essere contenuta nei 20 giri il minuto, mentre con l’elica il numero dei giri aumentò sensibilmente. Inizialmente i costruttori aumentarono il numero di giri per mezzo di ingranaggi. La stessa famosa macchina del Napoleon era di questo tipo. Poi furono costruite macchine a cilindri orizzontali, a biella rovesciata e a fodero, che risposero alle esigenze delle navi ad elica fin verso il 1860. Il Napoleon rappresentò concettualmente quanto di meglio l’arte navale di quel periodo poteva esprimere in Europa, ma ebbe una vita operativa limitata. Dopo soli 13 anni dal suo varo, avvenuto il 13 maggio 1850, la nave francese fu posta in riserva a Cherbourg e disarmata nel 1872.

Il Monarca, poi Re Galantuomo, attaccato dai garibaldini nel 1860 mentre è ancorato a Castellammare

Il Monarca, poi Re Galantuomo, attaccato dai garibaldini nel 1860 mentre è ancorato a Castellammare

Anche la Regia Marina italiana allineò un’unità di questo tipo proveniente dalla Marina borbonica. In allestimento nel cantiere navale di Castellamare di Stabia e denominato Monarca, progettata come nave a vela, nel corso della costruzione era stata modificata per l’avvento della propulsione a vapore con elica, con l’installazione nel 1858 di 4 caldaie tubolari e di una motrice alternativa a movimento diretto, mantenendo comunque completa l’alberatura e la velatura. Tra il 13 e il 14 agosto 1860 fu oggetto di un maldestro tentativo di abbordaggio da parte di una unità garibaldina. Con l’annessione del regno delle Due Sicilie il vascello non ancora ultimato fu incorporato nell’appena costituita Regia Marina (17 marzo 1861). Fu completato secondo i piani già elaborati dalla Marina borbonica e gli fu imposto il nome di Re Galantuomo. Fu inizialmente la più grande nave della giovane marina, ma la sua importanza bellica, già nel 1861 era assai scarsa per l’apparizione delle prime navi protette da corazze e per l’evoluzione delle batterie. Il Re Galantuomo rimase in servizio pochi anni e fu radiato nel 1875. Nella sua breve vita fu sottoposto ad alcuni lavori di rimodernamento che riguardarono le sistemazioni e le artiglierie, una prima volta nel 1864 in seguito ai danni riportati per le cattive condizioni del mare tornando dagli Stati Uniti, quando perdette buona parte dei suoi cannoni che in origine erano 64. Subì ancora modifiche tra il 1871 e il 1874 quando fu adibito a nave ammiraglia dipartimentale di base a La Spezia. Al momento della sua radiazione l’unità era armata con 18 cannoni da 160 mm e 4 da 220. Scarsa fu l’attività bellica del Re Galantuomo, partecipò alla presa di Gaeta nel 1861, la sola azione importante di tutta la sua vita operativa. Durante la guerra del 1866 il Re Galantuomo fu di base a Taranto e fu impegnato in qualche crociera di vigilanza nel mar Jonio e nel Basso Adriatico. Possiamo ricordare che nel 1863 trasportò negli Stati Uniti gli equipaggi destinati ad armare le pirofregate corazzate Re d’Italia e Re di Portogallo, in allestimento in un cantiere americano.

Port Said, all'imbocco del canale di Suez, nel 1880

Port Said, all’imbocco del canale di Suez, nel 1880

Contributo notevole all’evoluzione delle macchine marine fu dato dall’introduzione del condensatore a superficie, inventato da Daniel Dodd, e applicato a partire dal 1838. Il maggior vantaggio fu quello di sostituire l’acqua dolce all’acqua di mare per l’alimentazione delle caldaie. La costruzione delle caldaie tubolari a ritorno di fiamma, sperimentate già nel 1832 da Stevens, cominciò a diffondersi in Europa dopo il 1850 e consentirono di toccare pressioni di 3,5 atmosfere.
In quell’epoca, tutte le macchine marine erano ad espansione diretta, cioè il vapore entrava in un cilindro e da questo si esauriva in un condensatore, di modo che ogni cilindro agiva come una macchina indipendente. Solo verso il 1860 si generalizzò l’uso della più efficace macchina composita a doppia espansione (compound), dove il vapore entrava ad alta pressione nel primo cilindro dal quale passava in un secondo più grande dove si espandeva, con migliore utilizzazione della sua energia.
Le prime macchine marine con alimentazione ad acqua salata raggiungevano già verso il 1840 pressioni tra 0,3 e una atmosfera con un consumo di combustibile medio di 3,5 chili per Hp/ora. Con il condensatore a superficie il consumo si ridusse a circa 2 chili, mentre le pressioni salirono a 1,8 atmosfere. Quando furono imbarcate le macchine a doppia espansione e caldaie più resistenti, la pressione raggiunse il livello di 5,1 atmosfere e il consumo del carbone scese fino a 1,30 chili per Hp/ora. Contemporaneamente i pesi e gli ingombri degli apparati motori diminuirono, si scese da 170 chili per Hp sino a 120 chili e il risparmio di spazio andò a tutto vantaggio dell’aumento del carico utile trasportabile.
Soltanto nel 1883 il tonnellaggio a vapore superò, nella marina più potente d’allora, quella britannica, quello a vela. Un altro importante fattore, che permise al vapore di soppiantare la vela fu nel 1869 l’apertura del Canale di Suez. Questo permetteva d’accorciare enormemente i tempi di viaggio fra l’Europa e l’Oriente, e solo le navi a vapore, svincolate dai capricci del vento, potevano garantire il passaggio nei tempi stabiliti.

Per saperne di più
AA. VV., Navi a vela e navi miste italiane (1861–1887) fregate, corvette, brigantini, golette e avvisi – Ufficio Storico della Marina Militare, Roma 2001
M. Veronesi, Dalla vela al vapore: l’evoluzione navale tecnica e strumentale, dal medioevo all’ottocento – “Rivista Marittima”, giugno 2008
A. Formicola e C. Romano, Storia della Marina da Guerra dei Borbone di Napoli, 1734-1830 – 2 voll., Ufficio Storico della Marina Militare, Roma 2005 e 2010
A. Lambert, Battleships in Transition, the Creation of the Steam Battlefleet 1815-1860 - Conway Maritime Press, 1984