POLITICA E STAMPA: IL GIORNALISMO DELLA RIVOLUZIONE FRANCESE

di Giancarlo Ferraris –

 

La grande quantità di quotidiani e periodici nati in quegli anni furono strumentalizzati da leader politici, da agitatori di strada e capipopolo ma anche da giornalisti di professione. In breve divennero organi di stampa dei vari club in lotta tra loro per la supremazia politica.

 

 

Un giornalismo militante

Una delle attività che maggiormente si diffuse durante la Rivoluzione francese fu di sicuro il giornalismo. E per avere subito un’idea di ciò basta dare una semplice occhiata all’appello comparso nel primo numero del settimanale Révolutions de Paris uscito nel luglio 1789, qualche giorno prima della presa della Bastiglia, per iniziativa del conte di Mirabeau, noto aristocratico che aveva fatto sua la causa rivoluzionaria: «I grandi sembrano grandi perché noi siamo in ginocchio. Solleviamoci!».
Quello della Rivoluzione francese fu, sia pure con diverse intonazioni e sfumature, un giornalismo impegnato direttamente nelle questioni e nelle lotte politiche al punto da diventare, in non pochi casi, fucina o palestra di alcuni dei protagonisti principali della Rivoluzione stessa, dalla convocazione degli Stati Generali al Terrore, seguendo ovviamente le sorti sia degli uomini che degli schieramenti politici di cui era espressione e voce. Nell’ambito di questo giornalismo, dominato da forti passioni, furono veramente poche le pubblicazioni di grande successo, diverse le avventure portate avanti con scarsi mezzi e poi esauritesi, molti i casi in cui quotidiani e periodici cessarono di esistere per “cause naturali” o vennero soppressi con provvedimenti legislativi talvolta accompagnati da atti di violenza. Nonostante ciò il giornalismo maturato con e nella Rivoluzione francese divenne sinonimo di libertà di stampa, principio che si era già affermato in Inghilterra e che nel paese simbolo dell’Ancien Régime assurse al ruolo di difesa della democrazia politica affermatasi proprio con la Rivoluzione benché taluni successivi, drammatici sviluppi di quest’ultima finirono, paradossalmente, per negare i diritti di opinione e di espressione appena conquistati. Significative le parole del solito conte di Mirabeau, che rivolgendosi ai membri dell’Assemblea Nazionale Costituente, formatasi per dare alla Francia una nuova costituzione e quindi un nuovo assetto politico, disse: «Che la prima delle vostre leggi consacri una volta per tutte la libertà di stampa, la più illimitata».
Nella Francia rivoluzionaria lo sviluppo del giornalismo e quindi della stampa politica, ormai liberi dalla censura del regime assolutistico, fu vertiginoso. Tra il 1789 e il 1799, nel decennio appunto rivoluzionario, nacquero più di millecinquecento pubblicazioni tra quotidiani e periodici. Di essi più di trecentocinquanta vennero alla luce nel 1789, l’anno in cui divampò la Rivoluzione e nel corso del quale la Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino, formulata dall’Assemblea Nazionale Costituente, proclamò, all’articolo 11, la libertà di espressione: «La libera comunicazione dei pensieri e delle opinioni è uno dei diritti più preziosi dell’uomo; ogni cittadino può dunque parlare, scrivere, stampare liberamente, salvo a rispondere dell’abuso di questa libertà nei casi determinati dalla Legge».
Benché re Luigi XVI avesse chiesto ai deputati dell’Assemblea di conciliare, come egli stesso ebbe modo di dire, «la libertà di stampa con il rispetto dovuto alla monarchia, alla religione e ai costumi», l’intera Francia, a partire da Parigi, fu letteralmente inondata da una marea di fogli stampati.

Un po’ di storia

La grande quantità di quotidiani, periodici e semplici fogli nati negli anni della Rivoluzione furono strumentalizzati dai leader politici, dai vari agitatori di strada e capipopolo e anche dai diversi giornalisti di professione che li dirigevano e spesso vi scrivevano diventando così organi di stampa (l’organo di stampa è il giornale o la rivista portavoce ufficiale delle posizioni di un partito, di un movimento o di un gruppo organizzato N.d.A.) dei vari club rivoluzionari in lotta tra di loro per la supremazia politica tanto nella capitale Parigi quanto nelle città di provincia. Non è quindi agevole distinguere in questi quotidiani, periodici e fogli la propaganda politica dall’informazione vera e propria, come del resto non è altrettanto facile risalire al tipo di organizzazione editoriale che stava dietro a tutta codesta carta stampata anche per conoscerne la reale tiratura e la reale diffusione.
La diffusione di quotidiani, periodici e fogli venne tuttavia sottoposta ben presto ad alcune restrizione come accadde a Parigi pochi mesi dopo la presa della Bastiglia, quando la locale municipalità provvide a far sgomberare dalla Guardia Nazionale le strade dai venditori ambulanti di giornali, i cosiddetti strilloni, la cui presenza e la cui attività furono accusate di turbare l’emotività e la buona fede dell’opinione pubblica. Quando poi le autorità rivoluzionarie compresero che la libertà di stampa era diventata un’arma a doppio taglio maneggiata non solo dalla Rivoluzione ma anche dai suoi più acerrimi nemici, le restrizioni si fecero molto più dure.
Durante il regime del Terrore (1793-94) furono diversi i giornalisti che, diventati politici per scelta professionale o per passione, finirono sulla ghigliottina mentre il governo dittatoriale giacobino guidato da Maximilien Robespierre estese un rigido controllo sulle attività di stampa lasciando spazio solamente ai bollettini cosiddetti ufficiali. La libertà di stampa tornò in auge dopo la caduta di Robespierre (1794) benché in forme sorvegliate dall’alto. Essa venne rivendicata sia dai vincitori che dagli sconfitti: dai primi per conquistare il consenso dell’opinione pubblica e rafforzare così il loro potere; dai secondi per recuperare il terreno perduto e ribaltare in questo modo i rapporti di forza.

Alcune celebri pubblicazioni

L’Ami du peuple (L’Amico del popolo) fu sicuramente il più famoso giornale della Rivoluzione francese. Venne fondato nel settembre 1789 da Jean Paul Marat, appena rientrato in Francia dall’Inghilterra, che ne assunse anche la direzione consacrandosi così interamente alla Rivoluzione. Il giornale, che per alcuni numeri si chiamò Le Publiciste parisien, journal politique et impartial, veniva stampato in un seminterrato nel distretto parigino del club dei cordiglieri. La sua periodicità era irregolare come anche la sua foliazione, che poteva essere compresa tra un minimo di otto e un massimo di sedici pagine. Peculiarità del giornale di Marat era quella di recare in prima pagina, sotto la testata, la breve espressione Vitam impendere vero (Sacrificare la vita per la verità), tratta da una satira del poeta latino Giovenale e diventata altresì motto di Jean-Jacques Rousseau. L’Ami du peuple veniva venduto all’alba per un soldo. Uscì in quasi settecento numeri.
Lo stile dei suoi articoli era molto aggressivo nei confronti non soltanto della monarchia e dell’aristocrazia, i due principali avversari della Rivoluzione, ma anche della borghesia moderata e degli stessi organismi rivoluzionari quali l’Assemblea Nazionale Costituente e l’Assemblea Nazionale Legislativa. In particolare bersagli favoriti de L’Ami du peuple furono il re Luigi XVI, il suo ministro delle finanze Jacques Necker, il sindaco di Parigi Jean Sylvain Bailly, il conte di Mirabeau e il marchese di La Fayette, due nobili che avevano aderito alla causa rivoluzionaria. Con il suo giornale Marat propugnò la dittatura dei sanculotti, gli strati più popolari della società francese dell’epoca e la confisca dei beni della nobiltà, del clero nonché della borghesia, sostenne la necessità di subordinare il rispetto delle leggi alle esigenze superiori della Rivoluzione e invocò misure terroristiche contro tutti i nemici della Rivoluzione stessa. Accanto a tutto ciò redasse anche numerosi articoli in cui esponeva le sue idee e le sue riflessioni sul futuro della Francia rivoluzionaria.
L’Ami du peuple ebbe un forte rilievo in occasione di tre eventi: la marcia delle donne su Versailles, svoltasi nell’ottobre dell’89 quando le donne dei mercati di Parigi costrinsero il re Luigi XVI ad accettare la Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino sulla quale egli aveva manifestato delle riserve; il trasferimento del sovrano a Parigi, dopo il suo fallito tentativo di fuga all’estero nel giugno 1791; i tristemente noti massacri del settembre 1792 maturati in un clima tesissimo di sospetto e di paura fortemente alimentato proprio dal giornale di Marat.
Dopo svariate e turbolente vicissitudini tra cui anche alcune soppressioni per i suoi contenuti estremamente violenti, L’Ami du peuple cessò la pubblicazione il 22 settembre 1792, il giorno dopo la proclamazione della Repubblica.

Le Père Duchesne (Il Papà Duchesne), nato tra le bancarelle francesi del Settecento, era un personaggio simbolico mutuato dal vivace mondo della commedia dell’arte che personificava il popolano sempre pronto a segnalare abusi e ingiustizie. A partire dal settembre 1790 con questo nome si iniziò a indicare un giornale rivoluzionario diretto da Jacques-René Hébert il quale sarebbe poi diventato il leader dei cordiglieri “arrabbiati”, una fazione estremista dello schieramento rivoluzionario sostenitrice del Terrore, della guerra a oltranza contro l’Europa, del controllo statale sull’economia e della scristianizzazione della Francia. Complessivamente de Le Père Duchesne vennero pubblicati 335 numeri, fino al marzo 1794.
Il giornale si componeva di otto pagine prive di numerazione e usciva normalmente due volte alla settimana. La prima pagina di ogni numero era sormontata da una vignetta che rappresentava Le Père Duchesne con in mano una pipa e una rudimentale tabacchiera, due croci collocate lateralmente e un colorito motto sottostante: “Io sono il vero Papà Duchesne, cazzo!”
Alla fine di ogni pagina c’era il disegno di due forni, di cui uno rovesciato, i quali stavano a indicare la professione del Papà Duchesne che, si diceva, fosse un vecchio mercante di forni. Caratteristica era poi la posizione dell’indice che in ogni numero precedeva gli articoli, privi delle firme dei loro autori. Il giornale, dal linguaggio triviale e violento, veniva strillato lungo le strade per cogliere l’attenzione dei passanti. Dei contenuti de Le Père Duchesne abbiamo già parlato nel nostro sito nel settembre 2017 e in questa nuova sede vogliamo riepilogarli brevemente: il giornale di Hébert si scagliò pesantemente contro il re Luigi XVI e la regina Maria Antonietta fino alla loro condanna capitale, favorì il clima che portò ai massacri del settembre 1792, aggredì i girondini, i rivoluzionari moderati sostenitori della monarchia e difensori della proprietà borghese, contribuendo alla loro caduta, promosse la scristianizzazione della Francia che culminò con la nascita del culto della Dea Ragione.
Agli inizi del 1794 si scoprì che Hébert intratteneva rapporti con nobili e banchieri e che Le Père Duchesne aveva ricevuto finanziamenti e numerosissime sottoscrizioni di abbonamenti presso le truppe francesi impegnate nella guerra contro le potenze monarchiche europee. Nonostante le smentite di Hébert, nell’opinione pubblica maturò il sospetto che egli avesse trattenuto del denaro pubblico per sé tanto che moltissimi dei suoi lettori smisero di seguirlo. I successivi, convulsi avvenimenti che agitarono la scena politica misero fuori gioco Hébert che, dopo essere stato accusato dai giacobini di aver attentato al governo rivoluzionario di Maximilien Robespierre, di aver progettato una rivolta popolare, di essere al soldo delle potenze straniere e di aver utilizzato Le Père Duchesne per scopi personali, nel marzo 1794 fu mandato alla ghigliottina insieme ai suoi cordiglieri “arrabbiati”.

Le Vieux Cordelier (Il Vecchio Cordigliere) fu un giornale moderato che apparve nel periodo del Terrore. Fondato e diretto da Camille Desmoulins, uscì in soli sette numeri dal dicembre 1793 al marzo 1794 con una periodicità molto irregolare. La sua apparizione avvenne in seguito alla scissione del club dei cordiglieri in due gruppi contrapposti: quello degli “arrabbiati” e quello degli “indulgenti”. Il primo, come abbiamo già detto, guidato da Jacques-René Hébert, direttore del giornale Le Père Duchesne, era fautore di una politica decisamente estremista: Terrore, guerra a oltranza contro l’Europa, controllo statale dell’economia, scristianizzazione della Francia; il secondo, guidato da Georges Jacques Danton e dallo stesso Desmoulins, era invece sostenitore di una politica moderata: fine del Terrore, conclusione della guerra e pace con l’Europa, libertà in campo economico.
I sette numeri de Le Vieux Cordelier, di cui abbiamo già parlato nel nostro sito nel giugno 2017, furono usati da Camille Desmoulins sia per condurre delle vere e proprie campagne di stampa dapprima contro gli “arrabbiati” di Hébert e successivamente anche contro i giacobini di Maximilien Robespierre, sia per difendersi dai numerosi attacchi che gli avversari politici gli muovevano direttamente. Nel suo giornale Desmoulins denunciò il concetto di guerra intesa come strumento con cui diffondere la libertà; chiese la fine del regime del Terrore; attaccò la legge dei sospetti, con cui era iniziato il Terrore, la quale sopprimeva i diritti civili e le libertà individuali; propose una politica di pacificazione attraverso l’apertura delle prigioni piene di sospetti; lanciò un appello per la creazione di un Comitato di Clemenza per contrastare gli eccessi del Comitato di Salute Pubblica e del Comitato di Sicurezza Generale che governavano la Francia con il Terrore; attaccò i membri del Comitato di Sicurezza Generale, l’organismo che gestiva direttamente il regime del Terrore. La pubblicazione di questi articoli provocò una frattura insanabile con Robespierre il quale considerò Desmoulins insieme a Danton un traditore della Rivoluzione, mandandoli entrambi alla ghigliottina con i loro sostenitori nell’aprile 1794.

Les Actes des Apôtres (Gli Atti degli Apostoli) furono invece una pubblicazione realista e monarchica e quindi controrivoluzionaria, più che un giornale vero e proprio un pamphlet dai toni fortemente polemici e satirici che si esprimeva attraverso un linguaggio cinico e scurrile. Fece la sua comparsa a Parigi nel novembre 1789 finendo per scomparire nell’ottobre 1791, sembra per volontà dello stesso re Luigi XVI che non ne gradiva i contenuti. La sua periodicità era singolare dal momento che usciva mediamente a intervalli di due giorni. Ne furono pubblicati 311 numeri.
Les Actes des Apôtres, benché avversi alla Rivoluzione, non erano affatto concilianti con il re e la nobiltà. Se da un lato mettevano alla berlina i rivoluzionari scrivendo che «il principe assoluto può essere un Nerone, ma talora un Tito o Marco Aurelio, il popolo è sovente Nerone e mai Marco Aurelio», dall’altro lato criticavano il re e l’aristocrazia mettendo nero su bianco che «dal giorno in cui la nobiltà cessò di pulirsi i piedi sui campi di battaglia per pulirsi la parrucca a Versailles, essa smise di esistere».
Colonna portante de Les Actes des Apôtres fu Antoine Rivaroli detto il conte di Rivarol, scrittore e giornalista di origine italiana che si oppose con fermezza alla Rivoluzione fin dall’inizio schierandosi apertamente dalla parte della monarchia e dell’aristocrazia. Il Rivarol, di umili origini ma ben inserito nell’alta società parigina dove si spacciava per conte, tradusse in francese l’Inferno dantesco e nel 1790 pubblicò il Petit dictionnaire des grandes hommes de la Révolution dove espresse palesemente la sua opposizione al moto rivoluzionario di cui sbeffeggiava i suoi esponenti più in vista, primi fra tutti Robespierre, Danton e Marat. Nel 1792 Rivarol lasciò Parigi per Bruxelles, evitando così di assistere alla caduta della monarchia e quasi sicuramente di essere arrestato e mandato alla ghigliottina.

Per saperne di più
J.-P. Bertaud, Les Amis du Roi: journaux et journalistes royalistes en France de 1789 à 1792, Paris, 1984
A. Bougeart, L’Ami du peuple, Paris, 1865
F. Furet – D. Richet, La Rivoluzione francese, trad. it., Bari, 1974
P. Pachet (a cura di), Camille Desmoulins et Le Vieux Cordelier, Paris, 1987
G. Walter, Hébert et Le Père Duchesne, Paris, 1946