PAOLO THAON DI REVEL E LA VITTORIA SUL MARE NEL 1915-1918

di Giuliano Da Frè -

 

La carriera dell’ammiraglio sabaudo fu segnata da un talento fatto di lucida visione strategica abbinata a grandi capacità tattiche e operative. Qualità esibite nella guerra di Libia e  perfezionate durante il primo conflitto mondiale.

Nascita di un ammiraglio

Paolo Thaon di Revel

Paolo Thaon di Revel

Anche se tradizionalmente, sin dal XV secolo, i Thaon di Revel, un’illustre famiglia dell’aristocrazia sabauda, avevano fornito quadri soprattutto all’esercito e all’amministrazione di Casa Savoia, nello stemma gentilizio era rappresentato il mare. Elemento, questo, che si collegava anche alle loro origini nizzarde.
Nulla di strano, quindi, che Paolo Emilio, il figlio del conte Ottavio Thaon di Revel, già collaboratore del Cavour, nel 1873 entrasse nella Scuola navale di Genova come aspirante guardiamarina. Nato il 10 giugno 1859, unico ammiraglio (italiano e non) della Prima guerra mondiale che può essere considerato un condottiero navale vittorioso a tutto tondo, il futuro Duca del Mare, per l’interesse che ha per le materie scientifiche appare naturalmente predisposto verso una carriera con una forte connotazione tecnica.
La Regia Marina, all’epoca segnata dall’umiliazione subita per mano della flotta austriaca a Lissa nel 1866, stava cercando di rilanciarsi puntando sull’innovazione tecnica, che a partire dal 1880 la vedrà schierare una flotta moderna e ben bilanciata, acquisendo incrociatori di nuovo modello, siluranti e il primo sommergibile, nonché alcune corazzate considerate tra le più potenti dell’epoca, come quelle delle classi “Duilio” e “Italia”.
Diplomatosi con ottimi voti, e guardiamarina dal 1 dicembre 1877, Paolo Thaon di Revel – il cui primo imbarco avviene proprio sull’Affondatore, corazzata protagonista, nel bene e nel male, della disgraziata giornata di Lissa – tra il 1879 e il 1882 effettua una lunga crociera attorno al mondo con la nave scuola a propulsione mista velica e a vapore Garibaldi. Si tratta di un’importante palestra per un giovane ufficiale, appena promosso sottotenente di vascello: sia per affinare le proprie capacità marinaresche, sia per dare un primo sguardo al turbolento mondo di fine ’800. La nave operò infatti anche a salvaguardia degli interessi italiani nelle acque che, dal 1879, vedevano le piccole ma aggressive e moderne forze navali di Perù e Cile scontrarsi nella cosiddetta “guerra del salnitro”. Revel ebbe modo così di assistere ad azioni di bombardamento costiero e blocco navale, dandone conto in una relazione tecnica di notevole spessore, per un ufficiale di prima nomina.
Rientrato in Italia, troviamo il giovane ufficiale aiutante dell’anziano principe Eugenio di Savoia-Carignano, già a capo della flotta sarda dal 1844 al 1851, per approdare infine al suo primo comando: un modesto rimorchiatore, l’Atlante; ma da qualche parte occorre iniziare, e alla sua prima nave ne seguono altre, soprattutto torpediniere, assieme alla promozione a capitano di corvetta nel 1895, di fregata nel 1900, e infine di vascello nel 1904. Tra il 1902 e il 1907, Revel inanella una serie di incarichi in ambito addestrativo, culminati nel comando della giovane (era stata istituita nel 1881) ma già prestigiosa Accademia Navale di Livorno, che contribuirà a migliorare pochi anni più tardi, varando da presidente di una commissione di riordino del settore scolastico della Regia Marina alcune importanti riforme, come il prolungamento da 3 a 4 anni della durata dei corsi, aperti ad aspiranti provenienti anche da istituti tecnici.
Il 27 novembre 1907, Revel ottiene infine quello che all’epoca è il punto d’arrivo delle ambizioni di un ufficiale di Marina: il comando di una corazzata. Gli viene infatti affidata la fiammante Vittorio Emanuele, una delle quattro veloci e sofisticate unità da battaglia della classe “Regina Elena”, ancora in allestimento nel cantiere di Castellamare di Stabia: sino alla sua entrata in servizio, Revel si troverà quindi di nuovo nei panni dell’addestratore, per prepararne il primo equipaggio, mentre le fasi finali dell’approntamento ne confermano le qualità di tecnico e di organizzatore.
In effetti, la nave e il suo equipaggio raggiungono rapidamente un elevato standard di efficienza: nel dicembre 1908 gli uomini di Revel si distinguono nelle operazioni di soccorso alle popolazioni colpite dallo spaventoso terremoto di Messina, e la nave accoglie re Vittorio Emanuele III, arrivato per assistere ai soccorsi. Il sovrano vi si imbarcherà di nuovo anche nel corso delle manovre estive del 1909, e per un incontro in alto mare col kaiser Guglielmo II, favorevolmente impressionato dalle prestazioni della nave.
Il 16 gennaio 1910 Thaon di Revel viene infine promosso contrammiraglio: a soli 50 anni, fatto eccezionale rispetto agli standard dell’epoca. Tuttavia, in assenza di comandi disponibili, il “giovane” ammiraglio finì prima per presiedere la citata commissione, poi per essere nominato aiutante di campo del re. Ma per la Regia Marina, interessata all’epoca da un nuovo periodo di ammodernamento, stava per finire il tempo delle esercitazioni.

Il battesimo del fuoco

Lo scontro navale di Beirut, 1912

Lo scontro navale di Beirut, 1912

Nel settembre 1911, fallito il bluff diplomatico tentato da Giolitti per ottenere la Libia senza combattere, l’Italia si trovò in guerra con l’Impero Ottomano. La Regia Marina, in fase di trasformazione (avviata nel 1909 dall’ambizioso programma varato dall’ammiraglio Mirabello), viene mobilitata al gran completo: 19 navi da battaglia, 24 incrociatori, 62 siluranti, 25 navi da trasporto e ausiliarie, 42.000 uomini, destinate a trasportare sulle coste libiche un corpo di spedizione forte di 34.000 uomini, 6.300 quadrupedi, 1.050 veicoli e 72 cannoni. Con le truppe del generale Carlo Caneva ancora impreparate, tocca però all’Armata Navale, e alle sue compagnie di marinai da sbarco (i “garibaldini del mare”, li definirà D’Annunzio, cantore dell’impresa), prendere terra per occupare Tripoli, Bengasi, e creare una testa di ponte.
La flotta avversaria non è una vera minaccia: l’Impero Ottomano schiera una forza comprendente 8 vecchie corazzate (alcune relegate a compiti di difesa statica), 4 incrociatori relativamente moderni, cui si aggiungono una cinquantina tra cacciatorpediniere, torpediniere e cannoniere di costruzione recente, e 2 sommergibili da tempo in disarmo.
Alla testa della flotta italiana, chiamata a svolgere soprattutto un ruolo di supporto logistico e di proiezione strategica, si trovavano alcuni dei migliori ammiragli dell’epoca, ai quali va ascritta l’ottima prova di efficienza fornita dalla Regia Marina nel 1911-1912, assieme a marinai, sottufficiali e quadri. A Thaon di Revel è affidata la 2ª Divisione incrociatori, inquadrata nella 2ª Squadra dell’ammiraglio Faravelli (la 1ª Squadra, e il comando dell’intera armata, erano stati assegnati all’ammiraglio Augusto Aubry). La divisione comprende gli incrociatori corazzati Marco Polo, Varese, Garibaldi (che scelse come nave di bandiera) e Ferruccio, con gli ultimi 3 che appartenevano alla classe “Garibaldi”, consegnati tra 1901 e 1905, e largamente esportati.
Mentre nei primi giorni di guerra la squadra turca si concentrava a Beirut con le sue unità migliori, lasciando nei Dardanelli le corazzate più vecchie e in Mar Rosso una flottiglia di cannoniere (poi distrutta dalle navi italiane nella battaglia di Cunfida, il 7 gennaio 1912), in Adriatico le veloci siluranti del Duca degli Abruzzi, supportate dal Marco Polo distaccato dalla divisione di Revel, spazzavano rapidamente via le torpediniere di stanza nella base di Prevesa. Col grosso della flotta invece, Revel era costretto a segnare il passo, incrociando davanti alle coste libiche in attesa del corpo di spedizione, e a «fare una parte che non mi piace affatto, cioè quello di ‘faire le baubau’»; più tardi avrebbe messo nero su bianco anche non pochi dubbi sulla direzione strategica del conflitto.
Il 1° ottobre, le navi italiane iniziarono a bombardare le fortificazioni di Tripoli; per lo più obsolete, ma fu proprio Revel a serrare sull’unica batteria equipaggiata con moderni cannoni tedeschi Krupp, smantellandola, e aprendo la strada allo sbarco di 1.700 marinai armati, che il 5 occupavano la città, in attesa dell’Esercito. E’ un’azione improvvisata e brillante, che si ripete nell’arco di pochi giorni a Tobruk, Derna e Bengasi, sempre col supporto dei cannoni della flotta. Ma il conflitto presto entra in una fase di stallo: le truppe turche si difendono con tenacia, sostenute dalla popolazione araba, ostile agli invasori. Per la Regia Marina, inizia una logorante azione di appoggio ravvicinato alle operazioni di terra, mentre l’arrivo delle burrasche autunnali iniziava a provocare danni alle navi.
Revel propone di forzare la mano ai turchi, colpendone gli interessi marittimi nel Levante; e il 20 febbraio la sua divisione dirige verso le coste siriane e dell’Asia Minore, con l’obbiettivo di attaccare il porto di Mersin, nel golfo di Tarsus, base del contrabbando verso la Libia. Prima però il contrammiraglio fece rotta su Beirut, dove si trovavano la vecchia corazzata costiera Avnillah e una moderna torpediniera, che il 24 vengono affondate dopo un preciso cannoneggiamento del porto, mentre nei giorni successivi le navi italiane pattugliano il Levante.
Il successo dell’operazione spinge Revel a proporre di colpire gli stessi Dardanelli, cuore della potenza militare e politica ottomana, anche occupando alcune isole dell’Egeo.
Il 14 marzo Roma autorizza l’offensiva contro i Dardanelli; e dopo alcune azioni preliminari in Egeo, il 18 aprile la flotta bombarda i forti posti all’imboccatura dello strategico stretto, con l’incrociatore Ferruccio di Revel che per primo apriva il fuoco, dopo essere stato centrato da una granata turca.
Inoltre, dimostrando una lucida visione strategica, l’ammiraglio propone di occupare Rodi e l’intero Dodecaneso. Operazione effettuata a maggio con rapidità ed efficienza, ma senza la divisione di Revel, rientrata a Taranto per manutenzione. Il 27 settembre, inoltre, mentre il conflitto si avviava a conclusione proprio grazie alle brillanti imprese della Regia Marina nel Levante, molte delle quali progettate da Thaon di Revel, questi assumeva il comando dell’Ispettorato siluranti – reduce dal non riuscito ma spettacolare tentativo di forzare i Dardanelli e silurare la flotta turca all’ancora -, per poi essere nominato, a soli 54 anni, Capo di Stato Maggiore (marzo 1913), con la successiva promozione a viceammiraglio. Una promozione che sanciva il ruolo di primo piano da lui svolto nel recente conflitto: mentre all’orizzonte ne spuntava uno di ben più drammatiche dimensioni.

Preparare una guerra

La corazzata Santo Stefano affonda dopo essere stata silurata dai Mas di Rizzo, 10 giugno 1918

La corazzata Santo Stefano affonda dopo essere stata silurata dai Mas di Rizzo, 10 giugno 1918

Assumendo il suo incarico, Revel aveva ben chiari sia i problemi legati all’adesione alla Triplice Alleanza con Berlino e Vienna, che portava a una contrapposizione con la potenza navale inglese, sia il ruolo della sempre più rapida evoluzione tecnologica sulla dottrina d’impiego di una moderna Marina. Sin dall’inizio, per Revel o andava cambiata l’impostazione dello strumento navale, o andava modificata la politica estera.
Egli decise di proseguire l’ammodernamento della Regia Marina presentando già nel luglio del 1913 un programma che integrava quello del 1909. Ferma restando la necessità di dotarsi di nuove corazzate monocalibro, dopo il prototipo Dante Alighieri, e aggiungendo alle 5 unità in costruzione 4 super-corazzate armate con nuovi cannoni da 381 mm, il neo Capo di Stato Maggiore propose di realizzare ben 64 cacciatorpediniere, e altrettanti sommergibili. Proposta che riaccese il dibattito tra sostenitori delle teorie legate al prevalente impiego di naviglio leggero e mezzi insidiosi, e chi restava legato alle grandi flotte incentrate sulle grandi navi da battaglia. In realtà, Revel non apparteneva ad alcuna scuola dottrinale, ma con pragmatico buon senso mirava a creare una forza navale bilanciata tra le sue varie componenti, e ancorata all’evoluzione tecnologica, avendo ben presenti i cambianti che l’introduzione di nuove armi (veloci siluranti, sommergibili, aerei) comportavano.
Il vero nodo – emerso con lo scoppio della grande guerra europea nell’estate 1914 – era però quello delle alleanze. L’adesione italiana all’Intesa, almeno sul mare migliorava la situazione strategica della flotta, non più chiamata a misurarsi con la poderosa macchina da guerra anglo-francese; ma il complesso scenario adriatico, con Vienna avvantaggiata sul piano geografico e logistico, mentre la Regia Marina aveva nei periferici porti di Brindisi e Taranto le sue basi migliori, poneva agli ammiragli italiani diversi interrogativi tattici e operativi.
Sin dall’inizio, il comando italiano si divise: alla visione del Revel (spalleggiato dal ministro della Marina Viale), che da tempo aveva compreso quale sarebbe stata la guerra navale in Adriatico, legata ad una logorante e diuturna guerriglia navale incentrata sui mezzi insidiosi, e nelle tre dimensioni – di superficie, aerea, e subacquea -, si contrappose quella incarnata dal giovane e dinamico comandante dell’Armata navale Luigi di Savoia, Duca degli Abruzzi, sostenuto dai due eroi della guerra libica, gli ammiragli Millo e Cagni. Pur esperti nell’impiego di mezzi insidiosi, questi aggressivi comandanti erano alla ricerca di una grande battaglia navale che vendicasse Lissa, nonché l’audace raid contro obbiettivi costieri italiani scatenato dalla flotta da battaglia austriaca già durante il primo giorno di guerra con l’Italia, il 24 maggio 1915.
Nel tentativo di rendere la pariglia a Vienna, nel luglio 1915 andarono perduti – silurati da sommergibili austriaci – il potente e moderno incrociatore corazzato Amalfi e il più anziano Garibaldi. Ma al Revel, che stigmatizzava questa costosa condotta aggressiva, il Duca degli Abruzzi e i “falchi” replicarono che la flotta non era al sicuro nemmeno nei porti, visto che il 27 settembre 1915 la vecchia corazzata Benedetto Brin era esplosa per sabotaggio a Brindisi, con la perdita di 456 uomini.
Un disastro che spinse i vertici della Marina al punto di rottura: e pochi giorni dopo le dimissioni del ministro della Marina Viale, anche Revel, convinto a quel punto che fosse «meglio una direttiva mediocre, che due buone ma antagoniste», il 1 ottobre 1915 lasciò il proprio incarico, sostituito dal viceammiraglio Camillo Corsi, che divenne anche responsabile del dicastero.
Mentre il nuovo team di comando in realtà non cavava un ragno dal buco (un primo scontro navale, avvenuto il 29 dicembre 1915 al largo di Durazzo tra due gruppi di incrociatori e caccia, finì in un nulla di fatto, e nei mesi successivi le delusioni si accumularono, con continue incursioni di unità leggere e sommergibili austro-tedeschi in Adriatico, mentre mine e sabotaggi avrebbero portato alla perdita di altre due corazzate italiane), l’ex Capo di Stato Maggiore fu destinato a Venezia, quale comandante di uno scacchiere a stretto contatto con le forze austriache. Da qui, dall’ottobre 1915 al febbraio 1917, avrebbe combattuto la “vera” guerra navale adriatica, sperimentando o combinando con crescente efficacia guerriglia insidiosa, lotta antisommergibile, operazioni anfibie e aereonavali, l’aerosiluramento: impiegando vecchie astuzie di guerra – come finte postazioni di artiglieria e treni armati – e nuovi mezzi, tra i quali i motoscafi siluranti, i leggendari Mas, e mezzi d’assalto frutto di tecnologie avanzate e inventiva italiana. Un’azione che pose in luce in maniera definitiva le eccezionali capacità tattiche, operative, organizzative e di leadership sul campo del viceammiraglio giubilato dai vertici. E quando Corsi e il Duca degli Abruzzi furono a loro volta silurati, il governo tornò a rivolgersi al Revel, cui il 9 febbraio 1917 veniva assegnato il doppio ruolo di comandante dell’Armata Navale e di Capo di Stato Maggiore.
Dopo i primi successi conseguiti con nuovi mezzi e dottrine in alto Adriatico, l’ammiraglio riversò l’esperienza accumulata a livello strategico. I risultati non si fecero attendere: se il 15 maggio 1917 la battaglia del Canale di Otranto si svolse con esito inconcludente e perdite da ambo le parti, la guerriglia navale architettata dal Revel, dimostrò una crescente efficacia. E nella notte del 9-10 dicembre, due Mas guidati da Luigi Rizzo, uno dei promettenti giovani comandanti su cui l’ammiraglio aveva investito, affondarono la vecchia corazzata austriaca Wien.
L’11 febbraio 1918, i Mas guidati da Costanzo Ciano, con a bordo Rizzo e D’Annunzio, penetrano nella baia di Buccari per attaccare alcuni mercantili: avarie agli ancora primitivi siluri impedirono un successo concreto, ma un irridente messaggio in bottiglia abbandonato in acqua dal Vate creò la leggenda della “beffa di Buccari”; e una vera psicosi tra i comandanti austriaci. Psicosi alimentata da nuovi mezzi messi in opera dallo scatenato ammiraglio italiano: come il barchino saltatore “Grillo”, che tra aprile e maggio 1918 effettuò 9 vani tentativi di infiltrarsi nel porto di Pola, con la perdita di tre esemplari. Maggior fortuna ebbe la mignatta, un grosso siluro modificato capace di trasportare 2 operatori con una carica esplosiva da fissare alla carena della nave nemica: nella notte del 31 ottobre 1918, Rossetti e Paolucci, ideatori del mezzo, affondarono la modernissima corazzata Viribus Unitis, l’ammiraglia della flotta asburgica – sebbene da poche ore trasferita ai serbi.
Il successo che avrebbe però sancito anche sul piano propagandistico e psicologico la vittoria italiana nella guerra in Adriatico, fu conseguito ancora una volta da Rizzo, che al comando di due Mas il 10 giugno 1918 attaccava al largo di Premuda le moderne corazzate austriache Tegetthoff, graziata dal mancato funzionamento dei siluri, e Szent István, affondata, con pesanti conseguenze strategiche sulla flotta nemica, uscita in mare in massa per attaccare le posizioni italiane, e costretta a ripiegare.
Thaon di Revel poteva festeggiare così la fine della guerra, il 4 novembre 1918, come l’unico ammiraglio di tutti quelli coinvolti nel conflitto, che avesse conseguito successi tattici e strategici sia quale comandante operativo, sia al vertice della propria forza armata. Il 6 novembre fu promosso ammiraglio d’armata: un grado che, dopo essere stato assegnato nel 1862 allo sfortunato Persano, nessuno in Marina aveva più rivestito. Più tardi sarebbero arrivati il titolo di “Duca del Mare”, e la promozione a Grande Ammiraglio, assegnatagli da Mussolini il 4 novembre 1924. Mosse volte in realtà ad indorare l’amara pillola che il dittatore si apprestava a far trangugiare al popolare ammiraglio.
Alla testa della Marina come capo di Stato Maggiore sino al 24 novembre 1919 (quando diede le dimissioni per contrasti sulla politica italiana in Adriatico, vista come troppo arrendevole verso gli alleati), poi come Ispettore generale e presidente del Comitato degli ammiragli nel successivo triennio, il 31 ottobre 1922 Thaon era stato nominato ministro della Marina nel primo governo Mussolini, continuando la sua opera, intesa ad un profondo rinnovamento strutturale e dottrinario della flotta. Obbiettivo: costruire una marina equilibrata in tutte le sue componenti, compresa una adeguata forza aerea. In realtà, sin dall’inizio Mussolini, poco incline a favorire uomini di prestigio e troppo legati a Casa Savoia, iniziò a scavargli la terra sotto i piedi.
I primi duri contrasti avvennero nel 1923, con la crisi di Corfù, che per la prima volta ventilava la possibilità di uno scontro armato con la Royal Navy, ipotesi che l’anziano ammiraglio considerava un suicidio; e quindi con la nascita della Regia Aeronautica, che puntava a inglobare tutti gli assetti aerei esistenti, compresa l’efficiente forza aeronavale promossa da Revel sin dal 1913. Inoltre Mussolini, dopo aver prospettato un generale rinnovamento delle Forze Armate, dovendo supportare interventi destinati a cementare il consenso sociale al regime, all’apparato militare destinò scarse risorse, puntando semmai a controllarlo attraverso uomini fedeli al nuovo corso.
In quest’ottica, un veterano dei Mas, Costanzo Ciano, ammiraglio della riserva e ministro delle Comunicazioni, di Mussolini sarebbe diventato una sorta di eminenza grigia in ambito navale, bypassando il severo ammiraglio-ministro.
Una situazione che non poteva proseguire a lungo: entrato in contrasto col duce circa la riforma dei vertici militari, Revel si dimise (8 maggio 1925), pur restando in servizio a vita, come il grado di Grande Ammiraglio comportava, seppure “fuori quadro”. Vittorio Emanuele III, che già lo aveva nominato senatore a vita nel 1917, ne avrebbe fatto uno dei suoi più fidati consiglieri.
Seppur favorevole alla politica di potenza avviata in Mediterraneo da Mussolini negli anni ’30, l’ammiraglio restava però scettico di fronte alla sfida alla potenza navale inglese. Dal 1940 ebbe modo di verificare i propri dubbi, soprattutto come presidente di commissioni di inchiesta, convocate per analizzare i disastri che costellavano la partecipazione italiana al conflitto.
Tuttavia, a conferma della solida semina fatta un quarto di secolo prima, Revel poté costatare come i mezzi insidiosi d’assalto nel 1940-1943 bissassero i successi dei loro antesignani del 1915-1918, anche ottenendo un successo dalle conseguenze strategiche, come la messa fuori combattimento a fine 1941 delle due ultime corazzate rimaste alla flotta inglese del Mediterraneo.
Con l’aggravarsi della situazione militare, dal 1942 Revel fu coinvolto nella politica segreta avviata da Casa Savoia per uscire dalla guerra e disfarsi di Mussolini; e dopo il 25 luglio 1943, gli fu affidato un ruolo istituzionale di primo piano, con la nomina a presidente del Senato, che avrebbe conservato sino al luglio 1944.
Giunse poi l’8 settembre, a sfasciare paese e forze armate. Agli ammiragli che venivano a chiedergli consiglio sul da farsi dopo aver ascoltato l’ambiguo messaggio di Badoglio, Revel, rimasto al suo posto a Roma mentre tutto crollava, rispose con la consueta fermezza, e un chiaro richiamo al dovere: «Posso soltanto dire come penso di regolarmi io, e ciò si concreta in una direttiva molto semplice: intendo tenere fede per tutta la vita al giuramento di fedeltà al Re liberamente prestato nella mia giovinezza».
Con l’ammiraglio Legnani, comandante della flotta subacquea, uno dei pochi ad aderire alla Repubblica Sociale, Revel, pur in cuor suo sfavorevole alla creazione di una ridotta fascista in Nord Italia, si limitò a richiamare il dovere di restare fedele al patto con la nazione, e salvare il salvabile. Ma non si trattava dell’ennesimo esercizio di cerchiobottismo italico: bensì di mantenere salda l’eredità della vittoria conseguita dalla Marina da lui guidata nel conflitto precedente. Un’eredità che andava salvata a tutti i costi.
Di fronte alla feroce repressione nazifascista, Revel, deciso a evitare l’onta di un lager all’età di 85 anni, si rifugiò in Vaticano, sino alla liberazione di Roma, nel giugno 1944.
Lo attendevano l’inchiesta sugli ex esponenti del regime, da cui fu assolto con formula piena, e quindi la fine della monarchia, nel 1946: quel mondo istituzionale, e personale, cui era strettamente legato, che incluse la perdita anche del seggio al Senato.
Paolo Thaon di Revel morirà, a 89 anni, il 24 marzo 1948.

Per saperne di più
G. Da Frè, Le grandi battaglie della Prima guerra mondiale, Newton Compton, Roma 2015.
G. Da Frè, I grandi condottieri del mare, Newton Compton, Roma 2016.
E. Ferrante, Il grande ammiraglio Paolo Thaon di Revel, Ed. Rivista Marittima, Roma 2017.
M. Gabriele, La Marina nella guerra italo-turca, USMM, Roma 1998.
P. Halpern, La grande guerra nel Mediterraneo, LEG, Gorizia 2009.