LUIGI LUZZATTI, UN GIURISTA CONTRO LE “NEBBIE METAFISICHE”

di Massimo Ragazzini –

 

Un volume con le lezioni tenute alla Sapienza nel 1908-1909 ne evidenza l’attualità del pensiero. Partendo dalle posizioni della destra storica, denunciò l’abuso dei decreti d’urgenza ed esaltò il diritto anglosassone.  

 

9788849849257_0_0_1560_80Il volume raccoglie un corso di lezioni di diritto costituzionale tenute da Luigi Luzzatti all’università di Roma “La Sapienza” durante l’anno accademico 1908-1909 (Luigi Luzzatti, Lezioni di diritto costituzionale, Università di Roma 1908-1909 – Introduzione di Michele Ainis – Presentazione di Corrado Sforza Fogliani, Rubbettino Editore, Soveria Mannelli, 2016).
Le lezioni sono rimaste inedite per più di cento anni, fino a quando Giuseppe De Lucia Lumeno, segretario generale dell’Associazione nazionale fra le banche popolari, ne ha proposta la pubblicazione.
Nella presentazione del libro, Corrado Sforza Fogliani sottolinea i tratti distintivi della personalità di Luzzatti, che “seppe unire la profondità del pensiero e la molteplicità degli interessi coltivati con uno spiccato senso pratico ed anche organizzativo” e che nei suoi scritti dimostra “il suo nitore morale, prima ancora che intellettuale”.
Luzzatti fu politico, giurista ed economista; nacque a Venezia in una famiglia ebrea nel 1841 e morì a Roma nel 1927.
Nel 1863 si laureò in legge a Padova e subito si dedicò a studi di economia. Nello stesso anno pubblicò il suo primo lavoro scientifico, La diffusione del credito e le banche popolari, in cui sosteneva la funzione sociale del credito, attraverso il raccordo tra esigenza di risparmio volontario e offerta di capitali, accumulazione finanziaria e attenuazione del rischio, lotta all’usura e prospettive di sviluppo. Nel 1864, a Lodi, contribuì alla fondazione della prima banca popolare italiana, della quale fu nominato presidente, fondazione seguita l’anno dopo da quella delle popolari di Milano, Cremona e Faenza. Da allora fu costante la sua opera per diffondere questo tipo di banca.
Appena laureato, insegnò statistica commerciale ed economia pubblica nell’Istituto tecnico di Milano. Poi, dal 1867 al 1895, fu titolare dell’insegnamento di diritto costituzionale nell’Università di Padova. In seguito tenne corsi all’Università di Roma. Due interessi, l’economia e il diritto, che ne accompagnarono l’attività politica, oltreché quella scientifica, ma che, ci ricorda il costituzionalista Michele Ainis nell’esemplare introduzione, non furono mai disgiunti da “un’inclinazione verso i più deboli, verso i non garantiti”. Perché, scrisse Luzzatti in un saggio del 1876, L’elemento morale nel progresso secondo le dottrine di Buckle, la “moralità è superiore al sapere” e perché, in ogni caso, “la scienza economica assorbe una lezione etica”, come affermò in un articolo del 1874 sulla Nuova Antologia.

Luzzatti aderì alla Destra storica, stringendo un forte legame con Quintino Sella e con Marco Minghetti, di cui fu consigliere economico. E fu proprio Minghetti che nel 1869 lo nominò segretario generale del ministero dell’Agricoltura, industria e commercio, benché non fosse ancora deputato e neppure in età parlamentare. Nel periodo in cui ricoprì la carica si occupò di credito agrario, di economia forestale, di istruzione professionale, di vigilanza sulle società commerciali e sugli istituti di credito, di riforma del codice di commercio, di politica doganale. Fu eletto deputato nel 1871 e sedette alla Camera ininterrottamente fino al 1921, quando, dopo aver compiuto ottant’anni e il cinquantesimo anno di attività parlamentare, fu nominato senatore del Regno. Caduta la Destra storica, si batté, pur senza incarichi di governo, per una politica di negoziazioni doganali. Il presidente del consiglio Agostino Depretis gli riconobbe di fatto un ruolo assai vicino a quello di un ‘ministro senza portafoglio’, richiedendogli frequentemente suggerimenti e consigli in materia doganale, fiscale, finanziaria, monetaria e creditizia. Nel 1887-88 fu avversario della guerra delle tariffe combattuta da Crispi contro la Francia. La sua opera per moltiplicare le banche popolari e gli enti di credito per la piccola proprietà, per l’industria e per il commercio ne fece un vero e proprio leader, sempre più apprezzato per gli efficaci interventi alla camera, per gli articoli sui giornali, la maggior parte dei quali sul Corriere della Sera, e per gli scritti scientifici.
La riconosciuta preparazione tecnica lo portò a essere  ministro del Tesoro, incarico che ricoprì più volte (1891, 1896-1898, 1903-1905, 1906), poi dell’Agricoltura (1909), e infine presidente del Consiglio (1910-1911). Come capo del governo, nell’ambito di un orientamento sostanzialmente giolittiano, promosse miglioramenti per la legislazione cooperativistica, assistenziale e previdenziale. Fu durante il suo governo che iniziò l’iter della legge che, ponendo a carico dello stato lo stipendio dei maestri elementari, rese effettiva l’obbligatorietà della frequenza scolastica fino a dodici anni.
Un Luzzatti ormai ultraottantenne accettò l’ascesa al potere di Benito Mussolini. A questo proposito Ainis scrive che “nella vita di ogni uomo le pagine bianche s’alternano con le pagine scure. Tanto più nella vita degli uomini politici. Tanto più quando attraversi una temperie fra due secoli, come accadde a Luzzati”. La valutazione della parabola politica di Luzzatti non è peraltro ciò che interessa mettere in rilievo. “Interessa il costituzionalista” – sottolinea Ainis – “e di Luigi Luzzatti interessa il nesso fra la passione politica e quella scientifica”.

Nel secondo capitolo delle Lezioni, Il metodo negli studi di diritto costituzionale, Luzzatti espone con chiarezza i presupposti concettuali con i quali analizza i vari istituti costituzionali. Egli afferma che il diritto costituzionale si può studiare con due metodi diversi: uno è detto “deduttivo, antologico, metafisico”, ovvero “il diritto costituzionale astratto”; l’altro è “l’induttivo, detto anche dell’osservazione sperimentale, alimentato dall’osservazione dei fatti”. E fra i due metodi sceglie il secondo, perché con il metodo induttivo “le nebbie metafisiche si diradano”, si manifestano i “tribunali della storia” e giudichiamo le cose per i loro effetti. Secondo Luzzatti, quindi, i costituzionalisti debbono indagare sugli esiti concreti del diritto, mentre le denominazioni contano poco o nulla. Non si possono inserire nella medesima “famiglia” repubblicana gli Stati Uniti e gli Stati dell’America del Sud. Ed è preferibile essere un “cittadino monarchico” in Inghilterra, dove non c’è una costituzione nella forma classica, anziché un “cittadino repubblicano” in paesi con “statuti mirabili, perfetti”, ma con continue “rivoluzioni e reazioni”, dove “invece di avere lo Statuto scritto nel cuore lo hanno scritto solo sulla carta”. Il metodo induttivo applicato al diritto costituzionale comporta un’esposizione delle istituzioni politiche comparate, “comparazioni dalle quali si trae il valore tecnico delle istituzioni stesse”. Da qui parte un’approfondita analisi delle costituzioni degli Stati Uniti, della Francia e della Svizzera, che Luzzati definisce “le tre maggiori democrazie di forma repubblicana che esistono oggidì nel mondo politico”. Per interesse scientifico esamina anche i tratti salienti della costituzione turca e di quella giapponese.

I temi prescelti per le Lezioni sono comunque tutti significativi, spaziando dall’origine storica delle istituzioni costituzionali, alle leggi che governano il bilancio dello Stato, ai trattati internazionali con particolare riferimento a quelli di commercio, al confronto comparatistico fra il sistema giudiziario inglese e quello italiano, al sindacato costituzionale in materia di finanze. E non manca un’approfondita analisi dei pregi e dei difetti del sistema elettorale proporzionale e di quello maggioritario fondato sul collegio uninominale.
In coerenza con l’assunto che la conoscenza della storia è il presupposto dello studio del diritto, Luzzatti sceglie il metodo storico-comparativo su molti temi, in primis quelli della libertà religiosa e dei rapporti Stato-Chiesa, ai quali dedica largo spazio, con particolare riferimento all’evoluzione dell’articolo primo dello Statuto albertino e all’origine storica della legge delle guarentigie. E non nasconde la sua preferenza per il diritto inglese, ispirandosi sia a Burke che a Bagheot, anziché per il diritto francese. Mentre il primo procede secondo un continuum, senza lacerazioni, “la storia politica della Francia è composta di fogli staccati”, con “costituzioni razionali e troppo spesso artificiali”. Luzzatti è infatti polemico col revisionismo costituzionale, in particolare con quello francese, che liquida ironicamente nel capitolo Potere costituente: “è sintomatico l’aneddoto di quel tale editore di Parigi, il quale, richiesto dell’ultima costituzione di Francia, rispose, all’inglese che gliela chiedeva, che nel suo negozio non esistevano pubblicazioni periodiche”. L’ironia non mancava di giustificazioni, avendo la Francia cambiato la propria costituzione dopo il 1789 per ben tredici volte.

Le Lezioni ci presentano anche un Luzzatti lungimirante e anticipatore. Sono infatti numerose le corrispondenze fra le sue preoccupazioni e la situazione attuale del nostro Paese. Un esempio, sottolineato da De Lucia Lumeno nella postfazione al libro, è la critica all’abuso della decretazione d’urgenza. Tagliente è anche il giudizio sull’atteggiamento di molti parlamentari: “i deputati non trovano nessun freno nel proporre spese e ciascuno si affanna a far votare opere e sussidi per i comuni del suo collegio, in ispecie prima delle elezioni, per potersi presentare al giudizio degli elettori con un pesante fardello di concessioni di lavori e di denaro e dir loro: ecco quanto io ho fatto per voi, siate benevoli con me”. Egli denuncia che in Italia il confronto politico “si trasforma in lotta pel potere”, che “le maggioranze designano il Governo, ma il Governo per reggersi si crea artificialmente e a prezzo le maggioranze”, che “i partiti degenerano in fazioni, le fazioni in consorterie, le consorterie in combriccole” e che, come conseguenza, “la Nazione si allontana sempre più dal Governo e dal Parlamento”. Per contrastare la rinuncia al voto, Luzzatti propone il rimedio drastico già previsto dalla legge elettorale belga, il voto obbligatorio, cosicché “gli elettori – osserva nel capitolo sulla Rappresentanza politicasaranno pur costretti a pensare per un momento alla cosa pubblica quando avranno la scheda in mano”. Oltre a ipotizzare il dovere del voto, precorrendo di quarant’anni l’articolo 48 della Costituzione repubblicana, avanza anche l’idea di estendere l’elettorato ai cittadini residenti all’estero mediante la consegna della scheda al Consolato, una riforma che il Parlamento italiano ha varato nel 2000, novant’anni dopo. E intuì che occorreva rafforzare il regime rappresentativo introducendovi un istituto di democrazia diretta quale il referendum, seguendo l’esempio svizzero, e il controllo di costituzionalità delle leggi, previsto dalla Costituzione degli Stati Uniti.
Luzzatti lascia quindi un insegnamento: il giurista deve sempre analizzare le istituzioni degli altri paesi e, soprattutto, non deve trascurare lo studio della storia, da cui hanno origine le stesse istituzioni costituzionali. In Luzzatti, osserva Ainis, “c’è la prevalenza della dimensione sostanziale del diritto su quella formale. Per ogni Carta costituzionale conta il testo, ma conta ancora di più il contesto”. (dal n. 88 di “Libro Aperto”; si ringrazia il direttore Antonio Patuelli per la gentile concessione).

Per saperne di più
Luigi Luzzatti, Lezioni di diritto costituzionale, Università di Roma 1908-1909 – Introduzione di Michele Ainis – Presentazione di Corrado Sforza Fogliani, Rubbettino Editore, Soveria Mannelli, 2016