L’ITALIA “È” UN PAESE PER AUTOBLINDO

di Giuliano Da Frè –

 

Nonostante, storicamente, la nostra produzione di mezzi cingolati non sia mai stata eccelsa, i blindati su ruote hanno goduto di maggiore fortuna. E nell’ultimo trentennio si sono imposti anche sul mercato internazionale con veicoli di assoluta eccellenza.

 

 

 

In un precedente articolo abbiamo sinteticamente ripercorso il travagliato rapporto esistente tra il carro armato (e più in generale i mezzi cingolati pesanti) e l’apparato militare italiano. Rapporto travagliato in realtà soprattutto sul piano tecnico-industriale: poiché se la durissima esperienza della Seconda guerra mondiale, e poi il rapido espandersi del parco corazzato durante la Guerra Fredda, con la completa meccanizzazione dell’Esercito avvenuta nel 1965-1980, hanno irrobustito e ampliato la specialità carrista, e i reparti di artiglieria semovente e fanteria meccanizzata, il tutto è avvenuto acquisendo mezzi stranieri; soprattutto americani, ma anche tedeschi e francesi. Dopo un promettente inizio nel 1918-1920, infatti, la successiva produzione italiana di carri armati, monopolizzata da mezzi leggeri e medi di qualità mediocre (progettuale e soprattutto costruttiva), è rimasta al di sotto degli standard delle potenze amiche e nemiche. E il primo carro nazionale del dopoguerra, il C1 “Ariete”, progettato, al pari dell’altrettanto poco riuscito veicolo corazzato per la fanteria “Dardo”, dal consorzio formato da Fiat-Iveco e OTO-Melara, realtà produttive di tutto rispetto e già coinvolte negli anni ’60 e ‘70 nella costruzione su licenza di migliaia tra carri M-60 e “Leopard-1”, e cingolati per fanteria M-113, ha di fatto rinverdito le poco lusinghiere realizzazioni degli anni ’30 e ’40 [1]. Anche perché “Ariete” e “Dardo” sono stati consegnati ai reparti con 15-20 anni di ritardo sui coevi mezzi degli altri eserciti occidentali.
Tuttavia, e con protagoniste le stesse realtà industriali così poco brillanti in materia di mezzi cingolati, negli ultimi 30 anni la produzione italiana di blindati su ruote si è gradualmente imposta tra le migliori del mondo, fornendo sia alle Forze Armate italiane, sia al mercato internazionale (a volte con risultati spettacolari, e clienti come Stati Uniti, Regno Unito, Brasile e Russia) veicoli di assoluta eccellenza. Su tutti la famiglia di blindo pesanti 8×8 “Centauro-Freccia”, e l’apprezzatissimo gippone corazzato 4×4 “Lince”.

Primi passi: potenzialità ed emarginazione

Ansaldo Lancia Z1 prima valida autoblindo italiana in servizio dal 1915 al 1943.

Ansaldo Lancia Z1 prima valida autoblindo italiana in servizio dal 1915 al 1943.

Sin dalla guerra in Libia, iniziata come conflitto convenzionale contro l’Impero ottomano nel 1911-1912, e poi proseguita tra alterne vicende come guerriglia per un ventennio (un poco conosciuto “Vietnam italiano”), l’allora Regio Esercito era stato un pioniere nell’impiego di autocarri anche armati, da cui derivare le prime autoblindo, poi schierate nella più impegnativa prova del ’15-’18. Dopo i pochi prototipi detti Fiat-Arsenale, dai camion realizzati dalla Fabbrica Italiana Velocipedi Edoardo Bianchi fu ricavata (con finanziamenti anche raccolti dall’Automobile Club di Milano) la rustica Automitragliatrice Bianchi, protetta con lastre d’acciaio spesse 6 mm e armata con 2 mitragliatrici, una delle quali in torretta. Da questa esperienza furono ricavate la sgraziata ma robusta autoblinda coloniale realizzata da Fiat-Terni (detta “Tripoli” o “Libia”), e soprattutto l’ottima Ansaldo-Lancia Z1, realizzata in 150 esemplari tra 1915 e 1918, e dal 1919 impiegata oltre che in Libia e in Somalia, anche durante la guerra civile spagnola; e di nuovo su vari fronti nel 1940-1943, riequipaggiata con mitragliatrici Safat da 12,7 mm.
Solo negli anni ’30, e anche a causa della precedenza data allo sviluppo dei carri armati, si iniziarono a introdurre nuove autoblindo: a partire da quelle destinate alle forze di sicurezza e di impiego coloniale Fiat-SPA 611 realizzate in 50 esemplari nel 1933-1934, e sempre derivate da un autocarro a 6 ruote. La vera svolta avvenne tuttavia con l’autoblindo 4×4 Fiat-Ansaldo AB40, progettata nel 1938, e dai cui fu derivata un’apprezzata (anche dai tedeschi) serie di varianti, per un totale di 700 esemplari costruiti entro il 1943. La variante più numerosa fu l’AB41, armata con cannoncino da 20 mm e dalle caratteristiche innovative, come l’impiego delle ruote di scorta quali elementi di supporto nel superare gli ostacoli, le sospensioni all’avanguardia, e la possibilità – in una variante ad hoc – di viaggiare lungo i binari ferroviari grazie a speciali cerchioni d’acciaio. Inoltre, l’ultima versione AB43, completata in poche decine di esemplari nell’estate 1943, montava il cannone da 47 mm impiegato dai carri medi. Sebbene afflitte da alcuni dei difetti strutturali (come la corazzatura imbullonata e non saldata, e di scadente qualità balistica, e la scarsità di radio) che caratterizzavano anche i tank italiani dell’epoca, contrariamente a questi ultimi le AB41/42/43 non erano lontane dagli standard dei migliori modelli di alleati e avversari. Durante la guerra inoltre, oltre a validi autocannoni e all’ottima camionetta protetta Fiat-SPA AS42 “Sahariana”, fu copiata dalle Daimler “Dingo” inglesi catturate dalle truppe dell’Asse in Nordafrica nel 1941-1942, la piccola 4×4 Lancia “Lince”, costruita (anche da Ansaldo) in quasi 400 esemplari, prodotti sino al marzo 1945 per lo più a favore della RSI e dei tedeschi.
A guerra finita erano sopravvissute poche decine di AB41/43 e “Lince”, per di più suddivise tra reparti addestrativi dell’Esercito, Carabinieri e forze di polizia, prestando servizio sino agli anni ’50.
Tuttavia, come accaduto per i carri armati, si fece ricorso al materiale ceduto all’Italia cobelligerante nel 1944-1945 – anche se i reparti erano privi di tank, e le autoblinde impiegate solo da Carabinieri e Polizia per compiti di ordine pubblico [2] –, e soprattutto a quello recuperato dal 1946 nei campi ARAR (Azienda Rilievo Alienazione Residuati) creati in vari siti della Penisola per immagazzinare e smaltire migliaia di veicoli e aerei, ed enormi quantità di attrezzature ormai troppo logorate perché risultasse economico riportarle in Gran Bretagna o Stati Uniti. Cannibalizzando però una parte del materiale era possibile rimettere in servizio alcune centinaia di mezzi: lo si fece per i carri armati “Sherman” e “Stuart” destinati a ricostituire i reparti corazzati dell’ormai ex Regio Esercito italiano; e la pratica fu estesa anche alle autoblindo. Nei reparti esploranti iniziarono così ad arrivare valide blindo inglesi “Humber” Mk-3 e Mk-4, e “Fox-I” canadesi, passate a Polizia e Carabinieri, e poi alla VAM (Vigilanza Aeronautica Militare), e meno apprezzate M3 “Scout Car” americane da ricognizione e portatruppe. Dal 1947-1948 entrarono in servizio alcune centinaia di più potenti T-17 “Staghound” (circa 350, per due terzi andate ai Carabinieri, e nel 1950 schierate in Somalia), e soprattutto 6×6 M-8 “Greyhound”, anche in versione portatruppe M-20. Entrambe armate con cannone da 37 mm, dopo il 1960 quelle impiegate dall’Esercito nei reparti esploranti e di cavalleria assieme ai carri leggeri M-24 “Chafee” iniziarono a essere trasferite tutte a Carabinieri, VAM e Polizia, che già ne impiegavano un buon numero, pur restando una sorta di “riserva di emergenza” cui attingere in caso di bisogno. Negli anni ’60 infatti i reggimenti di cavalleria passarono sui carri armati, con l’acquisto di un buon numero di M-47 dismessi da Stati Uniti e Germania, andati ad affiancare il primo lotto di “Patton” entrati in servizio nuovi di fabbrica dal 1953, e più tardi sostituti coi fiammanti “Leopard-1” tedeschi. Sino agli anni ’80 l’Esercito italiano avrebbe privilegiato il cingolo alla ruota, relegata solo ai compiti logistici e di supporto affrontati da autocarri e camionette, come l’iconica “Campagnola” prodotte per 35 anni dalla Fiat, che tra anni ’50 e ’70 realizzò assieme a Lancia – dal 1975 Iveco – e Alfa Romeo anche camion e trattori d’artiglieria.
Nelle forze di sicurezza le autoblindo della Seconda guerra mondiale dismesse dall’Esercito restarono in servizio sino al 1970, e alcune impiegate a consumazione sino al 1982, quando furono sostituite da un prodotto nazionale di nuova generazione, dopo vari progetti rimasti sulla carta, soprattutto per mancanza di interesse da parte dell’Esercito, impegnato tra 1960 e 1980 nella citata meccanizzazione su cingoli. Limitati anche i successi nell’export: come la bizzarra automobile blindata OTO-Melara R2 “Gorgona” del 1982, testata in piccoli lotti da Polizia e Carabinieri, ed esportata in Arabia Saudita e Oman, mentre una sua evoluzione “combat”, la rustica R3 “Capraia” restò allo stadio di prototipo.
Un successo decisamente maggiore lo ebbe un prodotto sviluppato negli anni ’70, e frutto di una collaborazione tra Fiat e OTO-Melara, e denominato Fiat-6614/6616, a seconda della configurazione in 4×4 o 6×6. La versione 6614 fu largamente esportata, con circa 1.100 esemplari prodotti tra 1977 e 1989 (anche su licenza) per una decina di paesi, cui vanno aggiunti circa 200 Fiat-6616, armati anche con cannone da 20 mm o mortaio da 81 [3]. In Italia i Carabinieri acquisirono 52 esemplari 6×6 per i battaglioni mobili, mentre la versione 4×4 fu realizzata in 164 esemplari: 40 per la Polizia (l’unica a impiegarle ancora) e 110 per la VAM, mandando così in pensione le ultime autoblindo di epoca bellica. Per le missioni di pace in Libano del 1982-1984, e in Somalia 10 anni dopo, i Carabinieri impiegarono le “6616”, ma l’Esercito dovette farsi cedere dall’Aeronautica alcune 4×4, per poi ottenerne un piccolo lotto ad hoc di 14 esemplari, oltre a ricorrere ad alcuni escamotage, come tra poco vedremo.
In effetti, dopo un gap durato un ventennio, lo Stato Maggiore aveva deciso di riprendere in considerazione anche i mezzi corazzati su ruote, nei propri piani di ammodernamento varati nel 1982, ma poi colpiti “in mezzo al guado” dalla fine della Guerra Fredda e dai successivi, pesanti tagli di bilancio.

Tra ammodernamento e ambizioni negate

La potente autoblindo cacciacarri Centauro in servizio dal 1992.

La potente autoblindo cacciacarri Centauro in servizio dal 1992.

Negli anni ’80 infatti lo Stato Maggiore Esercito avviò i programmi destinati ad affiancare e in parte sostituire i mezzi corazzati acquisiti a cavallo tra anni ’50 e ’60 con 4 nuovi sistemi d’arma. Di questi, due erano sempre basati su cingolo, e avrebbero dato vita al carro armato “Ariete” e al VCC “Dardo” (allo studio sin dal 1975 come VCC-80), di costruzione nazionale e firmati dal Consorzio Fiat-Iveco e OTO-Melara (CIO), che avrebbero progettato anche – con miglior successo – i mezzi richiesti dagli altri 2 programmi, questa volta entrambi incentrati su blindati ruotati: ossia un mezzo pesante 8×8 da combattimento cacciacarri armato con lo stesso cannone da 105 mm dei carri armati; e un veicolo da trasporto truppe ed esplorante in versione 4×4 e 6×6, più avanzato delle rustiche autoblindo Fiat degli anni ’70.
Nel 1986-1987, contemporaneamente ai prototipi di “Ariete” e “Dardo”, venivano presentati anche quelli della blindo cacciacarri “Centauro” e dell’APC “Puma”, di cui si ipotizzavano rispettivamente 450 e 900 esemplari.
Il primo veicolo a entrare in produzione fu l’8×8 B-1 “Centauro”. Inizialmente pensato come un’autoblindo esplorante medio (AVH-6636) a 6 ruote da 15 tonnellate, e armato con cannone da 90 mm, nel 1986 fu presentato in una configurazione più prestante, su 8 ruote e peso di 25 tonnellate, grazie alla protezione incrementata e alla vistosa torre che integra un cannone rigato da 105/52 mm, della stessa classe di quello che equipaggia i carri “Leopard-1”: il che ne ha fatto la blindo cacciacarri più potente del mondo, superata come vedremo solo dalla sua evoluzione 30 anni più tardi. La “Centauro-1” infatti, introdotte alcune modifiche e dopo aver superato le difficoltà economiche dei tagli post-1989 (che bloccarono “Ariete”, “Dardo” e “Puma”) entrò in produzione con un lotto di 10 esemplari di preserie nel 1990, con consegne ai reparti tra 1992 e 1996, per un totale di 400 esemplari, in 2 configurazioni quasi identiche, ma una delle quali pensata per trasportare 4 fanti.
Impiegata da subito in missioni oltremare, col battesimo del fuoco avvenuto in Somalia nel 1993, e divenuta un simbolo dell’impegno del nuovo Esercito italiano in tutte le operazioni, dall’Africa alla ex Iugoslavia, dall’Afghanistan all’Iraq (dove contribuì alla vittoria nelle battaglie dei ponti di Nassiriya nel 2004), non ha ottenuto il successo di esportazione che avrebbe meritato, con soli 97 esemplari realizzati per Spagna e Oman [4]: Stati Uniti, Russia e Brasile testarono il mezzo, in modo soddisfacente ma facendo poi altre scelte. Il problema è che la “Centauro” costava quasi quanto un carro armato, e proprio in anni in cui la fine della Guerra Fredda portava alla svendita di ingenti stock di tank anche recenti e di ultima generazione. Più tardi, nel 2014 la Giordania acquistò 141 “Centauro-1” dismesse dall’Esercito e ricondizionate entro il 2021; attualmente, in 9 reggimenti italiani di cavalleria ne restano circa 250, da sostituire nei prossimi anni con 150 “Centauro-2” e 120 “Freccia-E1/2” esploranti. Ci torneremo, mentre per le “Centauro-1” in dismissione si è ipotizzata la cessione anche all’Ucraina.
Se da 30 anni la “Centauro-1” è comunque diventata una sorta di icona del nuovo Esercito Italiano – professionale, proiettabile, sempre meglio equipaggiato [5] e “combat proven” –, e base progettuale per l’altrettanto riuscita ma più articolata famiglia di 8×8 “Freccia-Centauro-2”, per la VBL [6] “Puma” le cose sono andate decisamente meno bene. Benché nel 1990 fossero pronti 5 prototipi, anche 6×6 e con missile anticarro “Milan” in torretta integrata, solo dopo molti tira-e-molla si giunse al contratto del 1999, per 250 6×6 e 330 4×4 [7], poi ulteriormente modificato a favore della configurazione più pesante, salita a 360 esemplari, contro 180 4×4, e il taglio delle 20 blindo in versione NBC, sostituite nel 2000 dall’acquisto di seconda mano dalla Francia di 16 VAB Reco-NBC, 4×4 quasi nuovi, impiegati in Iraq e Afghanistan, aggiornati allo standard Plus da Aris nel 2014 e da sostituire entro il 2026 con una variante dei 4×4 “Lince-2”.
Le 540 “Puma” ordinate vennero invece prodotte tra 2001 e 2004: ossia 15 anni dopo la presentazione del prototipo, e proprio mentre le missioni in Afghanistan e Iraq ne mettevano in luce l’inadeguatezza a fronteggiare la crescente minaccia degli ordigni IED. Meglio riuscite delle precedenti Fiat, con ottime doti di mobilità, elitrasportabili, e anche dal design più elegante e balisticamente efficace, le “Puma” in scenari di attacchi asimmetrici complessi si sono tuttavia rivelate delle trappole, con alcuni mezzi perduti o danneggiati, e gravi perdite per il personale, e nonostante l’adozione su alcune decine di veicoli della torretta remotizzata HITROLE con mitragliatrice e lanciagranate da 40 mm. In missioni a bassa intensità, come quelle ancora in corso nella ex Iugoslavia e in Libano, si sono dimostrate valide; ma si è anche proceduto a cederne un centinaio a Pakistan, Libia, Gibuti e Argentina, mentre alcuni lotti sono stati trasferiti ai Carabinieri, per iniziare a sostituire i mezzi più vecchi.
La lunga attesa per le “Puma”, e la scarsa disponibilità di Fiat 6614/6616, aveva infatti spinto Esercito e Carabinieri ad affrontare i crescenti impegni nelle missioni multinazionali “esplose” nel 1991-1999 (quando i reparti furono chiamati a operare con congrui contingenti e sino a 12.000 uomini impegnati anche in contemporanea in Kurdistan, Somalia, Mozambico, Bosnia, Albania, Kosovo e Timor Est) a varare programmi di emergenza, che ancora una volta videro Iveco mettersi in mostra. L’azienda di Bolzano infatti, in crescita graduale nel settore militare sin dagli anni ’70, dopo il 1980 era stata chiamata a rinnovare il parco autocarri delle Forze Armate con mezzi leggeri e medi delle serie 80/90, tuttora impiegati, e con un versatile veicolo tattico, derivato dal diffusissimo Iveco “Daily” commerciale: il VM-90. Di questo robusto e apprezzato 4×4 in servizio dal 1990 e prodotto sino a pochi anni fa in 4.200 esemplari per l’Italia, e ampiamente esportato in versione militare e civile, sono state realizzate diverse varianti: da quella basica VM-90T a quelle tipo ambulanza e antincendio. Nel 1993 ne furono prodotti 200 in versione blindata VM-90P (detti familiarmente “scarrafone” per la non eccessiva eleganza), con cui far fronte con urgenza alle prime missioni in Somalia e Mozambico. Impiegati con successo anche dai Carabinieri in Bosnia e Kosovo, dove le piccole mine affrontate si limitarono a provocare qualche danno senza vittime, trasferiti in teatri più complessi come Afghanistan e Iraq si dimostrarono assolutamente inadeguati, con gravi perdite di mezzi e uomini, e laddove anche le più pesanti “Puma” non reggevano il confronto.
La soluzione sarebbe arrivata da una nuova generazione di veicoli ruotati protetti, accuratamente progettati sulla base dell’esperienza.

Eccellenze e numeri in crescita

Il Lince 2 erede del 4x4 in servizio dal 2005 esportato in tutto il mondo.

Il Lince 2 erede del 4×4 in servizio dal 2005 esportato in tutto il mondo.

Sin dal 1999 l’Esercito aveva infatti iniziato a ragionare sulle lezioni emerse nelle missioni “fuori area” svolte dalla Somalia alla Bosnia, al Kosovo, dove seppur in maniera marginale rispetto a quanto sarebbe accaduto in Iraq e Afghanistan nei 2 decenni successivi le truppe italiane avevano dovuto affrontare la minaccia presentata dall’impiego, a volte combinato, di mine, IED, e razzi anticarro. Scenari in cui i VM-90P e le vecchie Fiat 4×4 e 6×6 avevano già messo in mostra i propri limiti, che poi sarebbero emersi anche per le pur fiammati “Puma”. Si iniziò quindi a lavorare sul progetto di un veicolo tattico leggero che combinasse una buona mobilità anche in aree urbanizzate e ovviamente fuoristrada, con una formula 4×4, e una adeguata protezione contro le nuove minacce. Il progetto nacque con una collaborazione “passo per passo” tra industria e militari, e cercando nei limiti del possibile di adeguare lo sviluppo del mezzo con le lezioni che nel frattempo venivano apprese con gli interventi in Afghanistan e Iraq, partiti tra 2002 e 2003. Dopo i primi 10 prototipi costruiti nel 2001-2002, un primo gruppo di 50 esemplari di preserie di VTLM fu realizzato e impiegato sul campo sin dal 2004-2005; e una volta introdotte le modifiche suggerite dall’esperienza, nel 2006 è iniziata la produzione di serie del ribattezzato “Lince”. Nelle prime versioni permanevano alcune criticità, per lo più meccaniche e di stabilità del mezzo in manovre complesse: ma sul livello di sicurezza garantito dalla protezione adottata, dalle caratteristiche specificamente pensate per “assorbire” l’esplosione di IED e mine garantendo in primis la salvezza del personale a bordo del mezzo, nacque già nei primi anni di impiego “combat” la fama del 4×4, ufficiosamente ribattezzato “San Lince”. Quasi un ex voto per le decine di militari usciti solo feriti, e spesso incolumi, da attacchi subiti mentre si muovevano sul 4×4 di Iveco, spesso chiesto in prestito da militari di altri contingenti. D’altra parte, sin dall’inizio il veicolo, conosciuto anche come Iveco-LMV (Light Multirole Vehicle) ha conosciuto un enorme successo internazionale, esportato o realizzato su licenza in migliaia di esemplari per una ventina di paesi, compresi Regno Unito, Spagna, Russia, e più di recente Ucraina e Brasile, dove dopo il primo lotto di 48 esemplari si è parlato di avviare una produzione locale per un massimo di 1.464 unità. Il veicolo è stato realizzato ovviamente in più varianti, anche demilitarizzate o non blindate, e soprattutto man mano aggiornate per aumentarne la protezione sulla base di ulteriori esperienze, ed eliminarne le criticità, introducendo caratteristiche stealth e garantendone aviotrasportabilità e capacità anfibie. Con l’affinarsi del progetto, sin dal 2013 è stata avviato lo studio di una nuova versione, non solo comprendente tutte le innovazioni via via introdotte (soprattutto col “Lince-1A1” nel 2010, con torretta remotizzata HITROLE Light, e maggiore capacità di carico), ma anche un peso incrementato di una tonnellata, e una più sofisticata e potente motorizzazione. Presentato nel 2016, realizzato dal 2017 in un lotto di 34 esemplari di preserie, il “Lince VTLM-2” ha sostituito nel 2021 il “Lince-1” nella linea di produzione di serie. Le Forze Armate guardano alla realizzazione di circa 2.000 esemplari, con cui affiancare e in parte sostituire la versione precedente entro il 2034: a fine 2022 è stato avviato il procedimento per acquisire nel 2023-2026 un primo lotto di 671 “Lince-2” in 5 varianti, compresa quella NBC, per quasi un miliardo di euro.
Il processo progettuale seguito per il “Lince” è stato adottato anche per altri programmi, come per una sua più radicale evoluzione: il VTMM (Veicolo Tattico Medio Multiruolo) “Orso”, sviluppato da Iveco DV con la tedesca Krauss-Maffei Wegmann, in configurazione 4×4 e 6×6, con peso tra le 18 e le 23 tonnellate. A parte pochi esemplari acquisiti da Germania e Libano, l’Esercito italiano ne ha già in servizio 56 per impieghi logistici e specializzati (compresi 16 in versione ambulanza, impiegati in Iraq e Afganistan), mentre nel 2022 è stato avviato il programma per acquisire la versione VTMM-2 sia in configurazione 4×4 (150 esemplari) sia 6×6 (197 unità). Derivato parte dal “Lince-2” e in parte dal VTMM, è infine l’Iveco MTV “Manticore”, ordinato nel 2019 dall’Olanda, che ne coprodurrà sino a un massimo di 1.275 esemplari, in varie versioni per Forze Armate e di sicurezza.
Infine, anche il potenziamento della componente blindata pesante seguì questa più stringente collaborazione tra industria e militari, con una fase di sperimentazione già sul campo. In questo caso si partiva dalla base progettuale della B1 “Centauro”, poiché sin dal 1995 si era pensato di ricavarne un veicolo da combattimento per la fanteria, col prototipo sviluppato tra 1998 e 2002: in tempo per modificarlo sulla base delle lezioni ricavate dalle impegnative missioni afghana e irachena, per fronteggiare le quali nel 2008 furono anche acquistati dagli Stati Uniti 13 blindati anti-mina 6×6 “Cougar” e “Buffalo” (cui nel 2022 se ne sono aggiunti altri 9 in versione più avanzata). Proprio nel 2008 fu avviata la produzione dei primi 14 VBM-Iveco “Freccia”, un IFV (Infantry Fighting Vehicle) 8×8 da 27 tonnellate, ben protetto e armato con torretta remotizzata HITFIST-25 Plus, con cannone da 25 mm affiancato da mitragliatrice da 7,62 mm, e sensoristica avanzata, oltre alla possibilità di impiegare a seconda della configurazione da 2 a 4 sofisticati missili anticarro “Spike-LR” dell’israeliana Rafael, per la blindo cacciacarri. La versione portamortai invece al posto della torretta integrata è dotata di un mortaio da 120 mm rigato TDA 2R2M della francese Thales, con caricamento automatizzato. Il primo lotto di serie equipaggiò uno squadrone immediatamente schierato in Afghanistan nel 2009-2010, dove dimostrò valide doti operative, ma permettendo anche di elaborare delle modifiche migliorative introdotte nei lotti successivi, sino al completamento della consegna, nel 2017, di tutti e 249 i “Freccia” detti “prima brigata”, e comprendenti, oltre a 190 blindati in versione IFV/Combat, 36 cacciacarri e 21 semoventi portamortaio, 2 carri posto-comando. Nel frattempo venivano sviluppate ulteriori varianti adottate dall’Esercito (ambulanza e veicoli di recupero e supporto, questi ultimi venduti in 4 esemplari alla Spagna e allo studio anche in configurazione a 10 ruote), e avviata la produzione di un secondo lotto di 261 “Freccia” migliorati, anche in configurazione EVO con cannone da 30 mm, sempre destinati ai reggimenti di fanteria e in consegna dal 2018, cui si aggiungono 120 “Freccia” esploranti per i reparti di cavalleria, in 2 varianti equipaggiate con missili “Spike”, mini-UAV e droni di superficie, e radar di sorveglianza a lungo raggio. Altre varianti speciali sono rimaste sulla carta: come il “Draco” armato con cannone antiaerei da 76/62 mm, e il semovente da 155/52 mm.
Grande successo hanno invece ottenuto anche nel settore export altri 2 veicoli derivati dal “Freccia”. Innanzitutto, la sua versione anfibia, allo studio sin dal 2006, con caratteristiche in effetti molto diverse data la peculiare funzione che doveva svolgere. Il progetto ha poi preso due strade: una versione sviluppata assieme a BAE Systems nel 2016 è stata selezionata per la gara lanciata dallo US Marine Corps per sostituire i mezzi cingolati anfibi AAVP-7; e dopo aver testato 16 prototipi, 2 anni dopo si è aggiudicata il contratto per l’Amphibious Combat Vehicle (ACV), destinato a essere realizzato in almeno 230 esemplari, con la possibilità di arrivare a oltre 700, in più lotti e varianti. L’ACV interessa molti paesi NATO o alleati degli Stati Uniti che ora impiegano i datati AAVP-7, frutto della riconversione avviata negli anni ‘90 di carri anfibi in produzione dal 1972. Ma si giocherà le sue carte anche la variante dell’8×8 anfibio realizzata da Iveco per Esercito e Marina italiani, che dal 2022 hanno iniziato a ordinare a lotti il VBA (Veicolo Blindato Anfibio), con 72 mezzi destinati al Reggimento “Lagunari” e 36 alla Brigata anfibia “San Marco”, e altri 36 in opzione [8].
Infine, quasi a chiudere il cerchio dello sviluppo dei blindati ruotati pesanti iniziato oltre 30 anni fa col B1 “Centauro”, sulla base del “Freccia”, a sua volta derivato dalla cacciacarri degli anni ’90, è stato sviluppato il “Centauro-2”. Un mezzo ancora più potente del precedente, con protezioni attive e passive migliorate, peso di 30 tonnellate, velocità superiore ai 110 kmh su strada, e una torretta armata con un cannone da 120/45 mm, integrata con HITROLE e sofisticata sensoristica. In produzione dal 2018, ne sono previsti 150, con consegne dal 2021 al 2027. Nel novembre 2022 anche il Brasile ne ha ordinati 98 esemplari, da realizzare su licenza, con la possibilità di arrivare a 221, e altri paesi stanno valutando con interesse questo potentissimo mezzo.
Iveco infine dagli anni ’90 ha potenziato anche l’offerta di veicoli logistici, con cabina e aree vitali blindate, basati sulle famiglie “Trekker” e “Astra”; e anche in questo caso con ottimi risultati nell’export, e migliaia di esemplari venduti anche agli eserciti di paesi con industrie leader nel settore autocarri, come Germania, Francia e Svizzera: ma anche Romania, Spagna, Brasile, Polonia.

Note

[1] Da quando l’articolo sui tank è uscito, nell’ottobre 2022, per quanto riguarda il carro Ariete C1 nell’agosto 2023 è stato siglato un contratto da 850 milioni di euro, per ammodernare entro il 2029, allo standard C2, 90 carri, più altri 35 in opzione, mentre è stato avviato un più limitato programma di aggiornamento per 135 VCC Dardo e 159 M-113. Le lezioni del conflitto ucraino e l’avvio di una nuova “guerra fredda” in Europa hanno poi portato il ministero della Difesa ad avviare l’acquisizione di 271 carri Leopard-2A8 di ultima generazione, mentre nel 2025 sarà selezionato un nuovo cingolato pesante per la fanteria (Programma AICS-Armored Infantry Combat System), che comprenderà anche un carro da ricognizione armato con cannone da 120 mm: programma quest’ultimo che potrebbe rilanciare le capacità nazionali nel settore dei cingolati corazzati.

[2] Al Corpo Italiano di Liberazione furono assegnate poche decine di modeste Standard “Beaverette”, “Otter”, Ford “Indian Pattern Mk-2”, nel dopoguerra adibite a compiti addestrativi.

[3] Sui numeri esatti ci sono alcune discordanze tra le fonti.

[4] La Spagna ha acquisito 84 “Centauro-1”, in parte realizzate su licenza tra 2000 e 2007, seguite da 4 in versione logistica derivate dal “Freccia”. L’Oman ne ha ordinate 9, costruite nel 2009-2011 e armate col nuovo cannone da 120/45 mm.

[5] Almeno per operazioni anche belliche ma a bassa e media intensità.

[6] Veicolo Blindato Leggero.

[7] La 4×4 trasporta 4 uomini e pesa 7 tonnellate, la 6×6 porta 7 elementi e pesa 8,2 t.

[8] Non va dimenticato che l’esperienza progettuale accumulata con “Lince” e “Freccia” (soprattutto anfibio) ha portato allo sviluppo del 6×6 italo-brasiliano VBTP-MR “Guarani”, ordinato nel 2009 in ben 2.044 esemplari, e prodotto nel sito Iveco di Sete Lagoas. In consegna dal 2012, il Brasile ha ridotto a 1.580 gli esemplari richiesti, che però stanno ottenendo i primi successi di export, con 50 6×6 venduti a Filippine, Ghana e Libano, mentre Argentina e Ucraina ne hanno richiesti rispettivamente 156 e 450. Anche la ditta Tekne di Ortona realizza blindati leggeri 4×4, soprattutto per l’impiego da parte di forze di sicurezza: un lotto di 11 MLS “Shield” è stato venduto a Kiev.