L’INGEGNER TAYLOR, INVENTORE DELL’UOMO MACCHINA

di Giorgio Scudeletti –

Cento anni fa moriva lo “scienziato del lavoro”, colui che introdusse nelle industrie statunitensi il metodo produttivo basato sulla funzionalizzazione degli operai.

(Da Storia in Network n. 115, maggio 2006) “Mettere il cervello dell’operaio sotto il cappello dell’ingegnere” fu uno dei motti con i quali Frederick Winslow Taylor (1856-1915), nel periodo a cavallo tra fine Ottocento e primo Novecento, sintetizzò l’obiettivo che orientò la sua proposta per la ristrutturazione del lavoro di fabbrica universalmente identificata dall’espressione “organizzazione scientifica del lavoro”. Con il motto citato Taylor si riferiva alla sostanza di questa “organizzazione scientifica”, che consisteva nello spostamento del controllo sul lavoro di fabbrica dall’esperienza delle maestranze alle strategie dei manager.
La riforma del lavoro che poi assunse il nome del suo creatore, “taylorismo”, si collocò nel periodo della seconda rivoluzione industriale, cruciale perché l’industria moderna nasce nella seconda metà dell’Ottocento, epoca delle tecnologie e delle innovazioni applicate su larga scala nell’impresa, un periodo storico che trovò in Germania e negli Stati Uniti la propria culla. In questi due paesi una serie di modernizzazioni anche organizzative vide emergere e affermarsi con forza le figure degli ingegneri grazie allo stretto legame che si venne a creare tra mondo della formazione ad alto livello, cioè università scientifiche e tecniche, e mondo del lavoro.
L’ambiente sociale ed economico del quale Taylor faceva parte costituiva un background di importanza non indifferente, visto che questo ingegnere con lo spirito dell’innovatore proveniva da una famiglia quacchera dell’alta borghesia di Philadelphia, la città illuminista di Benjamin Franklin, che nella seconda metà dell’Ottocento era il primo centro statunitense per importanza industriale e da sempre, nella pur giovane storia americana, un punto di riferimento per le idee e per l’innovazione, politica, culturale e scientifica.

I genitori di Taylor, entrambi membri di importanti e ricche famiglie cittadine, erano sostanzialmente dei rentiers progressisti costantemente impegnati in attività filantropiche, specialmente la madre che fu sempre in prima linea nelle battaglie per il voto alle donne e contro la segregazione razziale. Il periodo storico, l’ambiente sociale in grado di fornire numerosi contatti per la costruzione di un network di contatti e conoscenze professionali decisive, l’apertura mentale dei Taylor, sempre disposti a assecondare le attitudini dei figli per quanto lontane fossero dalle loro, erano tutti punti di partenza importanti che potevano diventare decisivi per un giovane deciso e intraprendente.
Con un certo dispiacere per i genitori Frederick, nato il 20 marzo 1856 e secondo di tre figli, non ebbe molte velleità e interessi liberal, anzi il suo biografo Daniel Nelson sottolinea che giunto ad età matura egli fu attivo protagonista soltanto nelle organizzazioni professionali e tecniche, in cui si distinse come entusiasta partecipante o promotore, e inoltre mostrò di condividere i pregiudizi e i luoghi comuni razziali diffusi tra i suoi contemporanei.
Non sempre studente modello, il giovane Taylor faticò a trovare la propria strada verso l’affermazione professionale, ma poi al college scoprì in sé una vocazione innata verso le invenzioni e le innovazioni, mostrando una curiosità inesausta e un’ambizione travolgente che ne sorressero costantemente l’opera di manager soprattutto nel settore dell’industria metallurgica, trainante per l’intera economia statunitense della seconda metà dell’Ottocento. La sua attitudine all’innovazione e allo studio attento di ogni attività che suscitasse il suo interesse lo portò a lasciare tracce di sé anche in settori che possono apparire insospettabili come il tennis, in cui Taylor fu soprattutto negli anni giovanili un notevole atleta e per cui inventò, verso la fine dell’Ottocento, una particolare rete che venne commercializzata, e una racchetta a cucchiaio.

Frederick Winslow Taylor (1856-1915)

Frederick Winslow Taylor (1856-1915)

Questo senza contare l’imbracatura che realizzò in modo da risvegliarlo quando dormiva di schiena, essendo arrivato alla conclusione che l’insonnia e gli incubi di cui era frequentemente vittima fossero provocati proprio dalla postura che assumeva durante la notte. Questi particolari apparentemente curiosi e singolari della sua biografia ci mostrano l’innata volontà di Taylor di capire e tentare di migliorare la realtà. Non sorprende dunque, viste queste premesse che secondo la classica storia americana da self made man il futuro innovatore, ancora studente universitario, sfruttasse le conoscenze famigliari per ottenere il primo impiego con una mansione piuttosto modesta da apprendista di macchina e costruttore di modelli presso una azienda di medio livello di Philadelphia.
Con i dirigenti della quale pattuì di ricevere un salario basso in cambio della possibilità di passare con una certa periodicità da un reparto produttivo all’altro, così da apprendere in questo modo le conoscenze più ampie possibili sull’organizzazione industriale e lavorativa. Dopo l’apprendistato, il giovane Taylor, ancora studente di ingegneria, trovò impiego presso un’importante impresa siderurgica sempre di Philadelphia, la Midvale che inizialmente produceva rotaie, ma che in seguito divenne fornitrice di armi per il Ministero della Difesa statunitense. Alla Midvale Taylor fu assunto come vicecaporeparto, cioè il dirigente concretamente addetto alla realizzazione pratica delle strategie produttive.

Questa esperienza risultò decisiva per il futuro progetto di organizzazione scientifica del lavoro, in quanto Taylor programmò e in buona parte realizzò un aumento dei ritmi di lavoro e di produttività, ma senza ottenere del tutto i risultati che si aspettava perché i lavoratori, naturalmente più esperti di lui nelle tecniche e nelle modalità produttive, attuarono grazie alla propria conoscenza del lavoro un ostruzionismo strisciante rispetto agli obiettivi che il giovane vicecaporeparto perseguiva, rallentando ad arte i ritmi di lavoro e lavorando al di sotto delle loro potenzialità. Taylor ricordò di avere constatato che gli scontri più duri con gli operai furono causati non tanto dall’aumento della produzione dovuto all’intensificazione dei ritmi di lavoro, quanto dal sistema di multe che dovevano punire le inadempienze rispetto alle mansioni capillarmente studiate da lui e che altrettanto rigidamente i lavoratori dovevano applicare.
Il primo incarico dirigenziale ebbe un’importanza soprattutto metodologica per il quasi-ingegnere, che si rese conto di come l’innovazione scientifica all’interno delle imprese per il momento riguardasse soprattutto le materie prime e le tecniche produttive (macchinari, modelli), mentre l’altro elemento decisivo, ovvero la gestione del lavoro, continuava a rimanere affidato alla programmazione dei singoli capi-reparto, così come la pratica dei processi produttivi era sostanzialmente sotto il controllo degli operai. Sulla base di queste constatazioni Taylor arrivò dunque alla conclusione che anche il lavoro, oltre ai materiali e ai macchinari, dovesse essere sottoposto alle prospettive scientifiche degli ingegneri, che dovevano assumerne il controllo, razionalizzandolo capillarmente alla fonte, in sede di programmazione, dopo averne accuratamente stabilito tempi e processi grazie ad una minuziosa osservazione dell’attività lavorativa.

Una volta conseguita la laurea, Taylor proseguì speditamente nella sua carriera all’interno della Midvale, aggiungendo ulteriori conoscenze al suo bagaglio lavorativo. In particolare prima come sovrintendente del reparto macchine, poi come ingegnere capo incaricato di migliorare il rendimento dei macchinari dell’impianto approfondì le proprie esperienze e osservazioni rispetto alle macchine utensili e al taglio dei metalli. Comprese grazie a questi incarichi che una riorganizzazione produttiva adeguata avrebbe dovuto combinare un migliore rendimento degli operai, da ottenere con una radicale ristrutturazione delle modalità di controllo e gestione della produzione, e importanti innovazioni impiantistiche e meccaniche che integrandosi reciprocamente avrebbero permesso di produrre di più, meglio e in tempi minori, così da elevare il tasso di competitività dell’azienda.
In questo senso è evidente che Taylor si concepiva e operava come un innovatore, secondo il significato che al termine “innovazione” diede l’economista e storico dell’economia Joseph Schumpeter per il quale l’innovazione consiste nella riconfigurazione degli elementi esistenti in un determinato settore economico o in una determinata situazione, elementi che vengono strategicamente ridisegnati in modo da costituire un insieme non semplicemente rinnovato, ma sostanzialmente nuovo, capace di far evolvere il settore stesso o la singola realtà economica verso mete sempre più progredite. Taylor si rapportò infatti alle imprese che lo chiamarono a collaborare trattando il loro sistema produttivo, intendendo con questa espressione uomini, utensili e macchinari, come una massa grezza da plasmare e a cui dare una forma moderna e “scientificamente” studiata con l’obiettivo primario di migliorarne efficienza e produttività.

L’idea-guida che il giovane dirigente della Midvale volle realizzare con determinazione nella prima metà degli anni Ottanta fu lo spostamento del “cervello” della fabbrica dai singoli reparti a un ufficio centrale che, dopo aver analizzato attentamente la situazione produttiva e avere studiato le strategie di intervento più opportune, impartisse ai reparti le mansioni progettate “scientificamente”. I primi interventi concreti ideati da Taylor consistettero nell’introduzione all’interno delle attività di reparto di strumenti per la supervisione e l’indirizzo che nei decenni a venire sarebbero diventati una prassi consolidata nella maggior parte delle imprese maggiori, si trattava della bacheca e dei fogli di istruzioni, strumenti attraverso i quali Taylor realizzò la formalizzazione scritta delle mansioni produttive e grazie ai quali spostò la programmazione del lavoro e il controllo sui metodi produttivi dai capireparto ai manager dell’impianto, ovvero in primo luogo a lui stesso come ingegnere-capo.
Ma gli interventi del giovane riformatore non si limitarono alla burocrazia interna, in quanto coinvolsero anche gli utensili, con una attenta riorganizzazione della stanza che conteneva gli attrezzi in modo che vi fosse una sua completa funzionalità, e con un’opera di attenta e capillare standardizzazione in modo da ottimizzarne il loro rendimento. Questo settore vide Taylor in prima fila anche come vero e proprio inventore che poteva sfruttare alcuni studi che stava compiendo personalmente sul modo di rendere più rapido e preciso il taglio dei metalli. La riorganizzazione inevitabilmente si potrebbe dire, non si svolse tra la passività o l’accettazione acritica degli operai . Si sa da ricostruzioni successive che i primi duri contrasti cominciarono quando l’ingegnere – capo impose l’utilizzo di una scheda che gli addetti alle macchine dovevano compilare per ogni intervento di manutenzione sulle cinghie, così che il dirigente potesse verificare se le procedure da lui elaborate per la manutenzione stessa fossero state rispettate: per ogni operaio che non avesse adempiuto alla compilazione era prevista una multa, e questo creò notevoli tensioni tra gli addetti del reparto macchine.

Una catena di montaggio della Ford

Una catena di montaggio della Ford

Gli operai cominciarono a comprendere da questi interventi e da queste imposizioni sempre più massicce che il giovane manager stava operando per tenere strettamente sotto controllo il loro lavoro, sottraendo l’attività produttiva alla loro discrezionalità professionale. Nonostante queste innovazioni funzionali avessero già cominciato a cambiare il modo di lavorare per alcuni settori della Midvale, furono gli sviluppi successivi a costituire il cuore della riforma elaborata dall’innovatore statunitense, in particolare lo studio cronometrico dei tempi di lavoro e il cosiddetto “cottimo differenziale”, destinati a diventare gli elementi più noti e propagandisticamente significativi dell’intera riforma organizzativa di Taylor, che inizialmente concentrò i propri sforzi relativi ai ritmi e alle modalità produttive su una parte del lavoro nel reparto macchine.
Di solito, il caporeparto misurava i tempi di lavoro con un orologio tradizionale e li definiva a grandi linee in base alle operazioni da compiere lasciate all’effettiva gestione degli operai specializzati, e in questo modo le effettive potenzialità produttive dei lavoratori e del macchinario erano sfruttate solo parzialmente. Taylor impose invece preliminarmente uno studio effettuato con un cronometro dei tempi necessari a ciascun operaio per il compimento della propria mansione. Inoltre sottopose ad un attento esame, con la collaborazione di un impiegato addetto a questo compito, le fasi di queste mansioni che furono cronometrate separatamente. I dati cronometrici venivano poi combinati in modo da definire i tempi di ogni operazione complessa e la giornata di lavoro veniva divisa per questi dati da Taylor e dagli addetti al cronometraggio in modo da stabilire il ritmo produttivo ideale, evidentemente il più intenso possibile, quello che impedisse ogni inutile (per la produzione) perdita di tempo e permettesse di realizzare la più grande quantità di lavoro in tempi “scientificamente” contingentati.

I tempi determinavano anche i confini del “cottimo differenziale” che l’ufficio centrale imponeva agli operai del settore interessato: i lavoratori che completavano il proprio lavoro nel tempo stabilito dall’ufficio centrale avrebbero ottenuto una paga più elevata, grazie alla corresponsione della tariffa premio. Gli operai che invece non raggiungevano il ritmo di produzione previsto subivano una tariffa di penalizzazione, cioè un compenso sensibilmente più basso dei loro colleghi “virtuosi”. Per esemplificare possiamo fare questo esempio: prima della riorganizzazione di Taylor, un operaio del reparto macchine produceva circa cinque pezzi al giorno per un compenso di cinquanta centesimi al pezzo, quindi 2,50 dollari giornalieri. Taylor, dopo aver studiato attentamente la produzione, si convinse sulla base dei dati numerici in suo possesso che all’operaio fosse possibile produrre dieci pezzi al giorno eliminando radicalmente i tempi morti della produzione e compiendo operazioni “scientificamente” studiate e standardizzate nei movimenti.
Il compenso unitario per pezzo prodotto sarebbe diventato di trentacinque centesimi, ma se l’operaio avesse rispettato tempi e modi previsti dall’ufficio centrale avrebbe realizzato dieci pezzi, quindi il doppio rispetto a prima, ottenendo 3, 50 dollari al giorno, invece dei 2, 50 della paga precedente. Per chi produceva meno di dieci pezzi il compenso unitario sarebbe sceso a venticinque centesimi al giorno, ovvero al massimo l’operaio non “virtuoso” avrebbe ottenuto 2,25 dollari come salario complessivo, meno del compenso giornaliero pre – riorganizzazione. Come si può capire, da questo meccanismo che prevedeva due tariffe differenti, una premiante per i lavoratori che Taylor in seguito indicherà come “di prima categoria” e l’altra, penalizzante, per coloro che non si adeguavano all’accrescimento dei ritmi, deriva la denominazione di questo cottimo come “cottimo differenziale”.

Sembra che agli ulteriori e aspri contrasti sorti dopo questo aumento dei ritmi lavorativi Taylor rispondesse con un numero consistente di licenziamenti per i lavoratori che rifiutarono di lavorare secondo le modalità previste, anche se questo è un dato storico controverso per quanto plausibile. Dopo avere constatato i buoni risultati produttivi della sua riforma Taylor estese il cottimo differenziale all’intera Midvale entro il 1889, in un processo durato cinque anni che coinvolse soprattutto gli operai manovali, che per la loro scarsa competenza professionale avrebbero potuto essere sostituiti facilmente nel caso di resistenze all’azione pianificatoria dell’ufficio centrale o di incapacità nell’incrementare i ritmi di lavoro, a differenza dei lavoratori maggiormente professionalizzati ed esperti che lavoravano sulle macchine ed erano per questo più preziosi e non facilmente rimpiazzabili: su di essi l’azione di riorganizzazione doveva assumere modalità meno radicalmente impositive.
Rispetto agli operai generici Taylor stabilì, cronometro alla mano, in che cosa consistesse una giornata di lavoro per definirne capillarmente e “scientificamente” ogni particolare, così da realizzare anche per le loro mansioni un salto di qualità produttivo all’insegna del taglio dei tempi. L’estensione delle riforme all’intero impianto portò i medesimi risultati ottenuti nel settore macchine: la produzione aumentò notevolmente, la qualità era migliorata, la conflittualità e la resistenza operaia si erano, secondo Taylor, dissolte. Se su questo dato non si può dire niente di certo visto che abbiamo solo la testimonianza dell’ingegnere – capo della Midvale, è sicuro che le ricostruzioni storiche non registrano né scioperi, né episodi di resistenza nell’impresa di Taylor. Quest’ultimo riteneva con convinzione di avere risolto quelli che lui stesso definì “i problemi del lavoro”, in quanto partiva dal presupposto molto tecnocratico che una paga migliore come conseguenza di un rendimento migliore non solo fosse un incentivo fondamentale all’incremento della produzione, ma anche che eliminasse alla radice qualsiasi movente della conflittualità operaia, come spiegò compiutamente all’inizio del Novecento in Shop management, primo compiuto saggio sull’organizzazione scientifica del lavoro, in cui cercò di mostrare come i vantaggi del suo sistema di gestione sarebbero stati in primo luogo sociali.

In sostanza per Taylor le questioni inerenti l’impresa erano un problema di ingegneria e management, per cui la sostanza umana del rapporto lavorativo era un aspetto che si sarebbe affrontato e risolto positivamente attraverso l’organizzazione. Di conseguenza egli riteneva con sincera convinzione che attraverso la definitiva affermazione dell’organizzazione scientifica del lavoro i sindacati non avrebbero più avuto ruolo ne senso perché i motivi di rivendicazione, sempre e solo a sfondo economico, sarebbero stati superati. A questo punto merita almeno un cenno anche un questione che può apparire apparentemente terminologica, ma in realtà riguarda il clima culturale complessivo che segnò la seconda rivoluzione industriale, ovvero l’uso, che può sembrare un po’ forzato di termini come “scienza” e “scientifico”, che furono sempre presenti nella teorizzazione e nelle proposte di Taylor.
In un’epoca in cui la scienza e la tecnologia mostrarono in un lasso di tempo piuttosto breve, pochi decenni, di essere in grado di modificare e migliorare la vita e la qualità della vita attraverso un serie di invenzioni e innovazioni che ebbero probabilmente il proprio vertice nella produzione ed estensione dell’energia elettrica su ampia scala, era diffusa l’idea che l’uomo potesse finalmente controllare e guidare la realtà secondo i propri scopi e in vista del proprio benessere. Per farlo era necessario studiare il mondo nei suoi aspetti e nelle sue sfaccettature, individuare gli elementi essenziali e portanti che costituiscono ogni fenomeno dato e poi intervenire su di esso in modo da ristrutturarlo e indirizzarlo per il progresso complessivo della società e della realtà data.
L’atteggiamento di Taylor verso l’attività produttiva fu in questo senso chiaramente scientifico, in quanto si basò su uno studio attento di ogni sua componente, umana e meccanica, su una capillare e precisa determinazione del lavoro nei suoi elementi basilari, tra cui assunsero grande importanza i movimenti e i gesti dell’operaio impegnato nella propria opera e il tempo necessario a effettuarli, in modo da comprendere i caratteri della produzione non “riformata” e di intervenire su di essa con le migliorie necessarie a rendere la produttività sempre maggiore, in una sorta di operazione di smontaggio e rimontaggio dell’attività industriale e delle sue diverse mansioni.

Da qui il nome di “organizzazione scientifica del lavoro” o “scientific management” in cui la precisione delle strategie e la loro corretta e attenta applicazione avrebbe portato a un decisivo salto di quantità e qualità dell’attività industriale.
L’ultimo decennio dell’Ottocento non fu però un periodo facile per l’ingegnere – innovatore di Philadelphia, che lasciò la Midvale nel 1889 perché in essa non vide molte prospettive di carriera ulteriore ed era in cerca di incarichi di maggiore soddisfazione professionale e economica. Sposatosi qualche anno prima con Louise, una ragazza dell’alta borghesia della sua città, Taylor ricoperse alcuni incarichi in diverse imprese, continuando soprattutto a mostrare la tenace volontà di apprendere da ogni esperienza lavorativa in primo luogo tutto ciò che gli sarebbe servito per modificare e far evolvere le concrete situazioni produttive in cui era chiamato a intervenire.
Non è indifferente che dopo gli anni trascorsi presso un’impresa tecnologicamente avanzata come la Midvale, Taylor trovasse impiego come manager presso un’impresa meno evoluta, che produceva pasta di legno, in quanto questo nuovo incarico gli permise di sperimentare come l’arma decisiva per affermare la propria capacità di organizzatore del lavoro potesse essere il cottimo differenziale, che era possibile applicare ad imprese anche non metallurgiche con risultati in grado di soddisfare i proprietari, che constatavano un aumento della produzione, e anche i lavoratori, che a riscontro di ritmi di lavoro più sostenuti potevano ottenere salari più alti. I buoni, anche se non eccezionali, risultati ottenuti nel nuovo incarico, in cui riuscì a tagliare i tempi e ad aumentare la produzione con un’applicazione non totale del sistema precedentemente sperimentato nell’impresa metallurgica, persuasero Taylor di avere elaborato una strategia produttiva che poteva costituire a sua volta un prodotto vendibile al miglior offerente, ovvero al datore di lavoro in grado di soddisfare le sue richieste professionali, nonché flessibile, in quanto il cottimo differenziale poteva essere realizzato anche solo con lo studio dei tempi e dei movimenti, tralasciando di combinarsi con migliorie tecniche.

Quando si dimise dall’impresa legnaria, Taylor era in grado di commercializzare la sua strategia, che nel frattempo aveva arricchito con ulteriori miglioramenti di tipo contabile “presi in prestito”, per così dire, da un manager esperto di contabilità che presiedette l’azienda nell’ultimo anno di permanenza dell’ingegnere di Philadelphia: si trattava di una complessa serie di controlli finanziari e sui costi, ma anche di misure finalizzate a prevenire imbrogli da parte degli impiegati e a assicurare la rapidità delle operazioni. Ormai Taylor era pronto non solo a vendere il suo prodotto strategico, ma anche a illustrarne la filosofia di base che aveva come obiettivo il cambiamento del lavoro industriale.
Nel 1895 lesse a un congresso dell’Associazione degli Ingegneri Meccanici una memoria intitolata A piece rate system, che divenne la prima illustrazione del taylorismo: non a caso nell’introduzione a questa opera Taylor insistette sull’elemento che secondo lui indeboliva la fabbrica, cioè che il cervello della produzione stesse nelle decisioni di sovrintendenti e caporeparto, incapaci di ottenere una resa massima da macchine e uomini, anziché nelle strategie elaborate da parte dei manager e fatte realizzare capillarmente e attentamente a coloro che nella scala gerarchica dell’impresa dovevano essere deputati per ruolo non a pensare e a progettare, quanto a dar corso alla produzione secondo quanto il “cervello” degli ingegneri aveva elaborato e stabilito. Ma l’aspetto che suscitò maggiore interesse in questa relazione fu soprattutto il solito “cottimo differenziale”, che Taylor spiegò nel suo nucleo essenziale ovvero lo studio delle mansioni e dei tempi, la definizione precisa delle tariffe e soprattutto un salario a incentivi per così dire trasparente, cioè tale che i lavoratori constatassero immediatamente come ai maggiori sforzi richiesti corrispondessero direttamente guadagni più elevati, e la cui conseguenza sarebbe stata il superamento dei problemi del lavoro.

Subito l’ingegnere-innovatore dovette constatare grossi interessi nella platea dei colleghi e degli osservatori e la clientela del nuovo prodotto divenne tanto consistente che Taylor confessò in seguito di non avere mai guadagnato tanto come in quell’anno. Ma come ogni innovatore Taylor non rimase fermo, anzi cominciò a studiare miglioramenti relativi allo studio dei tempi, avviando in sostanza un lavoro che diede vita a un team di collaboratori. In particolare incaricò Thompson, un ex collega dell’azienda legnaria, di studiare da che cosa fosse costituita una giornata di lavoro per i lavoratori non specializzati come gli operai edili. Il procedimento adottato da Thompson fu quello “scientifico” che già era stato sperimentato da Taylor presso la Midvale, cioè osservare i lavoratori all’opera, capire in che cosa consistessero le loro mansioni, dividere queste ultime nei loro elementi di base, cioè i movimenti essenziali, e cronometrarli registrando i dati nel famoso watch-book (“crono-libro”), che era in sostanza un orologio camuffato in un libro.
Per fare tutto ciò Thompson girò per un anno attraverso molti cantieri della regione intorno a Philadelphia e, dopo avere ottenuto da alcuni imprenditori il permesso di osservare i lavoratori all’opera, per effettuare i suoi rilievi dovette diventare una specie di “agente segreto” di Taylor, svolgendo le sue operazioni di nascosto dagli operai diffidenti, oppure fingendosi giornalista di una rivista per ingegneri. Quando questi espedienti non funzionarono fu costretto a spiegare ai lavoratori cosa stesse facendo, ma cercò sempre di rimanere sul vago. Al termine della sua opera il collaboratore di Taylor aveva gettato le basi per futuri studi sui tempi destinati a strutturare lo scientific management, ma aveva anche fatto un’osservazione significativa, notando che le maggiori difficoltà nello stabilire con precisione una media dei tempi derivavano dal fatto che ogni lavoratore avesse comunque le proprie modalità di lavoro, che egli denominò “equazione personale”, un aspetto a quanto pare irriducibile a qualsiasi normalizzazione o tabella cioè la variabile umana della produzione.

La Bethlehem Company, dove Taylor applicò i suoi metodi

La Bethlehem Company, dove Taylor applicò i suoi metodi

Taylor non diede eccessiva importanza a questa annotazione, coerente con le sue convinzioni sugli uomini, che potevano essere “normalizzati” come qualsiasi altra componente del lavoro, e in linea con la prospettiva positivistica che pretendeva di spiegare razionalmente ogni comportamento umano riducendo la ragione a ragione “economica”, per cui ogni individuo cerca di fare quanto è per lui più conveniente, e questo sarebbe il modo di agire più utile, ma anche più razionale. Di conseguenza, l’individuo si sarebbe adeguato ai ritmi e all’organizzazione “scientifica” della produzione perché questo sarebbe stato per lui più conveniente, quindi più razionale.
Il sistema scientifico elaborato, sperimentato e messo alla prova da Taylor trovò il suo definitivo coronamento e perfezionamento quando l’ingegnere di Philadelphia tra il 1897 e il 1901 lavorò alla Bethlehem Company, una delle imprese metallurgiche all’epoca più grandi degli Stati Uniti, il cui business era costituito dalla produzione di lamiere corazzate per la Marina americana, produzione per supervisionare la quale l’impresa aveva assunto due ex ingegneri della Midvale, uno dei quali, Davenport, fu decisivo per l’arrivo di Taylor.
Quest’ultimo giunse alla Bethlehem quando questa era in grosse difficoltà con il governo americano, che voleva abbassare il prezzo delle commesse per una questione di prezzi, dopo che si era scoperto che l’azienda aveva venduto le proprie lamiere al governo russo per un prezzo sensibilmente inferiore a quello praticato verso gli americani. Inoltre la concorrenza premeva, e Lindermann, maggiore azionista della Bethlehem, alle prese in primo luogo con la necessità di tagliare i costi mantenendo competitività consultò i suoi manager, che caldeggiarono l’assunzione di Taylor come riorganizzatore dell’impianto per l’ottimizzazione dei costi.

L’ingegnere-innovatore godeva di una buona fama dopo aver fatto conoscere A piece rate system e inizialmente il suo incarico si sarebbe dovuto limitare all’introduzione del cottimo differenziale nel reparto macchine. Ma egli non intendeva evidentemente limitarsi solo a questo bensì prendere nelle proprie mani l’intera organizzazione produttiva, uomini e macchine, per cambiare la struttura della fabbrica interamente, avendo compreso che quella era un’occasione forse irripetibile di applicazione totale ad una grande impresa delle sue idee e del suo metodo, ritoccato, ampliato e perfezionato negli ultimi dieci anni.
Agendo accortamente, Taylor non rivelò subito i suoi progetti ai proprietari della Bethlehem, anche perché aveva percepito una certa diffidenza iniziale, ma impiegò gli ultimi mesi del 1897 per conquistarsi la loro fiducia, mostrando solo a partire dal gennaio 1898 per tappe successive la necessità di intervenire non solo sul costo del lavoro, ma anche sugli altri elementi dell’organizzazione complessiva della fabbrica: si andava dalla sottrazione ai lavoratori e ai supervisori del controllo delle strategie produttive, allo studio attento delle macchine dell’impresa per determinarne precisamente potenzialità, tempi, energia e costi, alla descrizione precisa di tempi e modi del lavoro umano attraverso l’opera di monitoraggio di un assistente; inoltre Taylor fece presente come l’intero sistema di contabilità industriale andasse riesaminato e probabilmente rivisto, chiedendo un tempo stimabile per l’intera riorganizzazione tra i nove mesi e i due anni e, cosa da non trascurare, insistendo perché l’intera dirigenza remasse, per così dire, nella medesima direzione intrapresa.

Il 1898 vide Taylor alle prese con lo studio degli impianti produttivi, in modo da stabilire modelli di intervento simili per tutti i reparti, ma vi furono alcuni scontri con la dirigenza in carica, in quanto il nuovo manager insistette per depotenziare il ruolo del cosiddetto sovrintendente generale, che si occupava degli impianti in tutti gli aspetti, tecnici, produttivi e organizzativi, per cui Taylor volle e ottenne che l’amico Davenport diventasse sovrintendente specifico alla produzione; inoltre cominciò a introdurre i suoi metodi per tagliare i metalli e tenere in manutenzione le cinghie. Un momento significativo per capire come il cervello dell’operaio si stesse davvero trasferendo sotto il capello degli ingegneri avvenne all’inizio del 1899 quando il manager nominò due assistenti perché lavorassero al reparto macchine numero 2 con il compito specifico sia di migliorare la velocità dei macchinari, sia, grazie al suo insegnamento, di costruire, affilare e preparare gli utensili così da rendersi indipendenti dagli operai dell’officina di fucinatura.
Per tutto il 1899 procedette attraverso il team di Taylor l’insieme delle modifiche al reparto macchine 2, che divenne il settore – capofila delle riforme alla Betlehem: alcuni interventi erano già stati sperimentati alla Midvale, la stanza degli attrezzi, il magazzino che doveva dotarsi delle risorse necessarie e pronte all’utilizzo, i fogli con gli ordini, quelli per la determinazione dei tempi e con le precise istruzioni per ogni tipo di operazione. Il manager di Philadelphia fece assumere un buon numero di addetti alle operazioni di pianificazione, alla direzione degli addetti alle macchine e all’assistenza dei capireparto, cosicchè tutti all’interno del reparto macchine 2 avevano un compito preciso da svolgere puntualmente e che era verificato capillarmente nei tempi e nei modi.

Charlie Chaplin in Tempi moderni, 1936

Charlie Chaplin in Tempi moderni, 1936

Daniel Nelson afferma che, attraverso questa serie di interventi “nel 1901 (al termine del periodo di Taylor alla Bethlehem, ndr) il reparto macchine numero 2 era l’officina più moderna del mondo, e potenzialmente rappresentava un prototipo per gli imprenditori e gli ingegneri di altre industrie”. Il grande numero di “aiutanti” che Taylor richiese per curare le proprie riforme fu uno degli elementi di tensione che cominciarono a deteriorare i rapporti con Linderman, che temeva ulteriori investimenti troppo onerosi mentre non furono mai buone le relazioni con gli altri dirigenti della Bethlehem, che si sentivano in qualche modo soverchiati da Taylor, il quale, da parte sua, non risparmiava loro critiche esplicite perché avevano una concezione troppo tradizionale del ruolo manageriale.
Mancava a questo punto l’introduzione del cottimo differenziale per realizzare da parte di Taylor l’intera riforma organizzativa e per mostrare con adeguata evidenza la bontà dei suoi metodi, ma in un primo momento a causa delle tensioni con la proprietà e dello scarso entusiasmo verso le riforme manifestato dai lavoratori specializzati, egli rinunciò all’ applicazione del salario a incentivi presso il reparto macchine numero 2, e invece decise di concentrarsi sui lavoratori generici dell’impianto anche per motivi “propagandistici”: essendo questi ultimi i meno pagati e i meno efficienti tra i lavoratori della Bethlehem, era meno complesso un intervento sulle loro mansioni non specialistiche, e Taylor confidava di poter mostrare con relativa facilità e immediatezza l’efficacia delle sue strategie, migliorando sensibilmente il loro rendimento ridotto grazie all’incentivo economico determinato “scientificamente” e corrisposto agli operai che si fossero dimostrati capaci di aumentare ritmi e produttività del loro lavoro.

Con l’aiuto di due collaboratori, Gillespie e Wolle, studiò il lavoro dei manovali addetti al caricamento di ghisa con la pala sui vagoni ferroviari nel cortile della Bethlehem, concentrando le proprie osservazioni su un gruppo di dieci operai provenienti dall’Europa orientale. Dopo aver sperimentato e verificato il grado massimo di sforzo realizzabile nel caricamento della ghisa da parte dei dieci manovali, Taylor e i suoi collaboratori stabilirono, anche se in maniera in realtà piuttosto empirica, la tariffa massima per tonnellata grazie alla quale un manovale avrebbe potuto ottenere una paga giornaliera pari al salario medio di un lavoratore qualificato della Bethlehem: 3, 75 centesimi a tonnellata per un salario pari a 1, 68 dollari al giorno, ovvero l’operaio che avesse caricato in un giorno quarantacinque tonnellate di ghisa avrebbe raggiunto un salario giornaliero superiore di circa mezzo dollaro rispetto a quanto avrebbe ottenuto lavorando a pieno ritmo con i parametri di ritmo e compenso tradizionali.
Tradendo parzialmente il suo sistema, Taylor decise di non fissare la tariffa di penalizzazione per coloro che non avessero raggiunto l’incremento produttivo atteso, perché ritenne che lo sforzo fisico richiesto ai dieci operai per giungere a 1, 68 dollari giornalieri sarebbe stato tanto intenso che nessuno non solo avrebbe raggiunto quel salario, ma neppure avrebbe superato la massima tariffa giornaliera tradizionale: il suo era dunque un tentativo apparentemente ben studiato per premere sui lavoratori generici in modo che incrementassero la produttività e per mostrare come con il suo metodo questo fosse possibile.

Tuttavia improvvisamente si trovò di fronte all’imprevisto che Thompson gli aveva segnalato al termine dei suoi monitoraggi nei cantieri di Philadelhia, l’”equazione personale”, che si manifestò quando i dieci operai – campione nel giorno previsto per l’inizio dell’esperimento sul cottimo differenziale si rifiutarono di lavorare con il sistema del salario a premi, ritenendolo eccessivamente faticoso. La situazione sfuggì di mano ai collaboratori di Taylor, che non riuscendo a imporre ai dieci ex volontari, secondo quanto avevano liberamente accettato, di lavorare a cottimo decisero di licenziarli immediatamente. I dieci, mentre si allontanavano dal piazzale, incontrarono un collaboratore del sovrintendente generale dello stabilimento, deciso rivale dei metodi di Taylor, e gli spiegarono l’accaduto.
Questi , naturalmente, consultò il sovrintendente generale che revocò i licenziamenti dicendo di temere uno sciopero e permise ai dieci di riunirsi a lavorare con gli altri, con una chiara mossa propagandistica tesa a squalificare Taylor, che dal canto suo aveva trascurato la “variabile umana”. Ne conseguì che dopo un mese e mezzo di tensioni e tentativi infruttuosi di introduzione del cottimo differenziale studiato a tavolino, i collaboratori di Taylor dovettero cedere sui ritmi di lavoro imposti, e solo allora trovarono un numero consistente di operai disposti a lavorare come cottimisti. L’innovatore di Philadelphia e i suoi collaboratori trassero spunto da questa vicenda per cercare di comprendere e risolvere il problema dell’”equazione personale”, ma come al solito in termini onnicomprensivi, cioè vollero stabilire con precisione la media di quanta ghisa gli uomini fossero in grado di sollevare e quale fosse la loro resistenza fisica, cercando di conseguenza di determinare la quantità di riposo necessaria al fisico degli operai per svolgere al meglio una giornata di lavoro secondo i ritmi previsti.

I risultati ottenuti da queste ricerche, per quanto poi Taylor li presentasse entusiasticamente come scientifici, furono però puramente funzionali alla gestione di massima del cottimo e sostanzialmente empirici. Comunque, il caricamento della ghisa da quel momento venne gestito solo attraverso il cottimo, solo parzialmente “differenziale”, coloro che non accettavano questa forma di lavoro vennero licenziati, e in effetti la produttività aumentò sensibilmente.
Il risvolto “etico” di questo episodio consistette nella conferma ulteriore per Taylor di una convinzione che l’ingegnere di Philadelphia aveva da anni non solo rispetto agli operai, cioè il ridottissimo numero di lavoratori “di prima categoria”, ovvero produttivi al massimo livello possibile, ma anche agli uomini in generale.
Infatti, come osserva lo storico dell’industria Duccio Bigazzi, il cottimo differenziale, con premio elevato per chi raggiungeva lo standard e tariffa inferiore anche alla paga normale per chi rimaneva al di sotto di questa soglia, dietro un aspetto evidente di natura economica e produttivistica, si caratterizzava, come dimostra il suo meccanismo insieme punitivo e premiante, per la coerenza con la prospettiva morale del suo ideatore e con il suo pessimismo rispetto alle motivazioni che spingevano l’uomo a lavorare.
La distinzione tra lavoratori di “prima categoria” e gli altri, tutti coloro che indulgono all’”innata tendenza degli uomini a prendersela comoda”, come riteneva Taylor, andava al di là e al di sopra della fabbrica, era il segno di una visione del mondo. Dopo aver migliorato le attività di bassa manovalanza della Bethlehem, a Taylor rimase un ultimo compito da svolgere per realizzare interamente le sue strategie e naturalmente si trattava di intervenire nell’ormai famoso reparto macchine numero 2, dove un collaboratore di Taylor, Gantt, aveva constatato che gli uomini non lavoravano in modo efficiente, perdendo tempo a prescindere dall’efficienza di funzionamento dei macchinari.

Dovendo trattare con l’”aristocrazia operaia” della Bethlehem, Taylor e Gantt intervennero, per così dire, in modo meno impositivo di quanto fosse avvenuto con gli operai generici, e introdussero una forma del “cottimo differenziale” meno rigida di quella standard, che Gantt chiamò “salario a premi e incentivi”: gli operai avrebbero ottenuto un premio salariale se avessero svolto un compito secondo quanto previsto dall’ufficio di pianificazione, consistente in una quantità di produzione doppia o quadripla di quella abituale. La tariffa inferiore rispetto a quella premiante corrispondeva al salario abituale, quindi non a un salario inferiore, come nel “cottimo differenziale” di Taylor. Inoltre Gantt ebbe un atteggiamento di maggiore apertura verso gli operai, accettando anche “miglioramenti” del sistema che prevedeva l’esecuzione degli ordini di produzione redatti dall’ufficio pianificazione e consegnati all’operaio su un foglio con le spiegazioni di come eseguire le lavorazioni.
In pratica Gantt e Taylor accettarono che gli operai del reparto macchine numero 2 applicassero metodi diversi da quelli studiati a livello centrale purchè raggiungessero anche con questi i risultati preventivati. I risultati di questa transazione furono buoni, i ritmi e la produzione aumentarono notevolmente. Questo fu l’ultimo intervento di Taylor e dei suoi collaboratori alla Bethlehem, la cui situazione produttiva e di mercato era comunque migliorata anche grazie a loro, mentre l’opposizione interna all’innovatore di Philadelhia era sempre forte; per di più i rapporti tra la fabbrica e il governo statunitense si stavano rasserenando. Taylor, che aveva capito come la sua situazione stesse diventando sempre più precaria anche per gli evidenti dubbi di Linderman, pose un ultimatum al proprietario, chiedendo di porre termine a ogni ostacolo da parte della dirigenza o altrimenti se ne sarebbe andato e Linderman decise di risolvere il contratto con Taylor nel maggio 1901.

Catena di montaggio della Ford negli anni Dieci

Catena di montaggio della Ford negli anni Dieci

Al termine della sua esperienza come manager alla Bethlehem Taylor aveva ormai completato l’elaborazione del sistema strategico aziendale che stava studiando e applicando per successive tappe ed esperimenti da circa un quindicennio, un sistema che, come fu spiegato da lui stesso anni dopo nel fondamentale volume The principles of scientific management (1911), si componeva di quattro tappe: in primo luogo separare nettamente progettazione ed esecuzione del lavoro, in quanto il management deve occuparsi dell’organizzazione del lavoro e deve centralizzare nelle proprie mani la conoscenza; in secondo luogo usare metodi scientifici per individuare modelli, strumenti e tempi così da eseguire il lavoro più efficientemente, per cui la singola mansione dell’operaio deve essere progettata in modo che questi riceva precise indicazioni sul modo di eseguire il lavoro; scegliere con cura l’addetto a realizzare questa mansione, seguirne interamente la formazione e il modo di operare e non lasciare che si formi autonomamente; infine controllare che il lavoro dell’operaio sia svolto secondo quanto deciso dall’ufficio pianificazione e che i risultati siano congruenti con il progetto.
Come conseguenza di questa strategia, il cervello strategico dell’ingegnere sarebbe diventato quello della fabbrica, mentre l’operaio sarebbe diventato l’esecutore di progetti sui quali non avrebbe dovuto avere alcun controllo. Impegnato intensamente nella vendita del suo sistema e nella diffusione delle sue idee destinate a aumentare notevolmente l’importanza della figura dell’ingegnere-manager, Taylor, ormai propagandista di sé stesso, non operò più direttamente nel campo industriale e fino alla morte, avvenuta nel 1915, svolse invece un’importante attività di illustrazione e propaganda dei suoi metodi attraverso corsi universitari, conferenze, libri, fra i quali il più importante e diffuso, che sintetizzò le sue idee e le sue strategie, fu il già citato The principles of scientific management (tradotto in Italia, con grande ritardo, solo nel 1952).

Divenne presidente dell’ASME, l’importante associazione degli ingegneri meccanici statunitensi e approvò la fondazione della Società per la Promozione della Scienza Manageriale per impulso del suo “discepolo” più brillante, Franck D. Gilbreth (con cui ebbe un rapporto contrastato), ente che alla morte dell’innovatore di Philadelphia assunse il nome di Taylor Society, destinata a essere un punto di riferimento importantissimo a livello internazionale per l’organizzazione industriale durante il periodo tra le due guerre. Infine continuò a coordinare come superconsulente team di collaboratori che svolsero la propria opera secondo i suoi metodi in diverse imprese, e comunque lasciò un ‘impronta sul lungo periodo estremamente significativa, quasi imprescindibile, in tutta la scienza della gestione industriale di cui è ancor oggi un caposaldo indiscusso.

Per saperne di più

F. W. Taylor, L’organizzazione scientifica del lavoro – Etas Kompass, Milano 1967.
D. Nelson, Taylor e la rivoluzione manageriale – Einaudi, Torino 1988.
A. D. Chandler jr, La mano visibile. La rivoluzione manageriale nell’economia americana – Franco Angeli, Milano 1984.
R. Cameron, Storia economica del mondo – Il Mulino, Bologna 1993.
D. Bigazzi, “Modelli e pratiche organizzative nell’industrializzazione italiana”, in Storia d’Italia. Annali. L’industria. Imprenditori e imprese, coordinamento, di Ruggero Romano e Corrado Vivanti – Einaudi, Torino 1999.
A. Salsano, Ingegneri e politici. Dalla razionalizzazione alla “rivoluzione manageriale” – Einaudi, Torino 1987.
S. Musso, “Il cottimo come razionalizzazione. Mutamenti organizzativi, conflittualità e regolamentazione contrattuale del rapporto tra salario e rendimento nell’industria meccanica (1910-1940)”, in Torino tra liberalismo e fascismo, a cura di Umberto Levra e Nicola Tranfaglia – Franco Angeli, Milano 1987.