L’ESSERE SUPREMO E LA FELICITÀ DELL’UOMO

di Giancarlo Ferraris –

 

Con la Rivoluzione francese la scristianizzazione fece passi da gigante attraverso due fasi distinte, una “distruttiva” e una “costruttiva”. Da qui originò un nuovo culto che, secondo Robespierre, aveva quattro obiettivi: combattere l’ateismo, sostituire il cattolicesimo con una religione ispirata alla natura, recuperare a vantaggio della Rivoluzione la dimensione religiosa, consolidare attorno all’Essere Supremo l’unità rivoluzionaria.

 

La scristianizzazione della Francia

La Rivoluzione francese, com’è noto, pose fine all’ancien régime. A tramontare non furono però soltanto il potere assoluto del re e una società ancora feudale, ma, sia pure momentaneamente, anche la religione che dell’ancien régime era la base e il collante: il cattolicesimo. Sotto il vecchio regime, infatti, la Francia era una monarchia cattolica nella quale il sovrano, come il papa, era rappresentante di Dio. Chi nasceva francese era suddito del re e insieme fedele della Chiesa cattolica. Lo storico Adrien Dansette ci fa un quadro ben preciso di tutto ciò: «Il cattolicesimo è un sistema completo: spiega la natura di Dio e quella delle sue creature; dà un senso al destino con l’acquisto della felicità eterna in un altro mondo; accompagna dalla culla alla tomba, stabilendo i doveri verso Dio, verso i propri simili e verso sé stessi. Spetta alla Chiesa e ai governi garantire l’osservanza di questi doveri: la Chiesa provvede a quelli della vita spirituale, i governi provvedono a quelli della vita sociale. Agli occhi dello Stato, i grandi avvenimenti dell’esistenza hanno un carattere sacro, gli atti di battesimo, di matrimonio, di morte, sono redatti dal curato e annotati su tutti i registri parrocchiali, che fungono da registri di stato civile. Poiché la Chiesa afferma l’indissolubilità del legame matrimoniale, la legge non ammette il divorzio. Poiché la Chiesa proclama l’eternità dei voti monastici, lo Stato ne sorveglia l’adempimento; dal punto di vista civile, i religiosi sono come dei morti: non possono sposarsi né ereditare; se abbandonano il convento, vi tornano accompagnati dalla forza pubblica. Poiché il cattolicesimo è l’unica verità riconosciuta, gli attentati alla fede, la bestemmia, il sacrilegio, sono soggetti alla giurisdizione dei tribunali civili e passibili di pene tremende; un editto punisce con la morte “chiunque risulti colpevole di aver composto, fatto comporre e stampare scritti tendenti ad attaccare la religione”».
Tuttavia, prima ancora dello scoppio della Rivoluzione, fin dall’inizio della seconda metà del Settecento in tutta la Francia ebbe inizio un lento processo di scristianizzazione. Scomparvero i grandi pensatori cattolici come Blaise Pascal mentre si andarono affermando i grandi pensatori deisti come Jean-Jacques Rousseau e Voltaire, anche se quest’ultimo, oltre a chiedere in un’occasione la benedizione al papa, continuò ad accostarsi regolarmente al sacramento della comunione pasquale.
Con la Rivoluzione la scristianizzazione fece passi da gigante attraverso due fasi ben distinte, una “distruttiva” e una “costruttiva”, entrambe motivate dalla convinzione che il cattolicesimo fosse sostegno dell’assolutismo non solo nazionale ma europeo contro cui la Rivoluzione medesima lottava, che fosse sostanzialmente una religione superstiziosa e tirannica e che l’uomo dovesse ispirarsi a ideali e valori nuovi come la ragione, la libertà, la natura, la socialità.
La fase “distruttiva” della scristianizzazione vide tra il 1789 e il 1792 la soppressione degli ordini religiosi, la confisca dei beni della Chiesa, la proibizione dei riti, il dileggio e la consegna ai rivoluzionari degli oggetti sacri, la chiusura e anche la devastazione degli edifici adibiti al culto, il matrimonio degli ecclesiastici, la modificazione dei luoghi e dei toponimi intitolati ai santi, che vennero dedicati ai nuovi eroi e martiri della Rivoluzione, mentre i neonati cominciarono a essere chiamati Bruto, Catone in omaggio alla storia di Roma antica, e perfino Satana. Numerosi gli episodi della scristianizzazione che assunsero toni grotteschi: a Nancy un folto numero di preti abiurò al cattolicesimo deponendo le lettere di ordinazione sacerdotale davanti all’albero della libertà e immergendo la testa nell’acqua per liberarsi del battesimo; in un’altra occasione, un rivoluzionario salì sull’altare di una chiesa e si calò i pantaloni defecando così abbondantemente tanto da essere soprannominato Le Cagaire.
La successiva fase “costruttiva” vide a partire dal 1793, oltre alla creazione del famoso calendario rivoluzionario, la formulazione da parte della Rivoluzione di una sua religione che doveva essere universale, con una nuova dottrina, nuovi sacerdoti e un nuovo cerimoniale. Ebbero allora inizio i riti della nuova religione rivoluzionaria fondati sull’ateismo. A Parigi, presso le rovine della Bastiglia, venne eretta la Fontana della Rigenerazione nelle sembianze di una donna dal cui seno enorme sgorgavano abbondanti fiotti d’acqua. Nell’agosto 1793 questo singolare monumento venne inaugurato da Marie-Jean Hérault De Séchelles, il presidente della Convenzione Nazionale, l’organo che guidava la Francia rivoluzionaria, alla presenza di oltre ottanta rappresentanti dei dipartimenti che tra squilli di trombe e rulli di tamburi brindarono alla rigenerazione. Immediatamente dopo si formarono due distinte processioni, una composta dai membri della Convenzione Nazionale con in mano un mazzo di spighe di grano, l’altra formata dai delegati dei dipartimenti con in mano un ramo d’ulivo, le quali si diressero verso il Campo di Marte dove Hérault De Séchelles depose un’arca di legno contenente le tavole della Costituzione dell’Anno I della Repubblica, simile a quella degli antichi ebrei che conteneva il testo della legge mosaica.
Più spettacolare fu il culto della Dea Ragione, la cui celebrazione si tenne in un’atmosfera da carnevale, sempre a Parigi, nel novembre dello stesso 1793. Luogo dell’evento, fortemente voluto dai Cordiglieri Arrabbiati di Jacques-René Hébert che erano la fazione rivoluzionaria più estremistica, fu la Cattedrale di Notre-Dame, dove fu costruito un piccolo tempio circolare di legno su cui campeggiava la scritta “Alla Filosofia” e il quale ospitava la Dea Ragione, interpretata per l’occasione da una cantante lirica giovane e avvenente con indosso una veste bianca, un mantello blu e sul capo il berretto frigio. Dopo che la cantante ebbe intonato l’Hymne à la République, un oratore proclamò che il fanatismo religioso era fuggito dinanzi alla giustizia e alla verità, che non c’erano più preti né dei all’infuori di quelli offerti all’uomo dalla natura e che la più nota cattedrale della Francia si sarebbe d’ora in poi chiamata “Tempio della Ragione e della Libertà”.

Robespierre e il culto dell’Essere Supremo

Il processo di scristianizzazione e le diverse forme di ateismo che sostituirono il culto cattolico furono mitigati da Maximilien Robespierre che, com’è noto, governò dittatorialmente la Francia nel biennio 1793-94. Deista (il deismo, vogliamo ricordarlo, è quella la dottrina che ammette l’esistenza di un principio razionale divino, inteso come entità trascendente, rifiutando però ogni forma di rivelazione), Robespierre propose una nuova religione di Stato politicamente, eticamente e socialmente utile: il culto dell’Essere Supremo. Il 7 maggio 1794 egli pronunciò un discorso davanti alla Convenzione Nazionale intitolato Sui rapporti delle idee religiose e morali con i principi repubblicani e sulle feste nazionali, discorso che può essere considerato come uno dei testi teorici più significativi della Rivoluzione francese, dal momento che con esso Robespierre volle riassumere tutto il suo pensiero politico oltre a ripercorrere per grandi linee la storia della Rivoluzione medesima. Anche la posizione della Francia rivoluzionaria nell’ambito delle relazioni internazionali venne rivisitata da Robespierre alla luce di una ideologia nuova, i cui principi sono contenuti soprattutto in queste parole: «Il mondo è cambiato e deve cambiare ancora. Che vi è di comune tra ciò che è e ciò che fu? Le nazioni civili hanno preso il posto di quelle selvagge che erravano nei deserti: le fertili messe il posto delle antiche foreste che coprivano il globo. Un mondo è apparso al di là degli stessi limiti del mondo; gli abitanti della terra hanno aggiunto i mari al loro immenso dominio; l’uomo ha conquistato la folgore e neutralizzato quella del cielo. […] Tutto è cambiato nell’ordine fisico, tutto deve cambiare in quello morale e politico. La metà della rivoluzione del mondo è già fatta, l’altra metà resta da fare…»
Nel nuovo ordine morale e politico Robespierre pose l’idea, sociale e repubblicana, dell’Essere Supremo e dell’immortalità dell’anima come un richiamo continuo alla giustizia: l’Essere Supremo venne concepito come un complesso di valori politici, etici e sociali capaci di dare un senso spirituale alla Rivoluzione e alla svolta storica da essa determinata, valori che non erano destinati a estinguersi, ma a essere gelosamente custoditi e difesi sia individualmente che socialmente; l’immortalità dell’anima venne invece intesa come idea della trasmissibilità di tali valori e della loro perenne esistenza al di là della sopravvivenza fisica di coloro i quali li avevano incarnati e vissuti direttamente.
Al contrario di quanto si possa pensare l’Essere Supremo non fu una invenzione di Robespierre poiché esso venne inserito nel preambolo della Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino che l’Assemblea Nazionale Costituente proclamò all’unanimità il 26 agosto 1789, proprio all’inizio della Rivoluzione. Con il culto dell’Essere Supremo Maximilien Robespierre si propose quattro obiettivi: combattere l’ateismo, che per la sua origine aristocratica e per la sua natura estremistica riteneva pericoloso per la Rivoluzione poiché esso avrebbe finito per distruggere le basi della vita morale; sostituire il cattolicesimo, che era strettamente connesso all’ancien régime, con una nuova religione ispirata alla natura, senza misteri, rivelazioni e feticci e nella quale l’atto di adorazione si rivolgeva non a una divinità, ma all’istituzione politica in quanto tale al fine di fondare una società fraterna regolata da leggi giuste, capace di assicurare la felicità morale e materiale e di sanare i mali dell’uomo; recuperare a vantaggio della Rivoluzione la dimensione religiosa, comunque fortemente radicata nel popolo francese, facendolo così transitare da una religione vecchia a una religione nuova e legandolo indissolubilmente alla Rivoluzione stessa; ristabilire e consolidare attorno all’Essere Supremo l’unità rivoluzionaria. Nel discorso del 7 maggio 1794 Robespierre diceva anche: «Che c’è in comune tra i preti e Dio? I preti stanno alla morale come i ciarlatani alla medicina. Com’è diverso il Dio della Natura da quello dei preti! Nulla vi è più assomigliante all’ateismo delle religioni da loro create. A forza di sfigurare l’Essere Supremo hanno distrutto quanto di questi vi era in loro; ne hanno fatto una palla di fuoco, un bue, un albero, un uomo, un re. I preti hanno creato Dio a propria immagine: l’hanno fatto apparire geloso, capriccioso, avido, crudele e implacabile. L’hanno trattato come un tempo i prefetti di palazzo trattavano i discendenti di Clodoveo, per regnare a suo nome a prenderne il posto. L’hanno relegato nel cielo come in un palazzo e l’hanno chiamato sulla terra solo per chiedergli a proprio vantaggio decime, ricchezze, onori, piaceri e poteri. Il vero sacerdozio dell’Essere Supremo è quello della Natura; il suo tempio è l’universo; il suo culto, la Virtù; le sue feste, la gioia di un grande popolo, riunito sotto i suoi occhi per stringere i dolci nodi della fratellanza universale e per fargli omaggio dei propri cuori sensibili e puri».
Il discorso di Robespierre si concludeva proponendo alla Convenzione Nazionale il seguente decreto:
«I. Il popolo francese riconosce l’esistenza dell’Essere Supremo e l’immortalità dell’anima.
II. Riconosce che il culto degno dell’Essere Supremo è la pratica dei doveri dell’uomo.
III. Pone nella prima linea di questi doveri l’odio per la malafede e la tirannia, la punizione dei tiranni e dei traditori, il soccorso ai poveri, il rispetto dei deboli, la difesa degli oppressi, il dovere di fare agli altri tutto il bene possibile e di non essere ingiusti verso alcuno.
IV. Saranno istituite delle feste per ricordare all’uomo il pensiero della dignità del suo essere.
V. Esse prenderanno nome dagli avvenimenti gloriosi della nostra Rivoluzione, dalle virtù più care e più utili all’uomo, dalle più grandi realizzazioni della Natura.
VI. La Repubblica francese celebrerà tutti gli anni le feste del 14 luglio 1789, del 10 agosto 1792, del 21 gennaio 1793, del 31 maggio 1793. [rispettivamente la presa della Bastiglia, la caduta della monarchia, l’esecuzione capitale del re Luigi XVI, l’uscita di scena dei girondini, lo schieramento moderato della Rivoluzione n.d.r.].
VII. Essa celebrerà nei giorni decadì le feste di cui segue l’enumerazione: all’Essere Supremo e alla Natura, al Genere umano, al Popolo francese, ai Benefattori dell’umanità, ai Martiri della Libertà, alla Libertà e all’Eguaglianza, alla Repubblica, alla Libertà del mondo, all’Amore per la patria, all’Odio per i tiranni e i traditori, alla Verità, alla Giustizia, al Pudore, alla Gloria e l’Immortalità, all’Amicizia, alla Frugalità, al Coraggio, alla buona Fede, all’Eroismo, all’Abnegazione, allo Stoicismo, all’Amore, alla Fede coniugale, all’Amore paterno, alla Tenerezza materna, alla Pietà filiale, all’Infanzia, alla Gioventù, all’Età virile, alla Vecchiaia, alla Sofferenza, all’Agricoltura, all’Industria, ai nostri Avi, alla Posterità, alla Felicità».
Gli ultimi articoli del decreto proclamavano la libertà dei culti, sia pure entro limiti molto stretti, punivano le istigazioni e le manifestazioni di fanatismo d’ispirazione religiosa o atea anche per evitare pericolosi assembramenti controrivoluzionari e stabilivano di celebrare la festa in omaggio all’Essere Supremo l’8 giugno (20 pratile secondo il calendario rivoluzionario) 1794. La Convenzionale Nazionale votò con entusiasmo il decreto proposto da Robespierre e nello stesso tempo ordinò che il suo discorso fosse stampato in ben duecentomila copie e inviato a tutti i municipi, le società popolari e le armate per essere letto e affisso in ogni luogo pubblico.

La festa del 20 pratile 1794

La festa dell'Essere Supremo al giardino nazionale, Parigi, 1794.

La festa dell’Essere Supremo al giardino nazionale, Parigi, 1794.

Fin dal primo mattino del 20 pratile 1794 Parigi era insolitamente animata e piena di fiori colorati e profumati; ovunque c’era aria di gran festa mentre un sole particolarmente radioso illuminava tutta quanta la città. I tamburi iniziarono a rullare l’appello, le campane presero a suonare a distesa e anche il cannone tuonò a salve. Diverse decine di migliaia di parigini si diressero verso il palazzo delle Tuileries, l’antica dimora cittadina della monarchia, marciando su due colonne: da una parte gli uomini con in mano rami di quercia, dall’altro lato le donne con in mano mazzi di fiori; al centro drappelli di adolescenti con sciabole e le bandiere delle quarantotto sezioni della città.
A mezzogiorno si presentarono in corteo i membri della Convenzione Nazionale: tutti avevano nelle mani fiori e frutta e indossavano marsina blu, pantaloni al ginocchio bianchi, fasce tricolori blu, bianche e rosse attorno alla vita e a bandoliera, cappello con piume sempre tricolori sul capo. Maximilien Robespierre, con indosso un mantello turchino e un cappello piumato tricolore in testa, guidava il corteo dei convenzionali che prese posto in un anfiteatro di legno costruito su disegno di Jacques-Louis David, il pittore della Rivoluzione, autore di tutto l’apparato scenografico della festa. Robespierre, nella sua veste di sacerdote dell’Essere Supremo, fece un segno alla folla che tacque ed egli prese la parola, facendo l’elogio della fede in Dio: «Dio ha creato l’universo per rendere pubblico il suo potere; ha creato gli uomini per aiutarsi e per amarsi reciprocamente e per arrivare alla felicità seguendo il cammino della Virtù…»
Dopo che Robespierre ebbe terminato di parlare, i cantori dell’Opéra National de Paris insieme a quelli delle sezioni eseguirono inni patriottici musicati da François-Joseph Gossec. Robespierre prese allora una torcia e dette fuoco a una statua di cartone raffigurante l’Ateismo, bruciata la quale comparve un’altra statua, sempre di cartone, raffigurante questa volta la Saggezza. Robespierre salì su una tribuna da dove parlò di nuovo alla folla: «È rientrato nel nulla questo mostro che lo spirito del Re aveva vomitato sulla Francia. Che scompaiano con lui tutti i crimini e le infelicità del mondo! Armati a seconda dei casi dei pugnali del fanatismo o dei veleni dell’ateismo, i re tramano sempre per assassinare l’umanità. Quando non possono più sfigurare la Divinità con la superstizione, per coinvolgerla nei propri misfatti, tentano di bandirla dalla terra, per regnarvi soli col crimine».
Dopo aver intonato altri inni patriottici si formò un nuovo, immenso corteo: ventiquattro sezioni in testa, ventiquattro in coda, al centro i membri della Convenzione Nazionale in mezzo ai quali si muoveva un grande carro decorato con drappi rossi e trainato da otto buoi con le corna dorate. Su questo carro spiccava un albero della libertà particolarmente elevato sotto cui c’erano un aratro, un covone di grano e un torchio tipografico. Il corteo si diresse verso il Campo di Marte, sfilando davanti ad alcuni reparti di militari che salutarono i convenzionali alzando le mani verso il cielo e giurando di essere pronti a morire per la libertà. Al centro del Campo di Marte si elevava una gigantesca montagna artificiale simbolo della Ragione e di tutte le virtù rivoluzionarie e repubblicane e dominata da un altro elevatissimo albero della libertà. Robespierre e i convenzionali si inerpicarono lungo questa montagna artificiale fermandosi sotto l’albero mentre i cantori dell’Opéra e quelli delle sezioni si disposero ai lati della montagna medesima, che veniva nello stesso tempo circondata dai drappelli degli adolescenti. L’intera area del Campo di Marte era occupata dalle decine di migliaia di parigini che erano stati coinvolti nell’evento. Mentre ardeva dell’incenso vennero intonati altri inni patriottici. La festa si concluse al grido di Viva la Repubblica! con una grande scarica a salve di cannone, il lancio di fiori verso il cielo, la benedizione delle sciabole che gli adolescenti avevano con sé e un abbraccio fraterno tra tutti i presenti.

Un bilancio finale

Il culto dell’Essere Supremo, fortemente simbolico e ideologico (esaltazione delle virtù civiche, riaffermazione dei valori morali della Rivoluzione, rivendicazione dei principi illuministici della ragione, della libertà e della socialità dell’uomo) suscitò meraviglia, commozione e ammirazione in tutta la Francia e anche in Europa, anche se da più parti l’evento venne considerato puerile e grottesco. Molti francesi interpretarono l’evento del 20 pratile 1794 come una grande festa di pacificazione generale, preludio alla fine delle acutissime tensioni politiche degli ultimi mesi e soprattutto come conclusione del regime del Terrore. Passata l’ondata emotiva la realtà della Rivoluzione riemerse però in tutta la sua complessità e tragicità: ciò che travagliava la Francia aveva profonde cause non soltanto politiche e culturali, ma anche e soprattutto sociali ed economiche, cause che era impossibile imbrigliare e governare con una nuova metafisica. Robespierre, prigioniero delle sue idee, non lo comprese e fu proprio questo il suo dramma: il dramma del sacerdote dell’Essere Supremo.

Per saperne di più
A. Dansette, Chiesa e società nella Francia contemporanea 1789 – 1878, Firenze, 1959
F. Furet – D. Richet, La Rivoluzione francese, trad. it., Bari, 1974
H. Guillemin, Robespierre politico e mistico, trad. it., Milano, 1999
A. Mathiez, Robespierre, trad. it., Roma, 2006
P. McPhee, Robespierre. Una vita rivoluzionaria, trad. it., Milano, 2015
“Robespierre” in I grandi contestatori, a cura di D. Dan, Milano, 1973