LE ORIGINI DELLA LIBERTÀ DI STAMPA IN INGHILTERRA

di Alfredo Incollingo -

Un vivace contesto sociale e l’affermazione della borghesia mercantile segnano la sviluppo della stampa moderna inglese nel XVII secolo. Con la libertà di informazione nascono anche i precursori dei rotocalchi e del giornalismo d’inchiesta.

È in Gran Bretagna che nacque la stampa moderna e la libertà di informazione. Vi furono, naturalmente, delle congiunture storico-economiche che favorirono questi straordinari risultati. A Londra e nelle grandi città inglesi, infatti, nell’XVII secolo, vi risiedeva la ricca e influente borghesia mercantile e per anni vi avevano trovato rifugio centinaia di intellettuali dissidenti, fuggiti dalle madrepatrie per evitare la censura e, in alcuni casi, anche la pena di morte. Fin dagli albori della modernità, la Gran Bretagna era stata una nazione multiculturale e segnata da un accentuato pluralismo religioso, legittimandolo e ponendo così fine ai sanguinosi conflitti confessionali. Solo in un contesto sociale e culturale così aperto era possibile fare un’informazione che fosse il più possibile imparziale.
Un altro fattore indispensabile per il trionfo della stampa inglese fu l’affermazione politica della potente borghesia mercantile durante il Seicento, con la costituzione di uno Stato liberare e moderno che sostituì progressivamente l’anacronistica monarchia assoluta. Maturò così una tradizione giuridica e culturale molto antica, iniziata addirittura con la promulgazione della Magna Charta Libertatum nel 1215. Si afferma nel primo articolo della costituzione medievale: «In primo luogo abbiamo accordato a Dio e confermato con questa carta, per noi e i nostri eredi in perpetuo, che la Chiesa d’Inghilterra sia libera, abbia integri i suoi diritti e le sue libertà non lese; e vogliamo che ciò sia osservato; come appare evidente dal fatto che per nostra chiara e libera volontà, prima che nascesse la discordia tra noi ed i baroni, abbiamo, di nostra libera volontà, concesso e confermato con la nostra carta la libertà delle elezioni, considerata della più grande importanza per la Chiesa anglicana ed abbiamo inoltre ottenuto che ciò fosse confermato da Papa Innocenzo III; la qual cosa noi osserveremo e vogliamo che i nostri eredi osservino in buona fede e per sempre. Abbiamo concesso a tutti gli uomini liberi del regno, per noi e i nostri eredi tutte le libertà sottoscritte, che essi e i loro eredi ricevano e conservino da noi e dai nostri eredi».

La borghesia sosteneva ampiamente la libertà d’informazione nella seicentesca opposizione tra Corona e Parlamento, poiché la stampa si rivelò utile nel contrastare lo strapotere della monarchia. La regina Maria Tudor aveva tentato di censurare e circoscrivere la diffusione delle notizie attraverso un sistema di licenze e stamperie reali per limitare la pubblicazione di libelli sediziosi. Carlo I Stuart, nel 1632, arrivò a proibire qualsiasi foglio informativo nel regno, accrescendo l’astio del Parlamento e della borghesia nei confronti della monarchia. Il re fu costretto a ritirare tutte le sue disposizioni nel 1641, inaugurando una breve stagione di libertà.
A Londra, nel giro di pochi anni, comparvero circa 200 nuovi periodici (Diurnall Occurrencese, Mercurius Aulicus, Mercurius Britannicus…) che si occupavano soprattutto di politica interna. Con la deposizione di Carlo I, nel 1649, e l’ascesa al trono di Oliver Cromwell, la censura venne pienamente reintegrata. Sopravvissero solo le testate giornalistiche vicine al nuovo regime.
Per aggirare il divieto di parlare di politica, la stampa inglese prese altre strade, trattando principalmente casi di cronaca nera o rosa. Vennero così fondati il Public Intelligenze, il City Mercury o il Mercurius Democraticus, precursori dei moderni rotocalchi e del giornalismo d’inchiesta. Nel 1662, con la restaurazione della monarchia, le autorità promossero la pubblicazione di poche testate, tutte legate alla Corona, come il London Gazette o l’Oxford Gazette. La conseguenza più evidente di tali scelte politiche fu la divulgazione di fogli informativi clandestini. Il fenomeno raggiunse una dimensione tale che si decise di chiudere tutte le Botteghe del Caffè, dove questi periodici erano maggiormente distribuiti, con un decreto del 1676. Si temevano infatti l’insorgere di sedizioni e proteste popolari.
Il primo grande passo verso la libertà di stampa si ebbe nel 1689, quando il re Guglielmo d’Orange, dopo la Glorious Revolution (1688), firmò il Bill of Rights. Così è scritto nell’articolo IX: «Che la libertà di parola, e i dibattiti o i procedimenti in parlamento, non debbono essere posti sotto accusa o contestati in nessun tribunale o luogo al di fuori del parlamento». Si ponevano così una serie di limitazioni al potere regio e si riconoscevano alcune libertà fondamentali del cittadino, come quella d’espressione. Questo diritto venne ufficialmente sancito con l’abolizione del Licensing Act del 1695.

 

Per saperne di più

Gozzini G., Storia del giornalismo, Milano, Mondadori, 2011
Herd H., The March of Journalism: The Story of the British Press from 1622 to the Present Day, Londra, George Allen & Unwin, 1952.