LA SPARTIZIONE DELLE SPOGLIE OTTOMANE

di Massimo Iacopi -

I conflitti attuali in Medio Oriente hanno avuto origine quando Britannici e Francesi si sono spartiti i possedimenti arabi dell’Impero Ottomano. La rivoluzione nazionale e laica condotta da Mustafà Kemal in Turchia, la vittoria inattesa dei Wahabiti nella penisola arabica, l’importanza crescente del petrolio e la questine sionista non hanno consentito, fra le due guerre mondiali, la stabilizzazione della regione.

Il confronto Oriente-Occidente, iniziato nel 1798 con la spedizione in Egitto di Bonaparte, non ha provocato quella modernizzazione delle società mussulmane che molti speravano. L’unico e inatteso sussulto di potenza, rappresentato per alcuni decenni dall’Egitto di Mehemet Alì, ha rapidamente mostrato i suoi limiti ed esaurito la sua spinta. In effetti, il vertiginoso indebitamento accumulato dai suoi successori metterà il Paese alla mercé dell’Inghilterra sin dal 1881. Nello stesso tempo, nulla sembrava poter impedire la lenta decomposizione del “grande malato”, soprannome attribuito all’Impero Ottomano, diventato oggetto delle bramosie occidentali dopo aver fatto tremare per diversi secoli l’Europa.
La Prima guerra mondiale contribuisce ad accelerare brutalmente tale processo e a sostituire nell’area del Medio Oriente la potenza turca con quella inglese, largamente vittoriosa in Oriente all’indomani del conflitto, nonostante le concessioni fatte a una Francia che non possedeva più i mezzi per rivaleggiare con il suo “alleato”. La rivoluzione nazionale e laica condotta da Mustafà Kemal in Turchia, la vittoria inattesa dei Wahabiti nella penisola arabica, l’importanza crescente del problema del petrolio, la nascita del nazionalismo arabo e i drammi provocati dal progetto sionista, non hanno consentito, fra le due guerre mondiali, la stabilizzazione della regione.
La situazione viene aggravata al termine della Seconda guerra mondiale dalla nascita dello Stato d’Israele e dagli effetti della Guerra fredda. Nello stesso tempo questo conflitto consente alla potenza americana, ormai dominante nella regione, il pretesto per un “containment” necessario nei riguardi dell’URSS.
Contrariamente alle speranze nate con la fine del conflitto Est-Ovest, i tentativi americani di costruire un “nuovo ordine mondiale” e gli impegni assunti nel Processo di Oslo fra Israele e Palestina, il Vicino Oriente rimane a tutt’oggi una polveriera, così come lo è stato per tutta la seconda metà del XX secolo. La persistenza e la radicalizzazione della resistenza palestinese, le incertezze che pesano sulla sopravvivenza dello stato libanese, il caos iracheno, la crescita di potenza dell’islamismo, le ambizioni iraniane e forse un certo “bellicismo” americano, incoraggiato a volte dai rilanci israeliani, fanno da sempre di questa regione, come osservava Fernand Braudel, il “cuore violento del mondo”.

Eppure, una tale situazione, un secolo fa, non aveva nulla di fatale. E’ nel corso della Prima guerra mondiale e durante gli anni immediatamente successivi, che si sono create le condizioni dell’attuale “tragedia” mediorientale.
Si impone quindi un esame delle debolezze delle società arabo-mussulmane dell’epoca, ma anche delle ambizioni e delle responsabilità delle potenze imperiali europee. Dopo il 1918, queste indossano la veste di “mandatari” per consolidare il dominio su una regione che rivestiva un interesse rilevante sul piano politico, petrolifero e geostrategico.
Alla vigilia della guerra del 1914, l’Impero Ottomano sembrava coinvolto in un declino irreversibile. Nel 1912, di fronte alla coalizione delle nazioni balcaniche, esso ha perduto la maggior parte dei suoi possessi europei, dopo aver dovuto abbandonare, nel corso dello stesso anno, la Libia all’Italia. La volontà modernizzatrice dei “Giovani Turchi” nel 1908-1909, non sembra essere sufficiente a garantirne la sopravvivenza. L’agonia del “grande malato” è seguita da vicino dalle grandi potenze, alcune impazienti di spartirsi le sue spoglie. La Russia sogna, dal tempo di Caterina II, di “liberare” Costantinopoli e di aprirsi l’accesso al Mediterraneo. Puntigliosa nell’affermare i suoi diritti sui Luoghi Santi di Gerusalemme, la Russia intende peraltro aprirsi la strada verso l’Oceano Indiano, esercitando la sua influenza nella Persia degli imperatori Qadjari, la cui situazione è fragile quanto quella del vicino Impero turco.
La Germania di Guglielmo II di Hohenzollern, ultima arrivata nella regione, appare ben decisa a mettere in opera una sua “politica mondiale”. Essa intende così compensare la delusione di una espansione coloniale, tardiva e modesta. La Germania desidera sviluppare la sua influenza in un Impero Ottomano i cui bisogni in capitali ed equipaggiamenti sono considerevoli. Dal 1898 la costruzione della Bagdadbahn, la ferrovia per Baghdad, che intendono prolungare sino a Bassora nel Golfo Persico, evidenzia le ambizioni tedesche. Essa appare come un temibile mezzo di penetrazione economica. Il suo tracciato passa in prossimità della regione di Mossul, dove sono stati scoperti importanti giacimenti di petrolio.
La Francia, alleata privilegiata del Sultano dai tempi di Francesco I e di Luigi XIV, dalla fine del XVIII secolo è stata rimpiazzata a Costantinopoli dall’Inghilterra. Il sostegno a Mehemet Alì sposta verso l’Egitto il suo principale centro di interesse. Ma i Francesi conservano, nondimeno, degli impegni economici importanti nell’Impero Ottomano, dove i suoi risparmiatori hanno investito negli equipaggiamenti portuali e nella ferrovia della Cilicia. La Francia si ricorda ugualmente del ruolo che ha ricoperto nel passato in Terra Santa all’epoca delle crociate o, più recentemente, quando Napoleone III ha difeso i cristiani del Libano dai Drusi.

Il principale attore straniero nella regione resta tuttavia l’Inghilterra. Dopo aver fatto tutto per compromettere la realizzazione del canale di Suez, gli Inglesi sono rientrati in forze nella Compagnia universale del canale. Quando l’Egitto viene colto dall’agitazione nazionalista all’inizio degli anni ’80 del XIX secolo, Londra, vale a dire Benjamin Disraeli, manovra per stabilire al Cairo un protettorato di fatto. La Francia sarà infine costretta a riconoscere questa situazione, ottenendo, in contropartita, libertà d’azione in Marocco. Il protettorato britannico, che era già un dato di fatto, verrà stabilito giuridicamente nel 1914, nel momento dell’entrata in guerra della Turchia, formalmente ancora sovrana sull’Egitto.
L’Inghilterra, padrona di Cipro dal 1878 (Congresso di Berlino), ma anche di Suez e di Aden, allo sbocco del mar Rosso, ha compreso ben presto l’importanza che poteva assumere nel futuro il petrolio del Vicino Oriente. L’oro nero viene estratto dal 1907 nel Khuzestan, nell’ovest dell’Impero persiano e l’Ammiragliato britannico, nel 1914, per iniziativa di Winston Churchill e dell’ammiraglio John Fisher, si affretta ad acquisire rapidamente la parte maggioritaria dell’Anglo Persian Oil Company. La Royal Navy sta passando dal carbone alla nafta e ciò attribuisce una importanza decisiva alle risorse petrolifere della regione. In linea di massima i dirigenti di Londra vogliono garantire la sicurezza della rotta marittima delle Indie. Per questa ragione essi rimangono per lungo tempo attaccati al mantenimento dell’integrità territoriale dell’Impero ottomano. Nel contesto del Grande Gioco euroasiatico, una modificazione nell’Impero Ottomano non potrebbe che favorire la Russia. L’Inghilterra, inoltre, nella preoccupazione di sbarrare il fondo del Golfo Persico, dove la Bagdadbahn rischia di costituire una nuova rotta continentale verso l’India, ha offerto nel 1899 il suo protettorato allo sceicco del Kuwait, Mubarak al Sabah. Questo protettorato, riconosciuto dal potere ottomano nel 1913, diventa nel prosieguo fonte di rancori e di tensioni tenaci, specie quando il modesto emirato diventerà un elemento fondamentale della politica petrolifera della regione.

L’Impero Ottomano, posto nel XX secolo di fronte al risveglio nazionale dei popoli balcanici (sottomessi fin dal Medioevo), deve fare anche i conti con il rigetto che suscita nel mondo arabo l’egemonia esercitata dagli elementi turchi dalla conquista della regione agli inizi del XVI secolo. Il XIX secolo ha visto il “risveglio arabo” della Nahda, incoraggiato dal successo dell’Egitto di Mehemet Alì. All’alba del XX secolo una buona parte delle dirigenze arabe si augura di mettere fine alla “notte ottomana”.
La solidarietà sunnita non è più sufficiente ad abolire le realtà nazionali, specialmente in Siria ed in Mesopotamia (Iraq), dove si organizzano delle società segrete. Queste vengono incoraggiate sottobanco da alcune grandi potenze, specialmente la Francia. In effetti, è a Parigi che si riunisce nel giugno 1913 il Congresso di Al Djamiyah al Arabiyyah (Movimento delle Comunità Arabe) che rivendica l’arabizzazione dell’amministrazione nelle province arabe dipendenti dall’Impero. Nello stesso tempo gli Inglesi stabiliscono dei contatti con i principi hashemiti dell’Hegiaz, che gestiscono i pellegrinaggi ai Luoghi santi dell’Islam. Ma se l’Ufficio Arabo del Cairo, emanazione del Foreign Office londinese, prepara il terreno, l’Indian Office, emanazione della Compagnia delle Indie, sostiene, da parte sua, gli sforzi di Abd el Aziz ibn Saud, il capo dei Wahabiti del Neged. Questi veri “puritani del deserto” che propugnano un Islam fondamentalista fino a quel momento marginale, hanno dei conti da regolare con i rivali hashemiti, fatto che indurrà Londra in ulteriori errori di calcolo.

Il Primo conflitto mondiale inizia in Oriente nell’autunno del 1914, quando l’Impero Ottomano si affianca agli Imperi Centrali ed entra in guerra contro la Russia e i suoi alleati dell’Intesa. Questa situazione contribuisce naturalmente ad esacerbare le tensioni, le rivalità imperialiste e i conflitti d’interesse latenti. Il teatro d’operazioni del Medio Oriente appare immediatamente come una posta fondamentale per i Britannici. Londra intende garantire la sicurezza della rotta delle indie, particolarmente quella del canale di Suez. All’inizio del 1915 i Turchi lanciano su questo obiettivo, a partire dalla Siria, un’offensiva che potrebbe rivelarsi pericolosa. Ma i Turchi vengono bloccati e il lancio dell’offensiva alleata nei Dardanelli li costringe a rinunciare. Gli Inglesi saranno meno fortunati in Mesopotamia. Le truppe allestite dalla compagnia delle Indie sbarcano a Fao, si impadroniscono facilmente di Bassora e progrediscono in direzione di Baghdad, ma il generale Charles Townshend si lascia imbottigliare a Kut el Amara, dove è costretto a capitolare senza gloria nell’aprile 1916. Bisognerà attendere il marzo 1917 perché gli Inglesi si prendano la rivincita con l’entrata vittoriosa a Baghdad dal generale Frederick Stanley Maude.
Spingendo a nord in direzione delle zone petrolifere di Kirkuk e di Mossul, gli Inglesi arriveranno fin sulle rive del Mar Caspio e del Mar Nero, attirati dal petrolio di Baku. Nello stesso momento la Russia sta per cadere nelle mani della rivoluzione bolscevica.
Lo scacco subito nel corso del 1915 ai Dardanelli spinge le autorità britanniche del Cairo a ricercare l’alleanza degli Arabi contro i Turchi. Il 30 gennaio 1916 Sir Henry Mac Mahon, alto commissario inglese in Egitto, si impegna con Hussein, sceriffo hashemita della Mecca, a favorire la creazione di un grande regno arabo.
Ciò a condizione che le tribù dell’Hegjaz, poste sotto la sua autorità, apportino il loro sostegno agli Inglesi. Vengono promessi a Hussein armi, denaro e consiglieri militari: questi, allettato dalla prospettiva di un regno che va dalla Siria alla penisola araba e dal Mediterraneo alla Mesopotamia, naturalmente aderisce. E’ evidente che le promesse nascondono delle reticenze, perché gli Inglesi, ad esempio, non hanno alcuna intenzione di perdere il controllo della Mesopotamia.
A partire dal mese di febbraio 1916 François-Georges Picot e Mark Sykes firmano un accordo segreto relativo alla spartizione, fra Francia e Gran Bretagna, dei territori arabi dell’Impero Ottomano. I Francesi sembrano aver ben percepito il disegno inglese in Mesopotamia. Una volta controllata la zona petrolifera di Abadan, già in sfruttamento, essi intendono avanzare sino a Mossul dove tutti sanno che il sottosuolo è ricco di oro nero (il primo giacimento sarà effettivamente messo in funzione nel 1927). I Francesi non vogliono lasciare ai loro alleati il monopolio petrolifero sulla regione. Gli Accordi Sykes-Picot, conclusi il 9 maggio, riservano alla Francia la Siria, la Cilicia e il Vilayet (provincia) di Mossul. L’Inghilterra si vede garantire il controllo dell’Iraq, della Palestina e della costa del Golfo Persico. Questo accordo è in evidente contraddizione con le promesse fatte allo sceriffo Hussein ma deve rimanere segreto (non lo sarà più alla fine del 1917 quando Trotski, Commissario bolscevico agli Affari Esteri, lo renderà pubblico dopo la Rivoluzione d’ottobre). Nonostante questi oscuri equivoci la rivolta araba, sostenuta dall’Inghilterra, ottiene successi significativi. I Turchi perdono La Mecca e il porto di Geddah, ma riescono a mantenere Medina, punto di arrivo della ferrovia che unisce questa città a Damasco. Una ferrovia che diventerà l’obbiettivo di numerosi attacchi e colpi di mano nel corso dei mesi seguenti quando Thomas Edward Lawrence condurrà con l’emiro Faysal ibn Husayn una “guerra del deserto” di tipo nuovo, che metterà in gravi difficoltà la guarnigione turca di Medina. Nel 1917 l’ufficiale inglese arriva persino a conquistare il porto di Aqaba, attaccando da terra questo scalo ottomano del Mar Rosso. Si tratta di una svolta del conflitto, che faciliterà il compito delle truppe inglesi riunite in Egitto agli ordini del generale Edmund Allenby. Questi, alla fine di ottobre, attacca con forze decisamente superiori la linea Gaza- Bersheba e riesce a sfondare le posizioni turche. Si apre così la strada per Gerusalemme dove entra da vincitore il 9 dicembre 1917. Poco più di un mese prima, Lord Arthur James Balfour, ministro inglese degli Affari Esteri, si è impegnato con una lettera a Lord Walter Rothschild, principale rappresentante della comunità ebraica britannica: «Il governo di Sua Maestà considera favorevolmente l’installazione in Palestina di un focolare nazionale per il popolo ebreo e impiegherà tutti i suoi sforzi per favorire la realizzazione di questo obiettivo, essendo chiaro che nulla verrà fatto che possa nuocere ai diritti civili e religiosi delle collettività non ebree esistenti in Palestina». Al di là della formulazione ambigua, questa dichiarazione è in evidente contraddizione con le promesse fatte agli Hashemiti l’anno precedente.
La vittoria definitiva dell’Intesa si delinea nel corso del 1918. Ma la situazione resta decisamente complessa in Oriente. Nei primi giorni di ottobre dello stesso anno l’esercito arabo di Lawrence e Faysal entra a Damasco, nello stesso momento in cui arrivano le forze di Allenby, provenienti da Nablus, Haifa e San Giovanni d’Acri. Dal 7 ottobre i Francesi sbarcano truppe a Beirut, prima che Allenby se ne impossessi. Gli accordi Sykes-Picot prefiguravano il Libano e la Siria alla Francia, ma la schiacciante superiorità inglese in Oriente non promette nulla di buono. Fatto confermato, già dal mese di dicembre 1918, dalla rinuncia da parte di Georges Clemenceau a una parte degli stessi accordi. Il Presidente del Consiglio francese rinuncia al Vilayet di Mossul in cambio di garanzie sul petrolio attraverso l’acquisto della quota tedesca della Turkish Petroleum Company. Nel frattempo, gli Inglesi hanno negoziato da soli con i Turchi l’Armistizio di Mudros, mettendo Francesi, Italiani e Greci davanti al fatto compiuto. L’accordo privilegia evidentemente i loro interessi.

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Mehmet VI abbandona Istanbul dopo essere stato deposto, 17 novembre 1922.

Il periodo immediatamente seguente la Grande Guerra apre pertanto un periodo di preminenza incontestata dei britannici nella regione. Al contrario delle promesse formulate da Wilson a proposito dell’emancipazione dei popoli colonizzati, gli Arabi sono i grandi perdenti.
Invano i nazionalisti egiziani di Saad Zaghlul Pasha e del partito Wafd (Delegazione) reclameranno l’indipendenza. La Conferenza di Pace conferma il protettorato inglese sull’Egitto. Su richiesta di Wilson, una commissione, composta dal professore Henry Churchill King e dall’uomo d’affari Charles Richard Crane viene incaricata di valutare la situazione nel Vicino Oriente. Servirà a poco che le risultanze della Commissione sconsiglino la divisione del Libano e della Siria, come anche l’installazione di un focolare ebreo in Palestina, inaccettabile per la popolazione locale: le sue conclusioni saranno occultate grazie all’impegno di Francia e Inghilterra. Nel marzo 1920, quando l’emiro hashemita Faysal proclama a Damasco un regno della Grande Siria, la Francia, dopo una serie di negoziati apparentemente infruttuosi, reagisce con la proclamazione dell’indipendenza del Libano. Nel luglio, a seguito delle reticenze di Faysal, la Francia spedisce a Damasco, per ordine del generale Henri Gouraud, un piccolo corpo di spedizione agli ordini del generale Mariano Julio Goybet. Questi sconfiggerà, senza soverchie difficoltà nel luglio seguente, i nazionalisti arabi nel combattimento di Mayssalun.
Dal 25 aprile 1920 la Conferenza di Sanremo aveva confermato, nelle sue linee generali, gli accordi franco-inglesi del 1916 e del 1918. La Francia si vede conferire un mandato di tipo A (cioè un mandato con l’obiettivo di preparare una indipendenza in tempi rapidi) sulla Siria e sul Libano. Simultaneamente, la Gran Bretagna si vede accordare la Palestina e l’Iraq (la parte orientale della mezzaluna fertile). Nel corso dello stesso anno, la Francia, che ha riunito nella zona di Alessandretta migliaia di Armeni che fuggono ai massacri turchi, conclude un armistizio con le forze turche collegate al movimento nazionalista e rivoluzionario lanciato da Mustafà Kemal. Nell’agosto, il frazionamento della Turchia, sanzionato dal Trattato di Sevres, che ha anche accettato il sultano ottomano, non fa che radicalizzare l’insurrezione kemalista. Questa riuscirà a realizzare una riconquista dell’insieme del territorio anatolico, dal quale saranno definitivamente scacciati i Greci, sebbene sostenuti dall’Inghilterra.
L’annichilimento della Grande Armenia, ipotizzata a Sevres e l’annullamento delle dissidenze curde contribuiranno ad assicurare rapidamente l’unità della nuova Turchia, massicciamente collegata con una insurrezione nazionale, laica e giacobina, agli antipodi di quello che era stato l’Impero multietnico e multiconfessionale dei millet ottomani.
Nel 1923, tre anni dopo il Trattato di Sevres, Mustafà Kemal otterrà, con il Trattato di Losanna, il riconoscimento di questa nuova Turchia che egli intende sbarazzare dal vecchiume delle tradizioni musulmane, per farne un Paese moderno ispirato ai modelli occidentali.
Intanto, Francesi e Inglesi incontrano serie difficoltà a stabilire la loro autorità sull’Oriente arabo. In Iraq gli Inglesi devono affrontare una insurrezione generalizzata, particolarmente virulenta nel sud sciita e nelle montagne del Kurdistan. I Francesi possono appoggiarsi sul Grande Libano, creato nel settembre 1920 dal generale Gourand in un contesto territoriale che garantisce la maggioranza ai cristiani. Ma questa manovra appare ai nazionalisti arabi come una moderna riedizione del vecchio principio “divide et impera”. La suddivisione della Siria musulmana in diversi territori (Damasco, Aleppo e Latakia) non farà che confortare questa analisi. Qualche anno più tardi, la rivolta drusa confermerà le difficoltà della Francia sui suoi territori mandatari. In Egitto gli Inglesi devono infine tener conto delle rivendicazioni nazionali. Essi concedono nel febbraio 1922 una indipendenza per certi aspetti formale, ma che permette di calmare le agitazioni. Nel frattempo, nel marzo 1921, Winston Churchill riunisce al Cairo, per usare le sue stesse parole, la “Conferenza dei 40 ladroni”, ufficialmente Conferenza britannica sul Medio Oriente. Nel corso di tale riunione vengono prese diverse decisioni, per calmare l’agitazione irachena e per tenere conto delle sconfitte subite in Arabia dagli Hashemiti, battuti dai Wahabiti.
Viene creato un Regno d’Iraq, affidato all’emiro Faysal e un Emirato di Transgiordania (territorio totalmente artificiale, tracciato sulla carta fra Siria, Giordania e Deserto arabico) a vantaggio di suo fratello Abdallah ibn Husayn (bisnonno dell’attuale Re Abdallah di Giordania, nato nel 1962). I Britannici decidono ancora di esercitare il mandato sulla Palestina secondo il metodo dell’amministrazione diretta, con tutti i problemi che ne conseguono (dal marzo 1921 scoppiano a Jaffa degli scontri fra Ebrei e Arabi).
In Iraq, Faysal, sovrano straniero sunnita in un Paese a maggioranza sciita, deve appoggiarsi sulla minoranza sunnita, che era stata il collegamento con il potere ottomano. Gli Inglesi devono a quel punto affrontare nuovamente delle rivolte sciite e curde, represse sistematicamente con la stessa brutalità che in passato. Londra rifiuta di restituire il Kuwait all’Iraq, privandolo in tal modo di un adeguato sbocco sul Golfo Persico. Ma Faysal non può assolutamente opporsi agli Inglesi nella misura in cui essi sono i soli in condizioni di ottenere dalla Turchia di Mustafà Kemal la rinuncia a Mossul e al Kurdistan iracheno, ottenuta nel 1925.
Dopo la grande crisi mondiale, il Vicino Oriente post-ottomano esce dalla dominazione turca per cadere sotto quella dell’Inghilterra e della Francia. Il successo di un modello nazionale territoriale che viene a sostituirsi al sistema musulmano multietnico si rivela difficile. Le divisioni suscitate o mantenute dalle potenze dominanti vengono aggravate dallo sviluppo in Palestina del progetto sionista e dalle ambizioni petrolifere delle Grandi Potenze. Queste ultime si riveleranno sempre più incapaci di anticipare le prevedibili evoluzioni di fondo. Questo è il momento in cui si cristallizzano sia un potente nazionalismo arabo (che porterà più tardi alla fondazione del partito Baath e all’esperienza nasseriana) sia una reazione islamista a lungo sottostimata (il suo atto di nascita può essere fissato al marzo 1927 a Ismailia, con la fondazione, da parte di Hassan al Banna, dei Fratelli Musulmani).

Per saperne di più
AA. VV. (a cura di R. Mantran), Storia dell’Impero Ottomano, Argo, 1999.
Fromkin, David, A Peace to End All Peace: Creating the Modern Middle East, New York, Henry Holt and Company, 1989.
Quilliam, Neil, Syria and the New World Order, Reading, Ithaca Press (Garnet), 1999.
Paul C. Helmeich, From Paris to Sèvres: The Partition of the Ottoman Empire at the Peace Conference of 1919-1920, Ohio University Press, 1974.