LA RIVOLUZIONE SCONVOLGE L’ARTE DELLA GUERRA

di Max Trimurti –

Wolfgang Goethe, testimone della vittoria francese a Valmy il 20 settembre 1792, disse di aver visto aprirsi “una nuova era della storia del Mondo”. Lo scrittore tedesco aveva capito che i popoli sarebbero stati gli attori della storia. Anche il modo di condurre la guerra ne sarebbe uscito trasformato.

Il 20 settembre 1792, il migliore esercito d’Europa, quello prussiano, composto da soldati contadini che dovevano allo Stato da due a tre mesi di servizio all’anno, viene sconfitto da un’armata eterogenea composta da volontari senza grande esperienza e da militari professionisti. Al culmine del cannoneggiamento prussiano il generale François Etienne Kellermann, per galvanizzare i Francesi, brandisce il cappello sulla punta della spada e urla: “Viva la Nazione!”. Un grido che viene ripreso dai 45 mila soldati, seguito a sua volta da una vibrante Marsigliese. Impressionato dalla determinazione dei suoi avversari, il feldmaresciallo duca Carlo Guglielmo Ferdinando di Brunswick Wolfenbuttel decide di ordinare la ritirata.

L’invenzione del soldato cittadino

La battaglia di Valmy, di Emile-Jean-Horace Vernet

La battaglia di Valmy, di Emile-Jean-Horace Vernet

Al di là dell’aneddoto, è necessario cogliere da questo evento ciò che sta cambiando nel rapporto che il soldato intrattiene con l’esercito e la guerra. Fino al 1789 in Francia, il soldato è un mercenario, un uomo che riceve una paga (il soldo, da cui deriva il termine di soldato) per combattere. Anche se esistono già delle forme di servizio militare (la milizia), queste ultime non sono permanenti e, in linea di massima, i miliziani vengono impiegati per la difesa del territorio. L’esercito è, dunque, quello del re. Ed è per servire il re che la nobiltà si disputa per le funzioni di ufficiale. In seno a questo esercito reale il soldato non gode di alcun diritto e vi regna una stretta disciplina. Nel 1789, con la Rivoluzione, la nazione si sostituisce al re come unica detentrice della sovranità. In quanto parte costituente della comunità dei cittadini i Francesi accettano di arruolarsi nell’esercito.
Parallelamente, la conquista dei diritti politici si accompagna alla creazione delle milizie cittadine. Dall’estate del 1789 si moltiplicano le guardie nazionali su tutto il territorio: ogni uomo in grado di usare le armi e in grado di acquistarsi il proprio equipaggiamento, deve assicurare la difesa della comunità di cui fa parte. Le guardie nazionali non sono dei militari in senso stretto del termine, essi svolgono un mestiere, hanno una famiglia e lasciano l’abito civile solo per qualche giorno al mese per manovrare, pattugliare o montare di guardia. E proprio perché cittadini liberi essi hanno il diritto di eleggere i loro ufficiali.
A partire dalla primavera del 1791 le autorità decidono di effettuare una leva di volontari per completare gli effettivi dell’esercito. Si tratta di assicurarsi la fedeltà dell’esercito, nel momento in cui crescono le tensioni fra il re e i fautori della Rivoluzione. I battaglioni di volontari hanno la loro organizzazione, eleggono i loro ufficiali e restano prima di tutto dei cittadini in armi. L’entrata in guerra della Francia nell’aprile 1792 contro l’imperatore d’Austria comporta la creazione di nuovi battaglioni di volontari. Alcuni di essi arrivati da Marsiglia, prendono parte alla presa delle Tuileries, il 10 agosto, combattendo contro le ultime truppe fedeli al re, le guardie svizzere.
E’ questo nuovo esercito, composto da vecchi soldati, da giovani volontari, ma anche da uomini costretti a essere arruolati con il sistema della “leva”, che i generali della Repubblica si trovano a comandare. Truppa spesso piena di brio, animata dallo spirito patriottico e dagli ideali rivoluzionari, ma anche truppa carente di esperienza e di addestramento, senza contare le deficienze nel campo dei rifornimenti. I primi scontri volgono molto spesso in catastrofe, perché di fronte alla traumatica esperienza del fuoco, molti uomini sono colti da panico e molti di questi giovani cittadini accettano di malavoglia di ricevere degli ordini.

Una nuova tattica

Tuttavia, molto rapidamente, alcuni comandanti comprendono il vantaggio che si può trarre da un tale tipo di reclutamento. Fino a quel momento gli eserciti in battaglia si schieravano su lunghe file di diverse centinaia di metri, al fine di sviluppare al massimo la loro potenza di fuoco. L’addestramento degli uomini consentiva di sostenere un fuoco quasi continuo, attraverso la sostituzione delle file in prima linea mentre le altre provvedevano a ricaricare. Gli eserciti rivoluzionari preferiscono la formazione in colonna profonda. In effetti non è più la potenza di fuoco quello che conta, ma l’energia e lo slancio. Gli uomini con la baionetta innestata superano, a passo di carica, le poche centinaia di metri che li separano dai loro avversari e li affrontano all’arma bianca. Non viene introdotta nessuna manovra particolare: sono la forza morale e l’entusiasmo a trasformarsi in strumenti vincenti sul campo. Gli uomini sanno per che cosa si battono: la loro patria, ma anche per i loro ideali politici. In un certo modo, la Rivoluzione inventa la guerra ideologica. In questo ambito, le truppe francesi, composte in parte da repubblicani convinti, dispongono di una innegabile superiorità.
Tuttavia, l’ardore dei combattenti non risolve tutto. L’esercito francese trae anche profitto dai grandi mutamenti avvenuti in precedenza. Dalla fine del regno di Luigi XVI numerose riforme avevano contribuito a migliorare il reclutamento e la formazione degli ufficiali, specialmente quelli delle armi dotte (artiglieria e genio). Appaiono allora le prime scuole tecniche, completate nel 1794 dalla Scuola Politecnica. Allo stesso tempo, le truppe beneficiano della migliore artiglieria da campagna dell’epoca, dovuta all’ingegnere Jean-Baptiste Vaquette de Gribeauval, che si era sforzato di standardizzare i materiali e di migliorare la mobilità dei cannoni. La Rivoluzione, mobilitando gli scienziati al servizio dell’esercito, facendo saltare il vincolo della nascita, che vietava agli ufficiali non provenienti dalla nobiltà di raggiungere le più alte funzioni, ha completato questa evoluzione.
Napoleone Bonaparte, proveniente dalla piccola nobiltà, formato presso la Scuola di Artiglieria, a suo tempo legato al personale politico repubblicano, incarna appieno questa nuova aristocrazia guerriera che non avrebbe mai potuto prosperare senza la Rivoluzione. Egli è stato anche e soprattutto l’uomo che ha saputo trarre miglior profitto da questo nuovo strumento militare, basandovi gran parte della sua strategia: movimento, effetto sorpresa, rapidità di concentramento delle truppe in un determinato punto. La Campagna d’Italia del 1796-1797 costituisce, sotto questo punto di vista, un modello di riferimento.

Morire per gli ideali

Ma la Rivoluzione ha modificato anche il rapporto esistente fra la società e la guerra. Infatti, per certi aspetti, ha inventato la prima forma di guerra totale, soprattutto negli anni 1793-1794, quando la Repubblica, minacciata su più fronti, si è sforzata di mobilitare tutte le energie in vista della vittoria, requisendo gli uomini, organizzando una vera e propria economia di guerra, facendo fondere le campane delle chiese per farne dei cannoni, incitando le donne, i ragazzi e gli anziani a fare anch’essi sacrifici per la patria. Così facendo la Rivoluzione ha fatto dell’eroismo guerriero la virtù civica per eccellenza, mentre, nel periodo precedente, solo la nobiltà coltivava i valori della bravura cavalleresca.
Ma la Rivoluzione ha inaugurato anche altre forme di guerra. Il nemico, più che uno straniero è un nemico ideologico (gli eserciti francesi pensavano di essere accolti da liberatori nei territori conquistati), colui che si oppone ai valori incarnati dalla Francia rivoluzionaria. Le popolazioni civili, quando si oppongono al potere del vincitore, possono essere scientemente le vittime della violenza militare. In caso contrario, gli eserciti della Rivoluzione e dell’Impero si trovano ad affrontare forme di guerra fino a quel momento sconosciute, soprattutto la guerriglia, poiché le popolazioni si sollevano per adesioni ai rispettivi valori. In Vandea, in Spagna, nel Tirolo e in numerosi altri luoghi, i soldati di una causa devono affrontare combattenti di un’altra causa. Parallelamente, diffondendo i propri valori, la Francia contribuirà a far nascere ovunque sul continente europeo l’idea di nazione. E lo scontro fra i patriottismi costituirà uno dei motori degli antagonismi dei successivi 150 anni.

Per saperne di più
J.A. Lynn, The Bayonets of the Republic: Motivation and Tactics in the Army of Revolutionary France, 1791-94.
Terry Crowdy, French Revolutionary Infantry 1789-1802, Osprey Publishing, 2004.